L’espressione della soggettività in Leopardi
L’intento del seguente articolo dell’Archivio di Letteratura è quello di esplorare la svolta moderna che contraddistingue il panorama culturale europeo alle soglie del XIX secolo. Fino alla fine del 1700, gli artisti e i letterati, in modo più o meno consapevole, continuano a sottomettere la propria soggettività alle codificazioni della tradizione. Il concetto di imitatio impedisce loro di ragionare in termini diversi dalle rigide distinzioni che contraddistinguono gli stilemi e i generi letterari tradizionali, avvicinandosi ad un’espressività mai vista prima. Grazie all’attività di Leopardi e altri intellettuali possiamo entrare nel vivo di un profondo mutamento culturale.
Leopardi: dall’imitazione all’espressione del proprio io
Un crocevia fondamentale nella svolta italiana può essere individuato nell’attività letteraria di Giacomo Leopardi. Nel nostro panorama nazionale, è senz’altro il primo poeta a soddisfare le proprie esigenze creative svincolandosi, in modo consapevole, dalle rigide codificazioni tradizionali. Alla luce dell’espressività soggettiva del genio leopardiano, si comprendono anche i mutamenti artistici a cui si assiste nel panorama europeo; consideriamo ad esempio il lirismo contenuto nella raccolta poetica Lyrical Ballads ad opera di William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge. Se un’ottica sovversiva è senz’altro sottesa al cambiamento introdotto dall’opera leopardiana e dalla produzione letteraria dei decenni successivi, è bene chiedersi quali eventi abbiano influenzato storicamente e culturalmente la produzione filosofica e letteraria di Giacomo Leopardi e degli autori della seconda metà del XIX secolo.
Alla ricerca delle cause storiche e antropologiche
L’uomo del XIX secolo viene ritratto dai capolavori artistici e letterari come un’individualità alla ricerca di un rifugio dai traumi della modernità. Ma anche dai bagliori accecanti della metropoli in piena espansione e dalla crescente meccanizzazione seguente all’avvento dell’era industriale. È ritratto come un uomo le cui certezze sono state minate e la cui condizione antropologica risulta profondamente modificata. Oltre agli eventi epocali, quali lo scoppio della Rivoluzione francese e la caduta dell’Ancien Régime, lo spaesamento viene accentuato dallo sconvolgente ingresso del mondo delle macchine e dell’era industriale. I cambiamenti repentini testimoniano la fine di un determinato sistema politico e sociale e, insieme ad esso, la perdita di un determinato sistema di valori.
Le cause dello spaesamento dell’uomo moderno si possono a buon motivo ricercare nel secolo ancora precedente agli eventi rivoluzionari. È con la rivoluzione scientifica nel XVII secolo che l’uomo scopre di aver perso la centralità che il sistema tolemaico gli aveva sempre riservato. L’affermazione della teoria copernicana e la diffusione delle tesi scientifiche di Galileo Galilei causano una frattura insanabile nella mente dell’uomo moderno. Di seguito l’assunto fondamentale estrapolato dal trattato astronomico De revolutionibus orbium coelestium, la cui editio princeps, stampata a Norimberga, risale al 1543:
“In medio vero omnium residet Sol”,
De revolutionibus orbium coelestium, libro I, cap X.
Cambio di prospettiva
Presa coscienza della scientificità della teoria eliocentrica, l’uomo si ritrova scalzato dal centro del sistema solare, perdendo i punti di riferimento che gli avevano sempre garantito una corretta interpretazione del reale. Il cambio di prospettiva induce l’uomo a considerare diversamente anche le qualità delle cose. Queste ultime cominciano ad essere analizzate non in sé e per sé, ma in relazione alle categorie del soggetto senziente. Risulta in questo modo più comprensibile la celebre svolta kantiana che permette al filosofo di dimostrare l’inconoscibilità delle cose in sé, in quanto noumeno, limitando la loro conoscibilità alla sfera fenomenica.
Lo sviluppo della tecnica e la meccanizzazione
I tentativi dell’uomo del XIX secolo di dare delle risposte ai quesiti scientifici posti prima dalla rivoluzione scientifica, poi dall’Illuminismo e dal kantismo, rimangono in un primo momento del tutto inappagati. In seguito alla rivoluzione industriale, lo sviluppo della tecnica e l’ingresso sistematico della scienza nella vita civile sembrano ambire ad una sostituzione progressiva dell’uomo con le macchine. Si può a buon motivo parlare di una vera e propria riformulazione del concetto di umano. Ma anche di una tendenza sempre maggiore, da parte dei letterati, a interrogarsi su quale possa essere il limite che la condizione umana non dovrebbe permettere alla scienza di oltrepassare.
A questo proposito precorre alquanto i tempi la proposta di Giacomo Leopardi contenuta all’interno delle Operette morali, definiti dall’autore stesso “dialoghi satirici ispirati alla maniera di Luciano” e stesi quasi interamente durante il 1824. Il poeta mostra di precorrere frequentemente le tendenze e le mode che caratterizzano l’età contemporanea. Con una maestria non semplicemente letteraria, ma dotata di una spiccata conoscenza dell’antropologia umana, Leopardi si cimenta nella stesura di un’operetta aspramente polemica nei confronti dell’ottimismo progressista del “secol superbo e sciocco” (La ginestra, v. 53).
