Storia della più grande macchina da guerra dell’antichità: la Legione Romana
L’Antica Roma fu uno dei più grandiosi imperi del mondo conosciuto. Ma quale fu il segreto che portò Roma a dominare il mondo? La risposta è molto semplice: la legione. Ma come riuscirono le legioni a plasmare il mondo classico? Perché erano così temute? E perché, nonostante tutto, si dissolsero? Ecco dunque una breve storia della grande macchina da guerra di Roma.
Gli inizi della Legione: l’arruolamento e l’addestramento
Il termine “legione” deriva dal verbo latino “legio”, che significa “raccogliere insieme”. Quando Roma era ancora una Repubblica, le legioni contavano 6000 uomini. Tuttavia, questa primordiale forma dell’esercito romano era ben diversa dall’armata di soldati “professionisti” che si sarebbe formata nel corso del tempo. Inizialmente, solo i proprietari terrieri potevano arruolarsi, perché si riteneva che essi avrebbero combattuto con più ardore avendo dei beni materiali da difendere. Una volta arruolati, dovevano superare 4 rigide sessioni di addestramento. Chi non riusciva ad arrivare in fondo all’ultima, veniva congedato.
L’ addestramento consisteva in una marcia di 30 chilometri con uno zaino pieno sulle spalle (che poteva arrivare fino al peso di 22 kg, comprensivi di armi, armatura, utensili per cucinare il rancio, razioni di cibo e attrezzi atti alla realizzazione di un accampamento provvisorio). Si passava poi all’addestramento con armi non affilate e giavellotti due volte più pesanti di quelli utilizzati in battaglia. Una volta completato l’addestramento, il legionario otteneva la sua armatura e le sue armi a seconda dell’assegnazione. Le armi potevano essere i “pilum”, ovvero i giavellotti, il gladio (la tipica spada corta romana), i pugnali, gli archi, le frecce e gli scudi (lo “scutum” tipico consisteva in uno scudo a torre). Terminato l’addestramento ed ottenuto l’armamentario, il legionario era a completa disposizione dei generali.
L’organizzazione della Legione: coorte, centuria e “contubernium”
Con il passare degli anni, la legione romana venne riorganizzata. Si passò ad un numero inferiore di legionari, compreso tra i 4800 ed i 5000. Ogni legione era composta da 10 coorti, che enumeravano 480 o 500 uomini l’una. Ogni coorte era a sua volta composta da 10 centurie, che contavano 80 o 100 uomini l’una. In ultimo, ogni centuria era a sua volta divisa in 8 o 10 contubernium, ovvero gruppi di 8 o 10 soldati che condividevano la stessa tenda. Il comando “ufficiale” veniva dato ai nobili, che rivestivano le cariche più alte.
Non tutti i nobili, tuttavia, avevano l’attitudine al comando. Non era raro, infatti, che il vero potere militare e decisionale risiedesse nelle mani degli ufficiali inferiori, magari non nobili ma sicuramente con più attitudine al comando dei soldati semplici. Questi ufficiali inferiori altri non erano che i centurioni, ovvero i comandanti delle centurie. Per diventare centurioni erano richiesti 15 anni di servizio partendo dalla truppa. Una volta arrivati a ricoprire questa carica, i centurioni avevano il compito di addestrare le nuove leve e di guidarli in battaglia.
Non si pensi, però, che tutti i centurioni fossero ufficiali onorevoli e rispettabili. Alcuni accettavano “mazzette” da parte dei legionari, dando in cambio il congedo o il trasferimento presso un altro accampamento. Quello che passò alla storia come il peggiore dei centurioni fu un certo Lucilio, soprannominato “datemene un altro”. Con “altro” bisogna intendere il frustino che Lucilio utilizzava per infliggere le punizioni corporali ai legionari (spesso a suo dire) indisciplinati. Le sue frustate erano talmente forti da spezzare il frustino sulle schiene dei suoi soldati, motivo per il quale gridava sempre “Datemene un altro (di frustino)”.
I 3 capisaldi dell’esercito romano: obbedienza, abilità e disciplina
I legionari erano estremamente obbedienti ed abili in vari campi. Erano anche in grado di costruire un accampamento al giorno, se necessario. Scavavano un fossato difensivo attorno all’accampamento e costruivano le palizzate poco dietro. Anche grazie ai legionari, gli accampamenti romani diventavano la massima dimostrazione del rispetto per l’ordine e per il rigore. Ogni accampamento era uguale agli altri, e le tende erano posizionate sempre nella stessa posizione, in modo tale che i soldati sapessero esattamente dove si trovavano in ogni momento.
Anche nell’accampamento, vigeva la più rigida disciplina militare. Il ruolo più importante all’interno era quello della sentinella. Quest’ultima pattugliava il perimetro e doveva avvisare i soldati in caso di attacco imminente. Se la sentinella si addormentava, rischiava la lapidazione; mentre le legioni che si dimostravano deboli in battaglia venivano sottoposte alla “Decimazione”, ovvero l’uccisione di un soldato ogni dieci uomini. I condannati erano estratti a sorte, e venivano fatti uccidere a bastonate dai loro stessi commilitoni. L’obbedienza ai centurioni, dunque, era fondata sulla paura.
