Beatrice Cenci, storia di un processo e di un mito nell’arte
L’Archivio di Storia Moderna e l’Archivio di Storia dell’Arte raccontano uno dei casi giudiziari più enigmatici della Roma di fine ‘500. Beatrice Cenci fu accusata e giustiziata per l’omicidio del padre. Il suo volto è comunemente identificato con la figura vestita di bianco in un dipinto delle Gallerie Nazionali di Roma.
Chi era Beatrice Cenci?
Beatrice Cenci nacque a Roma il 6 febbraio 1577 da una delle famiglie più antiche della città; era la figlia del conte Francesco Cenci (quest’ultimo figlio di Cristoforo Cenci, tesoriere della Camera Apostolica, da cui eredita una grande fortuna) e di Ersilia Santacroce. Alla morte della madre, nel 1584, venne affidata, insieme ad una delle sorelle, Antonina, al monastero di Santa Croce a Montecitorio.
Tornò a casa all’età di quindici anni, trovando una situazione difficile; nel frattempo, nel 1593, suo padre si sposò in seconde nozze con Lucrezia Petroni.
L’esilio di Beatrice Cenci
A Palazzo Cenci si respirava un’aria di tensione e violenza. Le due figlie del Conte, Antonina e Beatrice, cercarono di ribellarsi; Antonina, la sorella maggiore, pur di scappare da quel Palazzo, scrisse una lettera a Papa Clemente VIII, chiedendogli di trovarle un marito o di farla andare in convento.
Il Papa optò per la prima soluzione e Antonina sposò Carlo Gabrielli, un nobile di Gubbio (Umbria). Beatrice, invece, rimase a casa, in quel clima di terrore. Anche lei tentò di far avere al Papa una sua lettera e, inoltre, chiese aiuto a suo fratello maggiore, Giacomo, che viveva con la sua famiglia; non servì a nulla in quanto Francesco Cenci le impedì di sposarsi.
Non solo: il Conte Cenci decise di trasferirsi con la moglie Beatrice e i due figli più piccoli a Petrella Salto, un piccolo paese che all’epoca segnava il confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli (oggi confine tra Lazio e Abruzzo); qui riuscì ad ottenere dalla famiglia Colonna (famiglia feudataria di Petrella) la famosa “rocca”.
A Petrella la vita di Beatrice peggiorò; il padre teneva lei e la moglie segregate dentro la rocca ed era costretta, secondo alcune testimonianze, a vedere la violenza del padre nei confronti della moglie.
L’omicidio di Francesco Cenci
A Petrella vi era un castellano, Olimpio Calvetti, uomo dei Colonna; Calvetti accettò di far uscire le disperate lettere di Beatrice indirizzate a suo fratello Giacomo.
Proprio Calvetti, con la complicità di Giacomo e Marzio Catalano, un suo conoscente, progettò l’omicidio di Francesco Cenci; come complici vi furono anche Beatrice, Lucrezia e Bernardo, il fratello più piccolo della fanciulla.
All’inizio si pensò di avvelenarlo, ma poi si passò ad attuare qualcosa di più cruento.
Era l’alba del 9 settembre 1598: Olimpio, Marzio e Beatrice si recarono nella stanza di Cenci; Olimpio lo colpì violentemente alla testa con un martello (si parla anche di un chiodo), mentre Marzio gli spezzò gli stinchi con un mattarello.
A questo punto dovevano liberarsi del corpo: tentarono di far passare la morte di Cenci per un incidente: aprirono un foro nelle assi marce di un ballatoio, tentando di mettere il corpo; il foro, però, era troppo piccolo, quindi decisero di gettarlo dalla balaustra della rocca.
Dopo il ritrovamento del corpo, si svolsero le esequie e Cenci venne sepolto nella chiesa del paese; i familiari non parteciparono, ma tornarono a Roma.
Le indagini e il processo
La versione della caduta accidentale non convinceva: Marzio Colonna, il feudatario di Petrella, chiese un’indagine e, con la riesumazione del cadavere, si escluse categoricamente una caduta.
Il giudice Ulisse Moscato fece arrestare Marzio Catalano, che sotto tortura confessò la congiura. Nel gennaio 1599, vennero arrestati Giacomo e Bernardo e, quasi un mese dopo, Beatrice e Lucrezia.
Sia Giacomo, sia Bernardo, sia Lucrezia accusarono Beatrice del delitto. Dopo aver negato un suo coinvolgimento, sotto tortura Beatrice confessò.
Nonostante la difesa di un noto avvocato dell’epoca, Prospero Farinacci, la giovane venne condannata a morte insieme alla matrigna e al fratello Giacomo; Bernardo, per la sua giovane età, ebbe salva la vita ma dovette assistere alle esecuzioni dei parenti.
