L’altro pulp: il suo significato
Per arrivare al pulp dovremo partire da lontano.
Belgio, 1944. Le truppe di fanteria tedesche devono raggiungere Anversa e nel farlo trovano sbarrata la strada dalla 101ª aviotrasportata americana. La fanteria tedesca ha un numero di uomini maggiore ed è meglio abituata al freddo: gli americani vengono accerchiati.
Stati Uniti, 1994. Mickey e Mallory sono due giovani amanti in fuga per il deserto e non si rendono conto di essere finiti in un covo di serpi. Quasi per miracolo, allucinati dalle droghe e dalle tossine del veleno, raggiungono una farmacia notturna.
Due storie
La prima di queste due storie è assolutamente vera, la seconda non lo è per nulla. Sciogliamo le fila: nel primo caso i tedeschi non arrivano ad Anversa, la fanteria del Fuhrer cade e gli Alleati vincono la battaglia di Bastogne. Sì, Mickey e Mallory raggiungono la farmacia ma non trovano una lieta accoglienza; sono dei ricercati assassini nati e nel giro di pochi minuti vengono arrestati dalla polizia.
Enrico Brizzi è l’autore sulla bocca di tutti i giovanissimi degli anni Novanta: il suo romanzo Jack Frusciante è uscito dal gruppo è un successo editoriale. Due anni dopo quel romanzo, è il 1996 e Brizzi tira fuori dal cilindro quello che in Italia sembra uno schiaffo al buon costume letterario: Bastogne, un romanzo pulp. Dieci anni dopo, in memoria dell’amato Paz, Maurizio Manfredi rielabora insieme a Brizzi la storia per renderla una graphic novel, un romanzo a fumetti. Il risultato sembra lo storyboard di Milano Calibro 9 di Fernando di Leo o, per ritornare alla storia dei nostri due amanti in fuga, sembra una raccolta di fotogrammi di Natural Born Killers (o Assassini Nati) di Oliver Stone del 1994.
Il pulp com’era
Troppe date. Troppi nomi. Poca chiarezza.
Tra i lettori ci saranno assidui fruitori di pellicole cinematografiche, e se anche così non fosse, il titolo a cui sto pensando non sarebbe una novità assoluta. Ultima data, ultimo nome. È il 1994 e siamo estasiati dal sentire Samuel L. Jackson (o Luca Ward) recitare a menadito il passo biblico di Ezechiele 25:17. All’uscita dal cinema torniamo a guardare la locandina del film: c’è Uma Thurman sovrastata dalla scritta PULP FICTION e affiancata dal nome del suo padre putativo: QUENTIN TARANTINO. Tutto sommato molti di noi hanno avuto questo film come atavico approccio al genere pulp. Ma non è stato certo Tarantino a inventarlo.
Come molti altri generi cinematografici, anche il pulp nasce in seno alla letteratura di genere alla metà degli anni Trenta negli Stati Uniti. Il termine «pulp» indica la ‘polpa di legno’ da cui si ricava una carta economica molto utile per la produzione in serie di rotocalchi e di quella che, con accademico disprezzo, chiamiamo “letteratura popolare”; e tra i generi che propone c’è il pulp? Questo potrebbe essere un problema: a meno che un genere letterario non nasca da un definito manifesto, è difficile che i contemporanei lo riconoscano fin da subito come qualcosa a sé stante. Possiamo quindi immaginare la prima produzione pulp come qualcosa che voleva trasporre il noir cinematografico.
Atmosfere cupe in claustrofobiche metropoli che pullulano di criminali violenti e immorali; quindi, “giustizieri” che danno loro la caccia e che guardano dentro loro stessi per trovarsi soffocanti come le città che percorrono, violenti e immorali come i “mostri” che cacciano. Il pulp, più che figlio, è proprio specchio dei tempi. L’America della seconda metà degli anni Trenta fatica a ricordare la crisi economica: è la società dei consumi in età puberale.
Il pulp com’è: giustificare la violenza
Il pulp, volente o nolente, dato il tipo di lettori poco abituati ad una letteratura “alta” a cui si affaccia, ha la caratteristica di non giustificare le azioni violente che propone. Di necessità virtù: il pulpnel suo sviluppo – e con l’affacciarsi ad un pubblico più scolarizzato – fa del non-spiegare gli atti di violenza un marchio. Si passa da una semplicità poco ricercata ad un lavorio di semplicismo retorico che propone delle finte (e spesso paradossali) ragioni per la violenza.
