Le origini del diritto naturale e la crisi ateniese del V secolo a.C.
Il primo articolo ufficiale dell’Archivio di Filosofia del Diritto non può che partire, in linea con il suo approccio teorico-analitico, dall’indagine sulle origini effettive del concetto di diritto di natura e, dunque, della filosofia del diritto intesa come disciplina teorica che pone al centro delle sue riflessioni la duplice forma bicefala del diritto nelle sue accezioni dottrinali: il diritto positivo ed il diritto naturale, che costituiscono di fatto un secolare dualismo irrisolto all’interpretazione stessa del diritto.
Parte degli articoli pubblicati nel presente archivio sono estratti del mio lavoro sperimentale dal titolo “Lo Stoicismo giuridico di M. T. Cicerone“, che rientra nell’area scientifico-disciplinare della filosofia del diritto, completata il 20 marzo 2020. Uno dei testi principali testi che ho adottato per la ricerca, lo studio e la stesura del lavoro è “La formazione del pensiero giuridico moderno” (1986, Editoriale Jaca Book spa, Milano) di M. Villey.
Alla ricerca delle origini della filosofia del diritto e del diritto naturale
Come è ben noto ai teorici del diritto naturale e, più in generale, ai filosofi del diritto, il filone di pensiero che si interroga sull’interpretazione, sul valore filosofico-giuridico e sulla validità dottrinale del “diritto di natura”, non trova di certo le sue origini teoretiche nell’età moderna, che pur ha assistito ad un balzo in avanti determinante e vigoroso nello sviluppo del suo pensiero speculativo, che raggiunge il suo culmine tra il XVII e XVIII secolo con il Giusnaturalismo moderno (dal latino ius naturae), e, con esso, delle svariate interpretazioni avanzate nel tempo riguardo al concetto stesso di “diritto di natura”: da Ugo Grozio a Thomas Hobbes, da John Locke a Frédéric Bastiat, da Jean Jacques Rousseau a Thomasius, da Immanuel Kant a Samuel Pufendorf.
Le origini della filosofia del diritto nell’epoca medievale?
Né tantomeno queste matrici originali della dottrina possono essere ritrovate nell’epoca medievale, nonostante il contributo considerevole che è stato apportato dai teorici del giusnaturalismo sapienziale e dell’Alto Medioevo, che ha indiscutibilmente costituito un modello di riferimento per i diretti eredi della dottrina del diritto naturale, non solo nell’accrescimento, grazie all’impegnativo, ma proficuo, lavoro di fusione tra concetti e postulati desunti dalla filosofia greco-pagana e i precetti teoretici del cristianesimo, ma anche nella critica: dapprima la Patristica greca, di Clemente Alessandrino e Origene (entrambi dunque della “Scuola di Alessandria”).
Ed ancora, la Patristica minore greca, di Giustino e Taziano, o latina, di Lattanzio e Tertulliano oppure la Patristica maggiore occidentale, tra cui San Gregorio Magno, Sant’Ambrogio (che pure ha rigettato la validità teoretica del diritto naturale) ed infine Sant’Agostino; Alcuino di York, considerato punto di contatto con l’Alta Scolastica medievale di Pietro Abelardo e Guglielmo di Auxerre, che contribuirono indiscutibilmente a fornire e sviluppare l’interpretazione cristiana del concetto di lex naturae, ripreso dal cristianesimo antico di San Paolo, più precisamente da uno dei suoi passi della “Lettera ai Romani”.
Infine, sulla stessa cornice si pone la Bassa Scolastica di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, il quale, nella sua opera “Summa Theologiae”, che ha costituito il modello di riferimento fino al crollo definitivo dei filoni di pensiero scolastici medievali, ha affrontato il rapporto fede-ragione e altre grandi questioni teologiche attraverso una profonda e impegnativa opera di fusione teoretica tra aristotelismo e cristianesimo.
È necessario specificare che la dottrina del diritto naturale non trova le sue origini neppure nel Cristianesimo antico di San Paolo, citato poc’anzi, né tanto meno nella Filosofia greco-giudaica di Filone di Alessandria. Inoltre, l’esperienza del diritto naturale nella filosofia romana costituisce senza ombra di dubbio un punto cruciale e imprescindibile per lo sviluppo teorico e per la fortuna dottrinale del Giusnaturalismo nei secoli successivi, ma neanch’essa costituisce il suo principio né sul piano propriamente speculativo né tanto meno sul piano cronologico.
