La storia di Mu’ammar Gheddafi
Oggi, l’Archivio di Storia delle Relazioni Internazionali presenta il profilo di uno dei dittatori più longevi nel panorama mondiale: il libico Mu’ammar Gheddafi.
Brevi cenni biografici su Mu’ammar Gheddafi
Gheddafi nasce il 7 giugno 1942 presso un piccolo villaggio della Tripolitania. Tra il 1956 e il 1961 frequenta la scuola coranica di Sirte, in cui viene a contatto con le idee panarabe del Presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, alle quali aderisce con entusiasmo. Nel 1961 decide di iscriversi all’Accademia Militare di Bengasi. Dopo aver svolto un breve periodo di specializzazione in Gran Bretagna, comincia la propria carriera nelle file dell’esercito libico, ricevendo la nomina al grado di capitano all’età di 27 anni.
Mu’ammar Gheddafi e la rivoluzione
Insoddisfatto del governo guidato dal re Idris I, giudicato da Gheddafi e da altri ufficiali troppo servile nei confronti di Stati Uniti e Francia, il 26 agosto 1969 si pone alla guida del colpo di Stato organizzato contro il sovrano, che conduce, nello stesso anno, alla proclamazione della Repubblica Araba di Libia guidata da un Consiglio del Comando della Rivoluzione composto da 12 militari di tendenze panarabe filo-nasseriane. Una volta al potere, Gheddafi fa approvare dal Consiglio una nuova costituzione, abolisce le elezioni e tutti i partiti politici, rendendo la Libia uno Stato assolutamente distante dall’assetto democratico e dal rispetto dei diritti individuali.
La politica della prima parte del governo Gheddafi tenta di unire i principi del panarabismo con quelli della socialdemocrazia: in nome del Nazionalismo arabo, decide di nazionalizzare la maggior parte delle proprietà petrolifere straniere, di chiudere le basi militari statunitensi e britanniche, in special modo la base “Wheelus”, ridenominata “ʿOqba bin Nāfiʿ”, e di espropriare tutti i beni delle comunità italiana ed ebraica, espellendole dal paese.
I nemici di Gheddafi
La sua ideologia anti-israeliana e anti-statunitense lo porta a sostenere gruppi terroristi, tra cui l’IRA irlandese e il Settembre Nero palestinese. Viene anche accusato dall’Intelligence statunitense di essere l’organizzatore degli attentati in Sicilia, Scozia e Francia, anche se per questi atti si è sempre proclamato estraneo.
La rottura ufficiale con gli Stati Uniti avviene nel 1986, anno in cui la Marina Militare degli Stati Uniti, durante alcune operazioni di addestramento al largo della costa libica, all’interno del Golfo della Sirte in quelle che secondo il diritto internazionale sono acque internazionali, viene intimata da Gheddafi di allontanarsi da quelle che unilateralmente considera “acque libiche”. Dal rifiuto imminente ricevuto dagli americani, i libici lanciano sei missili contro alcuni aerei statunitensi, mentre la marina statunitense reagisce affondando due navi pattuglia libiche e distruggendo una postazione missilistica. Sempre nel 1986, la notte del 4 aprile, l’esplosione di un ordigno in una discoteca di Berlino Ovest usualmente frequentata da militari statunitensi provoca la morte di 3 persone e il ferimento di altre 229. Le attività di intelligence statunitensi, anche a seguito dell’intercettazione di un telex inviato dalla sede dell’ambasciata libica in Germania Est, attribuiscono l’attentato alle forze terroristiche legate a Gheddafi.
Il blitz di Reagan
La tensione tra i due paesi giunge al 15 aprile 1986, data del blitz militare sulla Libia per volere del presidente statunitense Ronald Reagan (per saperne di più, clicca qui): un massiccio bombardamento (operazione El Dorado Canyon) raggiunge anche il suo compound di Bāb al-ʿAzīziyya, che viene raso al suolo. Gheddafi ne esce incolume ma dichiara che la propria figlia adottiva Hanna è rimasta uccisa; tale versione si dimostrerà falsa poiché la ragazza comparirà un paio d’anni più tardi, assolutamente viva, in un video insieme allo stesso Colonnello, il quale si scoprirà essere stato preventivamente avvertito delle intenzioni statunitensi da Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio italiano. In risposta, il 16 aprile Gheddafi autorizza il lancio di due missili SS-1 Scud contro il territorio italiano di Lampedusa; i missili fortunatamente non provocano danni.
