Dal Congresso di Vienna alla nascita della Carboneria
In seguito al Congresso di Vienna del 1815, tenutosi presso il castello di Schönbrunn, allora capitale dell’Impero austriaco, alla fine del quale venne ridisegnata la carta politica dell’Europa e ripristinato l’Ancien Régime, dopo gli sconvolgimenti della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche, in Italia l’influenza francese e rivoluzionaria rimase ancorata alla politica locale, in particolare attraverso la circolazione e la diffusione delle famose “gazzette letterarie”, nelle quali prevalevano le idee del giacobinismo intellettuale di origini francesi.
Nonostante le numerose repressioni che i “giacobini” italiani subirono durante la “Restaurazione”, nacquero comunque i salotti borghesi che erano formalmente incentrati sulla fruizione culturale e letteraria. Questi, però, finirono per diventare veri e propri club elitari e selettivi, che, nella maggior parte dei casi, si rifacevano ad un modello di tipo iniziatico e massonico. I club, talvolta, finirono per coprire alcune società segrete che andavano formandosi, come i Filadelfi e gli Adelfi, che successivamente si trasformarono nei “Sublimi Maestri Perfetti” di Filippo Buonarroti.
La nascita ed evoluzione della Carboneria italiana e le rivoluzioni del 1820-21
In questo scenario di occulta aggregazione pseudo-culturale, che di fatto nascondevano risentimenti politici ben definiti, la principale associazione segreta fu quella della Carboneria, nata a Napoli nel 1814, all’interno della quale circolavano idee chiare ed esplicite di contrasto e di contrapposizione alla politica filo-napoleonica di Gioacchino Murat, generale francese, maresciallo dell’Impero napoleonico, Re di Napoli e cognato di Napoleone Bonaparte in persona.
In seguito alla caduta di quest’ultimo e al ritorno sui troni in alcuni Stati della penisola italiana di sovrani illiberali, grazie all’intervento delle truppe austriache, la Carboneria si diffuse in tutta la penisola italiana. In questa fase di espansione, questa associazione segreta cambiò repentinamente volto ed obiettivi: si trasformò in un’associazione segreta cospirativa, finalizzata al ribaltamento degli Stati illiberali, attraverso moti rivoluzionari che spingessero i sovrani della penisola ad accettare la nascita di costituzioni e di parlamenti, sulla scorta dell’esempio della monarchia costituzionale.
I proseliti della Carboneria italiana nei Paesi europei
La Carboneria italiana ebbe proseliti in Francia e in Spagna, poiché si fece esempio, in tutta Europa, della lotta popolare per le libertà politiche e per la concessione delle costituzioni nei paesi europei. Filippo Buonarroti, nonostante non ne facesse direttamente parte, contribuì, all’indomani del Congresso di Vienna del 1815, a far assumere al movimento un carattere marcatamente patriottico e anti-austriaco. Così la Carboneria si diffuse anche nel Nord Italia, e soprattutto in Lombardia ed in Romagna, grazie al forlivese Piero Maroncelli.
La Carboneria italiana rimane la più grande e potente società segreta rivoluzionaria affermatasi nel panorama europeo dopo la restaurazione del potere imperiale dei monarchi assoluti.
Lo sviluppo dell’ideologia della Carboneria italiana e le rivoluzioni del 1820-21
Nata originariamente dalla borghesia cittadina, costituita da artigiani e mercanti, la Carboneria iniziò ad assecondare gradualmente le volontà guerresche dei suoi capi, abbandonando, di fatto, la costruzione di un’ideologia politica concreta e chiara. Questo, con il tempo, ha provocato al suo interno percorsi politici complessi e contraddittori, che inevitabilmente costrinsero molti a ripensare gli obiettivi dell’associazione rivoluzionaria. I carbonari, infatti, si dichiaravano favorevoli all’indipendenza italiana, ma non accennavano minimamente all’eventuale sistema di governo che avrebbe dovuto guidare l’Italia libera.
