La diffusione dello stile di Raffaello attraverso le incisioni di Marcantonio Raimondi
Dopo avervi raccontato lo scorso mese della Dama col liocorno, l’Archivio di Storia dell’Arte vi presenta il secondo articolo dedicato a Raffaello Sanzio (Urbino, 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520), esplorando uno degli aspetti forse meno noti al grande pubblico. Nel secondo decennio del Cinquecento, Raffaello collaborò a stretto contatto con un altro artista italiano, Marcantonio Raimondi (S. Martino Argine (?), circa 1480 – Bologna, ante 1537).
Egli realizzò numerose incisioni a partire dai disegni dell’Urbinate, contribuendo alla diffusione ed affermazione del suo stile, non solo geograficamente ma anche nel tempo.
Raffaello e la sua eredità
Raffaello Sanzio, vissuto appena 37 anni, fu tra gli artisti più apprezzati e richiesti del suo tempo. Fu anche tra i più ammirati dagli artisti che per secoli hanno continuato a perseguire la perfezione da lui raggiunta nel disegno e nella pittura.
La sua eredità non fu solo custodita dai suoi allievi diretti. Essa divenne più accessibile grazie alla diffusione di idee e invenzioni da lui messe a punto per i suoi dipinti. Certamente ciò che resta dei suoi lavori è da sempre la prima fonte con cui generazioni di artisti si dovettero confrontare: i dipinti conservati nelle più importanti collezioni europee e le grandi decorazioni ad affresco.
L’incisione: una tecnica in evoluzione
Tuttavia, esisteva un modo più semplice e alla portata di tutti per poter studiare le opere del grande maestro. In seguito ai più recenti sviluppi tecnologici, si era diffusa anche in Italia una tecnica di riproduzione delle immagini che consentiva di stampare numerose copie a partire da un’unica matrice.
Nel corso del XV secolo la tecnica dell’incisione era stata perfezionata grazie agli esperimenti di generazioni di artigiani. Prima su una tavoletta di legno, poi su una di rame, essi impressero con appositi strumenti una serie di solchi. L’insieme di tutti i segni tracciati dava forma alla matrice che, una volta ricoperta di inchiostro e premuta su fogli di carte, consentiva di ottenere più copie di uno stesso disegno.
Le incisioni e gli artisti: il caso di Dürer
Sebbene la pratica dell’incisione sia nata nell’ambito della produzione dei libri a stampa, presto fu anche utilizzata dagli artisti che iniziarono a sperimentare in prima persona, dando vita ad un vero e proprio mercato delle loro stampe.
Il caso più emblematico è quello di Albertch Dürer, celebre artista tedesco, che apportò diverse innovazioni nel campo dell’incisone. Come si apprende dal suo diario personale, durante un viaggio intrapreso nel 1520 nei Paesi Bassi, vendette e donò moltissime incisioni. Esse furono prodotte prima di partire con l’intenzione di sostentare le spese finanziarie.
Le sue invenzioni si diffusero anche in Italia, dove soggiornò più volte, autorizzando anche il bolognese Marcantonio Raimondi a riprodurre e stampare una serie di incisioni tratte dal ciclo sulla Vita della Vergine.
Marcantonio Raimondi, il miglior incisore italiano
Non a caso, il tedesco aveva affidato questo compito a Raimondi. Infatti, all’inizio del XVI secolo era senz’altro l’artista italiano più addentrato nel campo dell’incisione. Dopo aver frequentato la bottega del pittore Francesco Francia aveva poi iniziato a sperimentare con le nuove tecniche a stampa, che tra Venezia e Bologna andavano sviluppandosi per via della grande richiesta nella produzione libraria.
Egli aveva sviluppato una vera e propria bottega. Produsse incisioni a partire dai suoi stessi disegni, ma anche accordandosi con altri artisti per riprodurre le loro invenzioni.
L’incontro tra Raffaello e Marcantonio Raimondi
Intorno al 1510-1511 Marcantonio si recò a Roma dove conobbe l’artista del momento, Raffaello. Egli era impegnato in numerosi incarichi tra la decorazione delle Stanze Vaticane e altre importanti commissioni. Certamente i lavori del bolognese dovevano esser noti a Raffaello, tanto che decise di affidargli i suoi disegni affinché venissero tradotti in immagini facilmente commerciabili.
Secondo il racconto del biografo Giorgio Vasari, Marcantonio appena giunto a Roma, avrebbe inciso su
«rame una bellissima carta di Raffaello da Urbino, nella quale era una Lucrezia romana che si uccideva, con tanta diligenza e bella maniera, che essendo subito portata da alcuni amici suoi a Raffaello, egli si dispose a mettere fuori in istampa alcuni disegni di cose sue» (1568).
Che sia vero o meno questo aneddoto, è certo che Raimondi incise la Lucrezia disegnata da Raffaello, forse come prima prova per dimostrare le sue abilità.