L’evoluzione dell’esercito romano: dalla falange ai manipoli
L’esercito romano si configurò fin dai primi anni della Repubblica (il cui riconoscimento giuridico è datato 510 a.C.) come il più avanzato ed organizzato sistema militare dell’epoca. I Romani, inizialmente, combattevano in una formazione molto simile alla falange oplitica dell’antica Grecia (molto più simile alla falange del battaglione sacro tebano che alla falange macedone). Tuttavia, la pesante sconfitta subita contro i Celti nel 390 a.C. portò il comando militare romano a modificare il sistema di combattimento, passando dal sistema “a falange” al sistema “a manipoli”. I manipoli erano unità di combattimento più piccole e manovrabili, essendo composte da un massimo di 150 unità di fanteria, punto nevralgico dell’esercito romano.
La Legione in battaglia
L’attacco delle legioni cominciava con il centurione che ordinava la carica. Le prime linee della fanteria, dunque, avevano il compito di sfoltire e scompaginare le linee nemiche scagliando i giavellotti che avevano in dotazione. Così facendo, agevolavano il combattimento ravvicinato con il gladio in formazione “a linea tripla”.
Per spiegarlo in maniera semplice: la fanteria si disponeva su 3 linee. La prima linea colpiva il nemico; dopodichè, scalava di posizione, retrocedendo in ultima fila. La seconda linea, dunque, diventava la prima e, dopo l’attacco, scalava in ultima posizione permettendo alla terza linea di attaccare. Questo meccanismo bellico agiva con precisione millimetrica. Ad ogni legione veniva poi assegnato un reparto di cavalleria, che poteva arrivare a 300 unità. La cavalleria si schierava ai lati della legione. Quando il nemico stava per essere sconfitto, i soldati non praticavano la manovra a tenaglia (non circondavano gli avversari). Lasciavano invece una via di fuga strategica, ovvero aprivano uno spiraglio nello schieramento della fanteria in modo tale da incanalare la fuga nemica verso le linee di cavalleria. Queste ultime tagliavano la strada ai fuggitivi per poi eliminarli.
Con il passare degli anni, la tattica principale dell’esercito romano sarebbe diventata la Testuggine. Quest’ultima consisteva in un muro di scudi che difendeva la parte frontale e i due lati dello schieramento con un muro di scudi da cui fuoriuscivano le lame dei gladi e le punte delle lance che trafiggevano i nemici senza scoprire lo schieramento.
La riforma di Gaio Mario
Nonostante tutto, il modello bellico romano ebbe bisogno di essere riformato. Nel 102 a.C., infatti, sotto il sapiente comando del console Gaio Mario, l’esercito romano raggiunse livelli mai visti prima, arrivando a contare addirittura 130.000 uomini. Ma cosa fece Gaio Mario per portare Roma ad un tale livello militare?
Ebbene, egli riformò l’esercito estendendo l’arruolamento di stampo volontario anche agli uomini appartenenti ai ceti meno abbienti. Coloro che passavano la prima selezione venivano sottoposti ad un colloquio e ad una visita medica per verificare l’integrità morale e, soprattutto, fisica. Al termine di questo secondo step, i neo-arruolati ricevevano una paga di 3 monete d’oro, venendo poi spediti nelle province assegnate. Questa riforma dell’arruolamento diede vita ad una nuova generazione di soldati professionisti che scalarono le gerarchie militari e che divennero vere e proprie leggende della Storia Romana.
Le Legioni nella fase imperiale di Roma
È importante evidenziare che il momento di massimo splendore e “massimo peso politico” delle legioni romane lo si ebbe nella fase imperiale cominciata, secondo le cronache storiche, con la sconfitta di Marco Antonio ad opera di Ottaviano e Agrippa ad Azio (in Grecia, nell’Acarnania occidentale), nel 31 a.C. In realtà, l’inizio “ufficiale” della fase imperiale romana fu il 23 a.C., anno in cui fu conferita ad Ottaviano Augusto la “potestas tribunicia”.
Questa “potestas” fu la vera base del potere imperiale dell’erede di Giulio Cesare. Proprio nella fase inaugurata da Augusto, le legioni ebbero un incredibile peso, giungendo al loro “apogeo politico” nel 69 d.C. In questo anno, passato alla storia come “l’anno dei 4 imperatori”, le legioni stanziate in 4 diverse province romane elessero i loro 4 imperatori: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano.
Dalla contesa emerse Vespasiano, imperatore fino al 79 d.C. Un altro fulgido esempio del grande peso politico che le legioni ebbero nella storia della Roma Imperiale fu il periodo della cosiddetta “Anarchia militare”. Dal 235 al 284 d.C., furono le legioni ed i pretoriani (i soldati d’elitè che avevano la funzione di guardia del corpo dell’Imperatore) ad eleggere gli imperatori. In questo periodo di tempo si susseguirono 14 imperatori, da Massimino Il Trace ad Emiliano, passando per Decio ed Ostiliano, fino ad arrivare a Gordiano.
Conclusione
Ecco dunque spiegato il segreto della grandiosa espansione della Roma prima repubblicana, poi imperiale. L’antica Roma fu un luminoso esempio di progresso legislativo, culturale, tecnico, scientifico ed architettonico. Ma senza l’importantissimo e fondamentale apporto delle legioni romane, probabilmente oggi parleremmo di un altro passato, un passato diverso da come lo conosciamo. Ma questa, è proprio il caso di dirlo, è un’altra Storia.
Francesco Ummarino per Questione Civile