Essa, dunque, assunse con il tempo un alone di forte ambiguità politica, poiché non era possibile poter affermare con certezza la collocazione politica della Carboneria, che unì elementi di “destra” con altri di “sinistra” e di “centro”.
All’inizio della loro storia, questo poteva essere considerato un punto di forza, ma con il passare del tempo, le forze disgregatrici iniziarono ad avere sempre più spazio. Questa ambiguità, però, e, con essa, le medesime forze disgregatrici interne, vennero represse in seguito ad una lunga serie di sconfitte militari, che costrinse alcuni carbonari a ripensare ideologicamente la questione della libertà in una prospettiva ben più ampia: da qui nacque l’ideale ed il simbolo della lotta comune per la nascita di una nazione unita, forte, indipendente e sovrana. Da qui nacque l’obiettivo dell’unità d’Italia.
La bandiera della Carboneria
Quella carbonara è una bandiera segreta come la società che la porta e nella quale si formano molti dei patrioti protagonisti dei moti degli anni della restaurazione: i suoi colori – l’azzurro, il nero, il rosso – sono attestati in vario ordine.
Essa sventola a Nola il 1° e il 2 luglio 1820 quando Michele Morelli, capo della sezione della carboneria, Giuseppe Silvati e l’abate Luigi Minichini danno il via ai moti del Regno delle due Sicilie e riapparirà nei moti del 1831.
I colori della bandiera della Carboneria avevano una precisa simbologia: l’azzurro rappresentava la speranza e la volontà di raggiungere la libertà, il rosso rappresenta l’impegno e il sacrificio umano e il nero la fede incrollabile della lotta rivoluzionaria.
Gli aderenti alla Carboneria aspiravano alla libertà politica e a un governo costituzionale ed erano in gran parte intellettuali e giovani studenti, stanchi della sottomissione del proprio Regno al potere assoluto dei sovrani.
1817: i primi tentativi rivoluzionari
Il primo tentativo rivoluzionario carbonaro venne eseguito a Macerata, nello Stato pontificio, durante la notte tra il 24 e il 25 giugno 1817. La polizia pontificia, informata del fatto, soffocò l’azione sul nascere. Tredici congiurati furono condannati a morte e poi graziati da Papa Pio VII. Nel luglio del ’17, le rimanenti truppe austriache, ancora presenti nel Regno di Napoli dopo aver riportato i Borboni sul trono, completarono il loro ritiro dal Regno delle Due Sicilie e Laval Nugent von Westmeath, generale austriaco, divenne comandante supremo dell’esercito delle Due Sicilie e Ministro della Guerra.
1820: l’inizio dei moti rivoluzionari
I carbonari italiani furono spinti a mobilitarsi grazie agli avvenimenti accaduti in Spagna: Infatti, il 1° gennaio 1820, a Cadice, gli ufficiali che avrebbero dovuto reprimere la rivolta di Simón Bolívar nell’America del sud rifiutarono di imbarcarsi. La loro azione, nota come “Pronunciamiento”, si estese a tutto il Paese, tanto da costringere il re Ferdinando VII a concedere nuovamente, il 10 marzo del 1820, l’entrata in vigore della Costituzione di Cadice del 1812.
Questo evento rappresentò la miccia che fece esplodere i moti rivoluzionari europei degli anni 1820-21, i quali, nonostante condividessero tutti in linea di principio la lotta per la progressiva liberalizzazione dai regimi assolutistici, assunsero tuttavia connotazioni diverse da Stato a Stato e da città a città.
I moti carbonari a Napoli
Nel marzo 1820 la diffusione della notizia della conquista in Spagna del regime costituzionale contribuì notevolmente ad esaltare gli ambienti carbonari e massonici, non solo nel Regno delle Due Sicilie, ma anche a Napoli, dove la cospirazione, che si proponeva di non destituire il re ma di costringerlo ad accettare la costituzione e la creazione di un Parlamento, prese subito vigore e coinvolse anche alcuni ufficiali superiori, come i fratelli Florestano e Guglielmo Pepe, magistrati come Giustino Fortunato e letterati come Domenico Simeone Oliva.