Allora avremo Mickey di Natural Born Killers che, intervistato mentre è in carcere, si abbandona ad un darwinismo didattico: «Che cos’è un omicidio, amico? Tutte le creature di Dio uccidono […]».
Oppure, i giovani ventenni di Bastogne che fuggono con violenza dalla crème borghese in cui si sono volontariamente immersi “giustificando” l’abuso di droghe e di donne con l’alienazione a cui li obbliga l’iper-modernismo.
Provando a mettere un punto, il pulp nella sua “forma stabilizzata” porta due elementi: la violenza mal o im-motivata ed uno specchio (un po’ distorto) della società dei consumi. Volendo semplificare, Bastogne e Natural Born Killers non sono altro che questo. Ma allora perché definirli altro? L’editoria su carta non è il medium principale di storie d’invenzione da almeno un secolo.
Il cinema – oggi affiancato dalla serialità – è il portavoce della fiction. Da parte sua, il pulpdel cinema è quello che da un ventennio porta in sala Quentin Tarantino, tanto che accorti critici cinematografici si sono preoccupati di distinguere tra pulp e “tarantinismo”.
Tarantino ha fatto aderire a sé stesso un genere il quale, per la forza dell’autore, è divenuto soltanto quello che l’autore propone. E se il pulp rende immotivata la violenza o la giustifica con semplicismi retorici, Tarantino fa di più: destruttura questa violenza. Non stiamo parlando di inversioni vittima/carnefice, ma quasi una “catena di significazione” che decostruisce quello che è l’atto di violenza: così, in Pulp Fiction, Jules e Vincent, mentre vanno a compiere un omicidio su commissione non discutono delle modalità di questo, ma del recente viaggio di Vincent in Francia.
La società di consumo
Il dialogo tra i due sicari ci aiuta anche a capire cosa ne fa Tarantino del secondo punto: lo specchio della società dei consumi. Vincent non parla di Gioconde o di Tour Eiffel, ma di come cambino i nomi dei prodotti sul menù del McDonald’s; e sempre nello stesso dialogo, un appassionato Jules spiega cos’è un pilot televisivo. In questo caso Tarantino ha rispettato la caratteristica fondante del genere? In verità, i riferimenti a prodotti di consumo nel film si limitano quasi solo a questo dialogo, considerando inoltre la scelta di portare marche totalmente inventate come le sigarette Red Apple.
Sull’essere specchio dei consumi sia Bastogne che Natural Born Killers, l’altro pulp,si comportano in maniera sovrabbondante. Il fumetto di Brizzi trabocca di riferimenti a divi e loghi lontani nella memoria. Le vignette disegnate da Manfredi sembrano dei cartelloni pubblicitari e il lettore si troverà disperso nel riconoscere complessi incastri mediali, come la scritta SEX PISTOLS che sostituisce BORN TO KILL sull’elmetto di Full Metal Jacket.
Da parte sua, Natural Born Killers fa poco affidamento alla sostanza dei loghi quanto piuttosto all’apparenza del consumo. Un film che Oliver Stoneha definito «una satira ai media televisivi» non può non ritrovarsi ricolmo di una diegesi che richiama la TV americana: scene epilettiche in cui i protagonisti vengono trasformati in cartoni animati, o la sequenza iniziale in cui il lungo flashback dell’adolescenza di Mallory viene reso come una puntata di una sit-com con tanto di risate finte di sottofondo.
Concludiamo da lontano così come abbiamo iniziato: a Bastogne, quella vera, i nazisti perdono. E nelle nostre storie, invece, chi vince? La risposta più semplice da dare è che a vincere siano i cattivi, ma forse non stiamo guardando dalla giusta prospettiva: a vincere non sono semplicemente i cattivi, ma i protagonisti. Il prezzo è il vedere distrutto, sconquassato nella pratica e nei valori, il mondo in cui questi protagonisti si sono mossi per tutto il tempo. Che siano i criminali di Pulp fiction, degli Assassini nati o dei giovani tossicodipendenti degli anni Ottanta chi vince si lascia intorno nient’altro che desolazione. Non rimane che Bastogne.
Salvo Lo Magno per Questione Civile