Le prime incisioni prodotte in collaborazione
Il sodalizio tra i due si consolidò definitivamente con la Strage degli innocenti. Essa fu la prima incisione frutto di uno scambio e confronto continuo tra disegnatore e incisore. Infatti, sono noti ben quattro disegni preparatori che mostrano il processo creativo e di studio che condussero Raffaello a consegnare l’immagine finale a Marcantonio.
Questi produsse due diverse lastre, probabilmente a distanza di poco tempo l’una dall’altra. Solo nella seconda versione inserì l’iscrizione «RAPH / URBI / INVENIT /MA», riconducendone l’invenzione a Raffaello e l’esecuzione a lui stesso.
Il perfezionamento della tecnica
In seguito, Raffaello produsse numerosi altri disegni che furono affidati alle mani sempre più esperte di Marcantonio. Egli era l’unico capace di trasfigurare i tratti delicati delle figure disegnate dal pittore in tanti sintetici segni incisi sulla lastra di rame. È possibile seguire anche un’evoluzione sia nella complessità delle invenzioni elaborate da Raffaello, sia nella tecnica messa a punto dall’incisore.
Come, ad esempio, nel Quos ego, di cui non si conosce il disegno originario a partire dal quale fu realizzata l’incisione. Si tratta di un’immagine composta da più scene, tratte dal poema scritto da Virgilio, che raccontano il viaggio di Enea, esule dopo la distruzione di Troia ed ostacolato dalla dea Giunone.
I riquadri più piccoli sono disposti intorno alla scena centrale, dove è raffigurato Nettuno retto in bilico sul dorso di un mostro marino, mentre cerca di contrastare la forza dei venti, scatenati da Eolo, contro cui inveisce pronunciando le famose parole: «Quos ego» (Che io).
Dunque, una complessità narrativa dietro alla quale c’è sia la grande preparazione di Raffaello sulle fonti, ma anche la maestria di Marcantonio nel saper incidere le piccole figure con tanta precisione volumetrica.
Le incisioni dalle opere raffaellesche
Tra le incisioni prodotte da Raimondi non mancano quelle tratte da alcune opere celebri del pittore: la tavola dell’Estasi di Santa Cecilia, oggi alla Pinacoteca di Bologna; la Galatea affrescata nelle sale di Villa Farnesina; La predica di San Paolo intessuta in uno degli arazzi commissionati per la Cappella Sistina.
Ma se confrontiamo meglio alcuni particolari, ci renderemo conto che l’incisore non riproduce esattamente le opere eseguite da Raffaello.
Molto probabilmente il pittore forniva a Raimondi direttamente i disegni che elaborava per arrivare poi all’opera pittorica conclusa. Quindi, in molti casi siamo di fronte a immagini molto simili ma che ci mostrano stadi precedenti dell’invenzione raffaellesca.
Come ad esempio nel Parnaso, scena tratta dall’affresco eseguito da Raffaello nel 1511 nella stanza della Segnatura in Vaticano, come ricorda l’iscrizione in basso al centro della finestra che simula l’architettura dell’ambiente. Anche nell’incisione Apollo si trova al centro circondato dalle muse e dagli altri personaggi, ma sono numerose le variazioni rispetto all’affresco.
Ciò non deve stupirci, poiché il fine ultimo per cui venivano eseguite queste stampe non era tanto quello di “fotografare” fedelmente il modello, quanto piuttosto quello di trasmettere l’idea dell’artista, l’invenzione intima e unica di Raffaello e trasmettere il suo stile non solo tra i contemporanei, ma anche ai posteri.
Un’operazione questa del tutto riuscita, grazie proprio alla collaborazione con Raimondi, dalle cui lastre incise furono stampate più e più volte le invenzioni dell’Urbinate.
Un patrimonio di incisioni
Le stampe prodotte nel corso dei secoli, a partire dalle lastre di Raimondi tratte dai disegni di Raffaello, si conservano ancora oggi nei musei, negli archivi, nelle biblioteche di tutto il mondo.
È un patrimonio vastissimo, che non capita spesso di poter vedere esposto tra le altre opere d’arte, in quanto si tratta pur sempre di inchiostro su carta, un materiale molto delicato.
Quest’anno in occasione dei Cinquecento anni dalla morte di Raffaello sono state programmate alcune importanti esposizioni che hanno avuto come protagoniste proprio le incisioni.
In particolare, la Pinacoteca di Bologna ha organizzato una mostra dal titolo La fortuna visiva di Raffaello nella grafica del XVI secolo da Marcantonio Raimondi a Giulio Bonasone, conclusasi lo scorso 31 agosto. Al contempo, i Musei Reali di Torino hanno recentemente inaugurato la mostra (visitabile fino al 4 marzo) Sulle tracce di Raffaello nelle collezioni sabaude, con una sezione dedicata proprio alle incisioni.
Ilaria Arcangeli per Questione Civile