Quando Gheddafi scopre che il Regno Unito ha fornito le basi agli aerei americani per il blitz, decide di aumentare gli aiuti all’IRA. Il 21 dicembre 1988 esplode un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese di Lockerbie, dove periscono tutte le 259 persone a bordo e 11 cittadini di Lockerbie: prima dell’11 settembre 2001 (per saperne di più, clicca qui), questo è l’attacco terroristico più grave mai avvenuto. L’ONU attribuisce alla Libia la responsabilità dell’attentato aereo, chiedendo al governo di Tripoli l’arresto di due suoi cittadini accusati di esservi direttamente coinvolti. Al netto e insindacabile rifiuto di Gheddafi, le Nazioni Unite approvano la Risoluzione 748, che sancisce un pesante embargo economico contro la Libia.
Gheddafi contribuisce notevolmente alla sconfitta dell’Apartheid in Sudafrica, dando sostegno sia economico che militare all’Anc (African National Congress) di Nelson Mandela. Dopo la sua scarcerazione, infatti, Mandela visita la Libia come ringraziamento nei confronti di Gheddafi. Inoltre, dichiara:
“Coloro che ieri erano gli amici dei nostri nemici, ora hanno la sfacciataggine di propormi di non visitare il mio fratello Gheddafi, ci consigliano di mostrarci ingrati e di dimenticare i nostri amici di ieri […] Ho tre amici nel mondo, e sono Yasser Arafat, Mu’ammar Gheddafi e Fidel Castro”.
Mu’ammar Gheddafi e l’Italia
In riferimento alle relazioni tra la Libia e l’Italia nel dettaglio vi è sicuramente da fare luce sulle vicende relative all’espulsione di oltre ventimila italiani residenti in Libia, a cui è seguita la confisca di tutti i beni in violazione del trattato italo-libico del 1956, stipulato sulla base della Risoluzione Onu del 1950 che imponeva alla Libia il rispetto dei diritti e degli interessi delle minoranze residenti nel Paese.
Il valore dei beni è stato calcolato, al 1970, dal Governo italiano in 200 miliardi di Lire per il solo valore immobiliare. Includendo i depositi bancari e le varie attività imprenditoriali ed artigianali con relativo avviamento, questa cifra supera i 400 miliardi di Lire che, attualizzati ai giorni nostri, ammonterebbe a circa 3 miliardi di euro. In trentasette anni, non vi è mai stato un provvedimento ad hoc che prevedesse l’adeguato risarcimento per la confisca del 1970. Gli aventi diritto hanno beneficiato solo delle provvidenze previste dalle leggi di indennizzo a favore di tutti i cittadini italiani che hanno perso beni all’estero.
La confisca del 1970 è stata giustificata da Gheddafi come parziale ristoro dei danni derivanti dalla colonizzazione. Il Governo italiano, d’altro canto, non ha mai preteso dai libici il rispetto del trattato violato ricorrendo alla prevista clausola arbitrale.
Il comunicato congiunto
Il contenzioso avrebbe dovuto chiudersi con la stipula del Comunicato congiunto, avvenuta nel 1998. Infatti, il documento prevedeva esborsi dell’Erario italiano, ma non sarebbe mai stato inviato a ratifica parlamentare a testimonianza della prudenza con cui l’Italia voleva trattare con la Libia. L’accordo prevedeva una serie di azioni dirette da parte del Governo italiano, nonché la realizzazione di progetti economici a cura di una società mista che avrebbe raccolto contributi da vari soggetti pubblici e privati, italiani e libici.
Tuttavia, il Comunicato congiunto si dimostrava inefficace per chiudere definitivamente le tensioni tra Italia e Libia. Per questo motivo, si fece strada l’idea di un “grande gesto” con il quale accontentare le pretese libiche ed evitare il ripetersi in futuro di minacce, sequestri di imprenditori italiani ed atti simili.
La strana amicizia con Silvio Berlusconi
Pian piano l’idea del grande gesto inizia a prendere forma attraverso la costruzione di un ospedale oncologico sotto la supervisione dei maggiori specialisti italiani, oggetto che poteva richiedere un investimento a fondo perduto da parte del Governo italiano pari a 60 milioni di euro. L’idea dell’ospedale comincia a concretizzarsi e finalmente viene espressa in un incontro tra il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il colonnello Gheddafi il 28 ottobre 2003.