Una prima traccia teorica nella storia pre-cristiana
Benché, dunque, per “Giusnaturalismo” si suole intendere la corrente di pensiero filosofico-giuridica maturata tra Seicento e Settecento che ha contribuito in modo determinante a fornire un’interpretazione di diritto naturale in chiave razionalistica e umanistica, preesistente al “diritto positivo” (ius in civitate positum) e indispensabile a confutare la validità delle leggi, e con esse la politica e lo Stato, poiché doverosamente vincolate ad essere conformi ai principi morali, non possiamo ignorare che la riflessione sul diritto di natura trovi la sua origine nel V e IV secolo a.C., ovvero nell’età classica di Sofocle (sul quale però è doveroso in seguito fornire un chiarimento), dei Sofisti e delle opere pionieristiche di Platone e Aristotele, che, insieme allo stoicismo giuridico greco nella sua generale impostazione di pensiero, hanno segnato l’anno zero della teoresi gius-filosofica.
In questo senso, la filosofia del diritto greca sviluppatasi tra il V e IV sec. a.C., è da considerarsi la prima vera matrice teoretica nel merito dell’analisi (seppur arcaica ma efficace), e dello sviluppo del concetto di diritto naturale.
Dal positivismo al Diritto Naturale: la crisi ateniese del V secolo a.C.
Di fatti, essa sembra costituire la prodigiosa conseguenza, in termini filosofico-giuridici, della libertà, democrazia e prosperità della vita ateniese, tant’è che in questo periodo storico non si ritrovano in Grecia soltanto i precursori teorici del diritto di natura, ma, a causa della diversità e della molteplicità delle tendenze speculative, possono essere ritrovati anche “i germi del positivismo giuridico, del relativismo e addirittura del sociologismo”.
C’è da sottolineare che, proprio a partire dal IV secolo a. C., quando una parte della filosofia greca comincia a disinteressarsi della vita pubblica, poiché, in seguito alle conquiste di Alessandro Magno, le condizioni non erano ormai più favorevoli alla libertà di pensiero necessaria allo sviluppo delle analisi sulla politica, e quando molti altri cambiamenti della vita culturale e civile ateniese hanno gettato la città-Stato in una profonda crisi (cambiamenti politici, sociali, economici ed anche giuridici, in seguito alle riforme costituzionali di Solone e Clistene), la filosofia del diritto, intesa nella sua accezione primordiale, viene finalmente alla luce.
L’Antigone di Sofocle
Prima di giungere ai Sofisti ed alle opere classiche platoniche ed aristoteliche, è necessario e doveroso chiarire, nel presente numero, la posizione dell’Antigone di Sofocle, considerata la prima vera matrice del diritto naturale da innumerevoli studiosi.
Questi ultimi sono soliti accostare all’opera sofoclea, l’Antigone, un’erronea rilevanza gius-filosofica: in realtà, nonostante venga considerata e citata come una delle prime testimonianze in favore del diritto naturale, la celebre invettiva della protagonista non riguarda il diritto, bensì il rito religioso funerario, poiché, come sostiene Villey, Antigone non si scaglia contro il decreto di Creonte in difesa di un ordine naturale (physis), ma fa un appello alla Dike e a Zeus, cioè si appella alle leggi religiose, che ciascuno porterebbe con sé nella coscienza e che sono citate nel testo come àgraphoi nómoi (“leggi non scritte”); per questo motivo, risulta essere erroneo, nonché improprio, considerare queste ultime come precursore teorico del diritto naturale.
La testimonianza di Platone e Tucidide
Una concreta origine dell’oggetto su cui si sofferma la riflessione della filosofia del diritto sembrerebbe, secondo quanto si evince dai dialoghi di Platone, essere rappresentata dalla posizione dei sofisti, in particolare la loro netta distinzione tra leggi di natura e leggi della polis.
Per fare degli esempi: il sofista Protagora, che risulterebbe essere l’autore del mito di Epimeteo, riprende il concetto di giustizia in termini del tutto soggettivistici, secondo i quali consisterebbe in un sentimento vero e proprio, insito per natura nei cuori degli esseri umani; ed ancora, nel dialogo Gorgia, Platone fa riferimento ai sofisti, i quali hanno avanzato una evidente denuncia contro la giustizia tradizionalmente intesa, in contrasto con la legge di natura che invece per “giustizia” considera l’uomo che con audacia e fermezza non esita a rovesciare gli assunti della morale tradizionale; nella Repubblica, Platone nomina i sofisti Trasimaco, Glaucone e Adimante (questi ultimi fratelli di Platone stesso), nelle cui parole si potrebbero persino rintracciare i precursori della teoria del contratto sociale.