Il caso delle Operette morali di Leopardi
Lo spunto per la stesura dell’operetta, che occupa la quarta posizione nell’edizione definitiva, deriva al giovane poeta all’età di soli tredici anni dalla lettura di trattati in cui si discute di una sorta di imitatori meccanici del comportamento umano realizzati dagli Arabi a partire dall’XI secolo. Già dal titolo dell’operetta, Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Sillografi, il poeta prefigura la possibilità di inventare delle macchine capaci di fornire prestazioni di gran lunga superiori a quelle degli esseri umani.
Leopardi non nasconde un’aperta provocazione, apostrofando il “fortunato secolo in cui siamo” in chiave apertamente polemica con l’ottimismo progressista che caratterizzava i circoli culturali a lui contemporanei. Il poeta non si ferma ad evidenziare la qualità superiore delle macchine inventate rispetto agli esseri umani nelle prestazioni fisiche; arriva a sostenere sarcasticamente che possano superarli relativamente anche alle doti spirituali:
“Oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita”.
Il sarcasmo e la critica al “secolo decimonono”
D’altronde, il tono sarcastico si evince sin dal titolo stesso dell’operetta, che oltre a rispettare oltremodo l’ufficialità del bando di concorso, ricorre costantemente ad un tono burocratico e ridondante. Il contenuto dell’operetta verte, infatti, sulla delibera da parte dell’Accademia di concorrere al progresso della specie umana affinché gli uomini abbandonino le proprie occupazioni. L’urgenza di sottrarsi alle occupazioni materiali viene così descritta dal poeta:
“L’Accademia dei Sillografi reputa essere espedientissimo che gli uomini si rimuovano dai negozi della vita il più che si possa, e che a poco a poco dieno luogo, sottentrando le macchine in loro scambio”.
Inoltre, gli accademici si mostrano del tutto favorevoli inoltre a stanziare tre premi per coloro che troveranno le tre macchine descritte. La prima macchina ha come compito quello di svolgere il ruolo di amico ideale, impegnandosi a non biasimare l’altro; mantiene i segreti confidati e lo sostiene in ogni magnanima azione. Il secondo premio spetta, invece, all’inventore di una macchina le cui sembianze ricordino un uomo artificiale e le cui azioni rispecchino un comportamento impeccabilmente virtuoso. Il primo premio viene, al contrario, destinato all’inventore “delle donne fedeli e della felicità coniugale”, evidenziando il massimo sarcasmo nel finale.
Conclusioni: uno sguardo alla letteratura inglese
Dunque, il problema della sostituzione progressiva dell’uomo con macchine e automi, antesignani dei moderni robot, svela un’ansia nascosta dell’intellettuale moderno. Il timore di vedere esautorate le proprie funzioni e di non assolvere i propri bisogni in una dimensione a lui nota provoca in lui una sensazione di sradicamento, che accomuna Leopardi e il panorama culturale italiano anche ad altre esperienze letterarie. È il caso emblematico dell’opera di Mary Shelley, Frankenstein or The Modern Prometheus.
Frankenstein, il moderno Prometeo
La prima edizione risale al 1818. Sin dal titolo si evince l’aspirazione da parte dello scienziato Viktor Frankenstein di sostituirsi a Dio nel momento della creazione, mostrando le ambizioni proprie di chi osa sfidare il limite umano. Il concetto traspare già dal titolo, che mostra una stretta vicinanza con il mito classico di Prometeo. Caricando la creatura dello scienziato di valori emblematici, quali la solitudine e l’incapacità di adattarsi al mondo capitalistico che la circonda, Shelley condivide con l’ideologia leopardiana l’intento di ritrarre un mondo alla ricerca di certezze. Un mondo confuso dalle ambizioni scientifiche e dall’infinita fiducia nel progresso umano che accomuna la temperie del Positivismo.
In conclusione, l’avvento dell’era industriale e l’inesauribile progresso compiuto dalla scienza vedono da parte dell’uomo moderno una crescente perdita di valori e credenze secolari che avevano contraddistinto il genere umano. Nel pieno sviluppo del Positivismo e della fiducia in un benessere illimitato, agli intellettuali del XIX secolo non resta che domandarsi quale possa essere il ruolo dell’uomo in una società che, progressivamente, tende a sostituirlo, anteponendo al suo lavoro fisico prestazioni meccaniche e bioeticamente discutibili, come nel caso della creatura mostruosa del Frankenstein.
“Ti ho forse chiesto io, Creatore, di farmi uomo dall’argilla? Ti ho forse chiesto io di trarmi fuori dall’oscurità?”.
Sono queste le parole scelte da Mary Shelley come epigrafe del romanzo. Sono parole tratte dal Paradise Lost di John Milton e suonano come un monito verso il rispetto della dignità umana. Evidenziano, infatti, quali limiti non possano essere superati dalla meccanizzazione e dalla ricerca scientifica a livello morale.
Giulia Marianello per Questione Civile