Michele Morelli, capo della sezione della carboneria di Nola, decise di coinvolgere il proprio reggimento nella cospirazione. A questo si affiancarono Giuseppe Silvati, sottotenente, e Luigi Minichini.
La notte di San Teobaldo di Provins
Nella notte tra il 1° e il 2 luglio 1820, la famosa “notte di San Teobaldo di Provins”, patrono dei carbonari, Morelli e Silvati diedero il via alla cospirazione disertando con circa 130 uomini e 20 ufficiali. Ben presto li raggiunse Minichini che entrò in contrasto con Morelli: il primo voleva procedere con un largo giro per le campagne allo scopo di aggiungere alle proprie fila quei contadini e quei popolani che credeva attendessero di unirsi alla cospirazione; il secondo voleva puntare direttamente su Avellino dove lo attendeva il generale Pepe.
Minichini lasciò lo squadrone allo scopo di seguire il proprio intento, ma dovette far ritorno poco dopo senza risultati. Il giovane ufficiale Michele Morelli, sostenuto dalle proprie truppe, procedeva verso Avellino senza incontrare per le strade l’entusiasmo delle folle che si aspettava.
Il 2 luglio, a Monteforte, fu accolto trionfalmente. Il giorno seguente, Morelli, Silvati e Minichini fecero il loro ingresso ad Avellino. Accolti dalle autorità cittadine, rassicurate del fatto che la loro azione non aveva intenzione di rovesciare la monarchia, proclamarono la Costituzione sul modello spagnolo. Dopo di che, passò i poteri nelle mani del colonnello De Concilij, Capo di Stato Maggiore del generale Guglielmo Pepe.
In seguito, questo gesto di sottomissione alla gerarchia militare, provocò il disappunto di Minichini che decise di fare ritorno a Nola con l’intento di incitare una rivolta popolare. Il 5 luglio, Morelli entrava a Salerno, mentre la rivolta si espandeva a Napoli dove il generale Guglielmo Pepe aveva raccolto molte unità militari. Il giorno seguente, il re Ferdinando I si vide costretto a concedere la costituzione, sul modello di quella spagnola del 1812 e, ad agosto del 1820, viene eletto il nuovo Parlamento napoletano.
La reazione della Santa Alleanza
Le quattro potenze europee della Santa Alleanza, il Regno Unito, l’Impero Russo, il Regno di Prussia e l’Impero Austriaco, riunite in congresso a Lubiana, su richiesta di re Ferdinando I, che aveva tradito di fatto il giuramento pronunciato dinanzi al parlamento rivoluzionario di Napoli di difendere la Costituzione e l’indipendenza del Regno al consesso europeo, decisero l’intervento armato, inviando circa 50.000 soldati austriaci contro i rivoluzionari che nel Regno delle Due Sicilie avevano proclamato la costituzione.
Dopo una dura e costante resistenza, il 7 marzo 1821 i rivoluzionari costituzionalisti di Napoli comandati da Michele Carrascosa e Guglielmo Pepe, sebbene forti di 40.000 uomini tra regolari e volontari, di cui 25.000 soldati, circa un migliaio di cavalleggeri e 14.000 guardie provinciali, furono sconfitti nella battaglia di Antrodoco dalle truppe austriache.
Il generale Angelo D’Ambrosio guidò l’estrema resistenza delle truppe costituzionali nella fortezza sul Volturno e fu poi costretto a firmare la cessazione delle ostilità il 20 marzo 1821. Il 24 marzo le truppe austriache entrarono a Napoli scortando re Ferdinando I, senza incontrare ulteriore resistenza, e sospesero definitivamente il Parlamento di Napoli.
Poco dopo, re Ferdinando I revocò la Costituzione e affidò al ministro di polizia, il principe di Canosa, il compito di catturare tutti coloro che erano sospettati di cospirazione.
I moti carbonari in Sicilia
Il 15 giugno 1820 i rivoluzionari indipendentisti insorsero a Palermo, guidati da Giuseppe Alliata di Villafranca, che riuscirono ad istituire un governo provvisorio a Palermo tra il 18 ed il 23 giugno 1820, presieduto da Giovanni Luigi Moncada, principe di Paternò. Il 16 luglio il governo provvisorio convocò il Parlamento siciliano, che ripristinò la Costituzione Siciliana del 1812.
I leaders separatisti, a capo del governo provvisorio di Palermo, inviarono una missiva al re di Napoli attraverso la quale lamentavano il fatto che la Sicilia, dal 1816, era stata cancellata dal novero delle nazioni ed aveva perso la sua costituzione, ed in ragione di ciò chiedevano l’indipendenza della Sicilia, alla luce del sostegno non solo del popolo palermitano, ma di tutti i siciliani.
Inoltre, il 23 luglio fu inviata una delegazione politica verso il governo rivoluzionario di Napoli per chiedere il ripristino del Regno di Sicilia (sempre a guida borbonica), il ripristino della costituzione e l’insediamento ufficiale di un proprio parlamento indipendente ed autonomo. Il governo rivoluzionario napoletano rifiutò e il 30 agosto inviò circa 6.500 soldati, i quali si aggiunsero agli altrettanti di guarnigione a Messina e nella parte orientale della Sicilia, non in rivolta, agli ordini del generale Florestano Pepe.
L’accordo di Termini Imerese
Quest’ultimo, il 22 settembre del 1820, stipulò un accordo a Termini Imerese insieme al governo provvisorio siciliano al fine di rimettere la decisione di istituire il Parlamento ai rappresentanti dei comuni che stavano per essere eletti.
L’accordo fu ratificato dal governo provvisorio di Palermo il 5 ottobre, ma il neo parlamento appena eletto a Napoli rifiutò e il 14 ottobre richiamò Florestano Pepe e inviò il generale Pietro Colletta con l’ordine di riconquistare la Sicilia, cosa che avvenne definitivamente il 22 novembre 1820, con lotte sanguinose, ponendo nuovamente l’isola sotto il controllo del governo costituzionale napoletano, ma soltanto fino al marzo 1821, quando gli austriaci occuparono Napoli e soppressero la costituzione, ristabilendo la monarchia assoluta dei Borbone.
Le repressioni dei moti rivoluzionari
Dopo la restaurazione della monarchia assoluta, a Palermo, nell’agosto del 1821, vennero costituite venti “vendite” carbonare, con la finalità di abbattere il governo e avere la costituzione spagnola; il moto era guidato dal sacerdote Bonaventura Calabrò, che organizzò una rivolta prevista il 12 gennaio 1822.
Tuttavia, la polizia borbonica, insospettita dai ripetuti incontri segreti che generavano movimenti ambigui per la città, convinse un rivoluzionario al doppio gioco, ottenendo informazioni preziose sull’organizzazione dei carbonari. Infatti, nella notte dell’11 gennaio iniziarono i primi arresti e confessioni ed il debole tentativo di rivolta che avvenne il giorno seguente fu represso e i congiurati imprigionati.
Il 31 gennaio, nove di loro, tra cui due sacerdoti, furono condannati a morte e le loro teste, rinchiuse in gabbie di ferro, rimasero appese a Porta San Giorgio fino al 1846, come simbolo del potere assoluto e inarrestabile della monarchia dei Borbone.
Furono così repressi i tentativi di avviare processi longevi di costituzionalizzazione nel Regno delle Due Sicilie da parte della Carboneria italiana negli anni ‘venti dell’Ottocento, cedendo di fronte al potere imperiale dei sovrani assoluti.
Ma questi accadimenti rappresentano soltanto il principio dell’epoca rivoluzionaria italiana.
Alessio Fedele per Questione Civile