Nello stesso periodo, una posizione di rilievo viene rivestita da Tucidide, il quale, nel suo “discorso agli abitanti di Melo”, gli ateniesi giustificano un’aggressione contraria al nomos della città-Stato, invocando la legge di natura. Con estrema evidenza, dunque, si può notare che l’arcaica e rudimentale filosofia del diritto dei sofisti e, insieme a loro, di Socrate, che trova spazio nell’alveo delle citazioni di Platone e di Senofonte, è andata via via sostituendo l’ubbidienza religiosa verso le concezioni e le consuetudini di matrice tradizionalistica.
La testimonianza di Socrate
A tal proposito è utile chiarire il contributo che peraltro Socrate ha fornito allo sviluppo del pensiero gius-filosofico: in risposta allo sconfinamento dei sofisti nello scetticismo dottrinale, quest’ultimo ha per primo cercato di rivolgere l’attenzione della riflessione filosofica sull’autorità delle norme di diritto, nonostante non sia ben chiaro se la sua posizione fosse in riferimento alle leggi dello Stato o di una giustizia superiore o naturale (certo è che l’assenza di prove documentali dirette del suo pensiero non facilitano di fatto la comprensione di quanto si evince dalle testimonianze di Platone e Senofonte).
Nonostante ciò è innegabile che gli insegnamenti socratici abbiano lasciato molto in termini dialettici e filosofico-morali. Da buon cittadino, da buon soldato e giudice integerrimo, ha rispettato la legge, seppur ingiusta, che lo condannava con la pena di morte, nonostante avesse avuto la possibilità di fuggire dalla prigione, rimanendo fermamente incorruttibile dinnanzi al principio supremo del rispetto delle istituzioni.
La discrasia temporale
Da un punto di vista analitico, perlomeno agli albori teoretici del pensiero gius-filosofico, la nascita della concezione del diritto di natura non converge con la nascita della stessa filosofia del diritto in quanto tale, poiché quest’ultima viene da intendersi come quella disciplina filosofica che avanza riflessioni, teorie e dottrine elaborate dagli studiosi del diritto, per cui strettamente ed esclusivamente in prospettiva giuridica, che tendono, ognuno secondo le proprie influenze, di dare delle risposte critiche nel merito dei principi dei sistemi giuridico-scientifici.
Conclusioni
Ad oggi, ci sono state lasciate diverse e contrapposte teorie del diritto da innumerevoli studiosi, non tutti dell’ambito gius-filosofico, che rappresentano un punto di partenza indispensabile per l’analisi del concetto stesso di diritto nella sua totalità e saturazione teoretica ed il suo ruolo nell’ambito delle relazioni intersoggettive degli uomini immersi nella prospettiva collettivistica della società, da cui, per di più, ne derivano altrettante accezioni dottrinali sia sugli ordinamenti giuridici, che nell’ambito più complesso degli ordinamenti politici dello Stato.
Per cui, con estrema certezza, si può considerare l’avvento del diritto di natura come il principio, la causa prima, che ha generato e giustificato l’avanzamento dello sviluppo teoretico della filosofia del diritto, seppur in più riprese e non in modo continuativo, per arrivare fino ai giorni nostri, in cui siamo chiamati necessariamente a voltare lo sguardo al passato, affinché sia possibile trovare le giuste soluzioni al problema della contemporaneità in termini dottrinali, agli oltre duemila anni di storia che hanno accompagnato l’avanzamento della disciplina gius-filosofica nello studio e analisi del diritto.
Quest’ultimo è oggetto non esclusivo della filosofia del diritto, poiché ha suscitato interesse e incentivato la ricerca anche per la scienza giuridica, la quale, come sostiene M. Villey, è una disciplina incompleta, insoddisfacente, basata su assunti sui quali essa stessa non fornisce una giustificazione razionale, poiché sono i filosofi a mettere in luce ed esplicitare i principi su cui si fondano in un secondo momento le scienze giuridiche.
Infatti, a conferma di ciò, il legalismo oggi dominante trova le sue radici nelle filosofie del contratto sociale di Thomas Hobbes, John Locke, Jean Jacques Rousseau e Immanuel Kant.
Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile