Sul profilo del Presidente ungherese Viktor Orbàn
Un politico dalla possente immagine mediatica, avvezzo a vivaci e forti dibattimenti politici, amato e odiato allo stesso tempo da molti, scopriamo più da vicino chi è Viktor Orbàn.
Chi è Viktor Orbàn
Nato a Székesfehérvár il 31 maggio 1963, Orbán si è laureato in giurisprudenza nel 1987 all’Università Loránd Eötvös, per poi dedicarsi, per un breve periodo, allo studio delle scienze politiche al Pembroke College di Oxford. È diventato capo del movimento studentesco riformista noto come “Alleanza dei giovani democratici” (Fiatal Demokraták Szövetsége), che si sarebbe poi tramutato nel partito attualmente esistente, Fidesz.
Non sarebbe affatto sbagliato affermare che Orbàn ha da sempre nutrito un crescente ardore ed interesse per la politica: muove i suoi primi passi all’età di 14 anni in cui è Segretario dell’organizzazione giovanile comunista (KISZ) del suo ginnasio secondario; durante gli anni dell’università, fonda l’Alleanza dei Giovani Democratici (da cui l’acronimo Fidesz), di impronta anticomunista, liberale, progressista ed impegnata per i diritti civili. Con Fidesz, Orbàn entra per la prima volta nel Parlamento ungherese nel 1990, all’opposizione del governo di József Antall.
Il governo Orbàn
Nel 1998, Orbàn diventa per la prima volta capo del Governo a seguito della vittoria alle elezioni parlamentari, con una coalizione formata da Fidesz, Forum Democratico Ungherese (MDF) e Partito dei Piccoli Proprietari Indipendenti (FKGP). Così, egli attua una politica interna molto forte, orientata al controllo interno centralizzato attraverso una radicale riforma dell’amministrazione statale e della riorganizzazione dei Ministeri. Inoltre, in questi anni l’operato del governo Orbàn viene ricoperto di scandali ed accuse: la dichiarazione di incostituzionalità, nel 1999, da parte della Corte Costituzionale sulla proposta di modifica della maggioranza dell’Assemblea nazionale; lo scandalo di corruzione che ha coinvolto il produttore militare statunitense Lockheed Martin Corp. riguardo la pressione fatta per la nomina di un manager di Lockheed.
Alle successive elezioni del 2002, Orbàn non riesce a confermare il suo potere e perde contro il Partito Socialista Ungherese. Tuttavia, Fidesz riesce a bilanciare alle elezioni amministrative del 2006, posizionando 15 dei 23 sindaci nelle più grandi città ungheresi.
Il 9 marzo 2008, in contrapposizione al governo del Partito Socialista Ungherese, Fidesz avvia il referendum sociale per la revoca delle riforme del governo sull’introduzione delle spese mediche per visita e le spese mediche pagate per numero di giorni trascorsi in ospedale, come le tasse universitarie. Il referendum ha visto un’affluenza del 50,5% e una vittoria del “sì” con oltre l’80% in tutti e tre i quesiti, segnando una grande vittoria politica per Fidesz.
Nelle elezioni del Parlamento europeo del 2009, Fidesz vince con un ampio margine, ottenendo il 56,36% dei voti e 14 dei 22 seggi spettanti all’Ungheria.
Le elezioni parlamentari del 2010 segnano la svolta per Orbàn: Fidesz ottiene la maggioranza parlamentare più solida affermatasi in Ungheria dalla caduta del muro di Berlino del 1989 (263 seggi sui 386 disponibili).
La politica monetaria e gli scontri con l’UE
Orbán definisce il suo governo “pragmatico“, citando le restrizioni sul prepensionamento nelle forze di polizia e militari, rendendo il benessere più trasparente e una legge bancaria centrale che “dà all’Ungheria più indipendenza dalla Banca centrale europea”. Inoltre, riforma la Banca Centrale Ungherese, prevedendo che la nomina del governatore spetti al governo riaffermando l’intenzione di non entrare a far parte della moneta unica europea, mantenendo il fiorino ungherese, ossia la moneta nazionale. Tale modifica manifesta la contrarietà della commissione europea, rilevando come la stessa non sarebbe conforme ai trattati sottoscritti dal Paese. Nel corso del mandato, la Banca centrale è costretta ad una serie di gravi svalutazioni e a operare finanziamenti alle imprese che erano indebitate in valuta estera e agli istituti di credito. La politica decisamente “nazionale” e il rigetto delle politiche atlantiste da parte del governo Orbán porta ad un inasprimento delle relazioni con l’Unione Europea, oltre che all’avvio di procedure di infrazione contro il paese e al taglio di finanziamenti strutturali europei.
In qualità di Presidente di turno dell’UE, nel 2011 Viktor Orbán dichiara:
«Noi non crediamo nell’Unione europea, crediamo nell’Ungheria, e consideriamo l’Unione Europea da un punto di vista secondo cui, se facciamo bene il nostro lavoro, allora quel qualcosa in cui crediamo, che si chiama Ungheria, avrà il suo tornaconto».
La nuova Costituzione ungherese
Nel 2010, il nuovo governo guidato da Orban avvia un processo di stesura di una nuova costituzione. La nuova costituzione introduce con forza elementi del conservatorismo, sottolineando l’importanza della centralità della famiglia, della tradizione, dell’etica e della religione cattolica. Nel 2011, promuove la Legge sulla libertà di coscienza e lo status giuridico delle chiese, la quale afferma il riconoscimento giuridico di 14 chiese ebraico-cristiane, con l’iniziale esclusione di islamici e buddhisti, inseriti soltanto due anni più tardi. Contestualmente, il nome ufficiale del Paese muta da “Repubblica d’Ungheria” a “Ungheria” nella Costituzione. Secondo il presidente del gruppo parlamentare Fidesz János Lázár, la costituzione segna una rottura con il passato comunista ungherese, mentre Orbán afferma che essa completa la transizione verso la democrazia e consente finanze sane e governo pulito dopo anni di cattiva gestione e scandali. Tuttavia, l’opposizione accusa Fidesz di usare la maggioranza dei due terzi del Parlamento per far approvare la propria costituzione senza consenso tra i partiti.
Viktor Orbàn e la politica migratoria
Sul versante della politica migratoria, Orbàn mostra fin da subito una posizione netta e non conciliante con la direzione generale europea. Durante la crisi migratoria europea del 2015, Orbán ordina l’erezione della barriera alla frontiera tra Ungheria e Serbia per bloccare l’ingresso di immigrati clandestini in modo che l’Ungheria possa registrare tutti i migranti che arrivano dalla Serbia, che è la responsabilità del paese ai sensi del regolamento di Dublino. Sotto Orbán, l’Ungheria intraprende numerose azioni per combattere l’immigrazione clandestina e ridurre i livelli di rifugiati. Come altri leader del Gruppo di Visegrád, Orbán si oppone a qualsiasi quota obbligatoria a lungo termine dell’UE sulla redistribuzione dei migranti.
Grazie alla vittoria delle elezioni politiche del 2018, Orbàn si riconferma capo del Governo e Fidesz primo partito del paese. Uno dei primi provvedimenti messi in campo da Orbán in questo nuovo mandato è l’avvio dell’approvazione della cosiddetta “legge Stop Soros”, dal nome del finanziere ungherese a lungo additato come nemico pubblico in campagna elettorale da Orbán che lo accusava di voler favorire l’immigrazione straniera in Ungheria. Il provvedimento imporrebbe una tassa del 25% su tutte le donazioni straniere a organizzazioni non governative che supportano i migranti nel Paese, come la Open Society.
Viktor Orbàn oggi
Dunque, la politica di Orbán è senza ombra di dubbio orientata verso la destra nazionalista. Egli è giunto a sostenere, infatti, di essere sul punto di mettere in discussione la democrazia liberale occidentale, dichiarando la volontà di “liberarsi dai dogmi e dall’ideologia occidentale europea”, oltre ad affermare di essere a favore della reintroduzione della pena di morte in Europa.
La combinazione politica di assoluto euroscetticismo e conservatorismo nazionale porta a paragonare Orbàn con politici e partiti politici come i Tories di David Cameron, Diritto e Giustizia di Jarosław Kaczyński, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Front National di Marine Le Pen, Donald Trump, Recep Tayyip Erdoğan e Vladimir Putin.
Secondo il quotidiano americano “Politico”, la politica di Orbán “riecheggia i risentimenti di quelle che erano una volta le classi contadine e lavoratrici”, promuovendo una
“difesa intransigente della sovranità nazionale e una sfiducia trasparente nei confronti delle istituzioni europee”.
Martina Ratta per Questione Civile