Al leader libico l’ospedale, però, non basta e richiede al cavaliere italiano qualcosa di più costoso: un’autostrada lungo la costa libica dal confine tunisino a quello egiziano, opera del costo tra 1,5 e 6 miliardi di euro. Tale richiesta viene in seguito discussa con una certa serietà, finché nel dicembre 2004 un incontro tecnico termina senza risultati, poiché la parte italiana si dimostra non in grado di assicurare l’impegno politico a finanziare l’intera autostrada.
Nel 2004, nel corso di una visita in Libia dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il colonnello Gheddafi afferma che, da quel momento, il 7 ottobre non sarebbe più stato celebrato in Libia come il “Giorno della Vendetta”, bensì come il “Giorno dell’Amicizia” tra i due Stati. Nel 2005, Gheddafi indice nuovamente la “Giornata della vendetta” contro l’occupazione italiana, a suo dire in seguito alle promesse non mantenute dall’Italia stessa. Tale commemorazione viene nuovamente abolita il 30 agosto 2008.
Il trattato di amicizia con l’Italia
Il 30 agosto 2008, Gheddafi e Berlusconi firmano un trattato di Amicizia e Cooperazione, nella città di Bengasi. Il trattato viene ratificato dall’Italia il 6 febbraio 2009 e dalla Libia il 2 marzo, durante una visita di Berlusconi a Tripoli. Tale trattato comporta notevoli oneri finanziari a carico dell’Italia ed offre una cornice di partenariato tra i due paesi: in particolare, il trattato di Bengasi rappresenta il definitivo accoglimento da parte italiana delle rivendicazioni libiche in materia di risarcimenti per le vicende coloniali attraverso la costruzione di un’autostrada di duemila chilometri lungo la costa libica, con una spesa totale 3,5 miliardi di euro, bilanciata in modo solo parziale dalla chiusura del contenzioso con le ditte italiane danneggiate dalle decisioni libiche prese nel 1970, che ha un valore stimato di soli 600 milioni.
La guerra civile e la fine di Mu’ammar Gheddafi
Nel febbraio del 2011 anche la Libia, sull’onda della cosiddetta Primavera Araba, vede l’insorgere dei moti di insurrezione popolare, che ben presto sfociano in una guerra civile nella quale la NATO (per saperne di più, clicca qui) avrebbe in seguito fatto il suo ingresso fiancheggiando le forze ribelli.
L’Italia, per voce del governo Berlusconi IV, è uno dei primi stati a riconoscere l’esercito libero libico. Berlusconi dichiara di non voler “disturbare” Gheddafi, dopo le prime repressioni delle proteste. In seguito, definisce “inaccettabili” gli attacchi militari sui dimostranti, dopo le prime centinaia di morti. Franco Frattini, magistrato italiano e per due volte Ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, si mostra preoccupato per le conseguenze sul fronte dell’immigrazione, e supporta l’idea di una riforma costituzionale della Libia ad opera dello stesso regime, arrivando ad affermare che l’Unione europea «non deve interferire» nei processi di transizione nel mondo arabo.
Il 20 ottobre 2011, Gheddafi tenta di guadagnare il deserto per continuare la lotta, ma il convoglio in cui viaggia viene individuato dai droni inviati dal Presidente degli Stati Uniti Obama e attaccato da parte di aerei militari francesi. Raggiunto da elementi del CNT (Comitato Nazionale di Transizione), Gheddafi viene ferito alle gambe e catturato vivo. Dopo essere stato ripetutamente picchiato, stuprato e brutalizzato, viene ucciso con un colpo di pistola alla testa. Successivamente, il suo cadavere viene trasportato a Misurata, esposto al pubblico e sepolto in una località segreta nel deserto libico. Suo successore sarà suo figlio Sayf al-Islam Gheddafi, il quale, il 23 ottobre 2011, dichiara in un breve messaggio audio di voler vendicare la morte del padre e di continuare la resistenza contro il CNT, le forze della NATO e l’esercito francese sino alla fine:
“Io vi dico, andate all’inferno, voi e la NATO dietro di voi. Questo è il nostro Paese, noi ci viviamo, ci moriamo e stiamo continuando a combattere”.
Martina Ratta per Questione Civile