L’11 settembre 1599, nella piazza di Castel Sant’Angelo, vennero eseguite le condanne: Lucrezia e Beatrice tramite decapitazione, mentre Giacomo tramite squartamento.
Beatrice Cenci, un ritratto iconico
La vicenda di Beatrice Cenci ebbe un grande impatto sui contemporanei. La Roma di papa Clemente VIII si stava preparando al grande giubileo del 1600. Il processo Cenci divenne un vero e proprio mezzo propagandistico, attraverso cui il potere papale affermò la sua indiscussa autorità.
La condanna a morte della giovane suscitò grande commozione nel popolo romano. Alla sua esecuzione pubblica il popolo romano era accorso numerosissimo e le cronache cittadine raccontano dell’assoluto silenzio durante l’esecuzione.
Anche molti artisti assistettero all’evento, come ad esempio Caravaggio. Infatti, la sanguinolenta scena del celebre dipinto “Giuditta e Oleoferne”, probabilmente dipinto proprio intorno al 1599, è così realistica da far supporre che egli abbia “preso appunti” dalla decapitazione della Cenci.
Forse anche Guido Reni si trovava a Roma nell’anno del processo Cenci.
E proprio a lui è tradizionalmente attribuito il ritratto, oggi conservato presso le Gallerie Nazionali Barberini Corsini, da sempre associato a Beatrice Cenci.
Guido Reni o Ginevra Cantofoli?
Infatti, la giovane effigiata è raffigurata con una veste bianca ed un turbante che le avvolge il capo, pochi essenziali indumenti come doveva essere di regola nelle carceri romane.
Alcune prove a favore del pittore bolognese sarebbero emerse durante il restauro eseguito nel 1999. Alcune indagini diagnostiche hanno mostrato la presenza di alcuni pentimenti, mentre le analisi chimiche hanno permesso di datare la tela e i pigmenti al primo Seicento.
Tuttavia, non avendo prove certe sull’arrivo di Reni in città, gli studiosi hanno proposto altri autori. L’ipotesi sinora più accreditata riguarda Ginevra Cantofoli. Pittrice bolognese, poco nota e attiva nei primi decenni del XVII secolo, fu in realtà protagoinsta del cenacolo artistico femminile creato da Elisabetta Sirani a Bologna.
Sono stati riconosciuti di sua produzione numerosi dipinti di soggetti femminili malinconiche, come ninfe e sibille. Infatti, chi attribuisce il dipinto alla Cantofoli, ritiene anche che la giovane sia da identificare con una generica Sibilla. Le donne della Cantofoli hanno uno sguardo malinconico, forse legato alla natura riservata e schiva dell’autrice.
La fortuna del ritratto di Beatrice
Fino al 1783, il dipinto si trovava nella collezione della Famiglia Colonna.
Successivamente, intorno al 1818-1819, passò ai Barberini, come risulta anche dai loro inventari. Molti viaggiatori e artisti ebbero modo di vederlo, visto che sono note numerose copie e stampe di traduzione. Insomma, quel volto nell’immaginario comune era Beatrice Cenci.
Tanto che alcuni pittori, come Achille Leonardi o Enrico Fanfani immaginarono e dipinsero Guido Reni mentre ritraeva la condannata in carcere.
Beatrice Cenci nell’illustrazione ottocentesca
Nell’Ottocento, Beatrice Cenci era ormai una figura mitizzata, perdendo sempre di più i contorni di un personaggio storico, che solo recentemente dall’analisi dei documenti del processo si è andato recuperando.
Alla fine del ‘700, la salma di Beatrice posta sotto l’altare della Chiesa di San Pietro in Montorio fu violata dai soldati francesi. Il pittore Vincenzo Camuccini, presente all’episodio, raccontò che i soldati si impossessarono del vassoio d’argento sui cui era stata posta la testa della ragazza.
A due secoli di distanza dalla tragica vicenda dei Cenci, molti artisti e letterati interpretarono a loro modo la giovane Beatrice.
Nel 1870, fu pubblicato a Firenze dall’editore Ricordi un album di incisioni intitolato: “Ultimi avvenimenti della vita di Beatrice Cenci rappresentati nelle seguenti 10 tavole“. L’album, venduto al prezzo mediamente accessibile di 20 lire, raffigura con grande perizia di particolari la storia di Beatrice dall’ingaggio dei sicari sino alla truculenta morte del fratello.
Non si conosce il nome dell’artista che realizzò queste immagini, ma è molto probabile che avesse letto il romanzo scritto da Francesco Domenico Guerrazzi, “Beatrice Cenci storia del secolo XVI“, pubblicato nel 1854.
A questo testo si ispirarono anche alcuni pittori, come Antonio Benini, che raffigurò Beatrice, con i lunghi capelli sciolti ed una gonna gialla, mentre saluta la sua dama di compagnia.
Margherita Rugieri e Ilaria Arcangeli per Questione Civile