Dalla Bologna di fine Cinquecento alla Roma di inizio Seicento: Lavinia Fontana
Sono centinaia le opere oggi attribuite alla pittrice bolognese, Lavinia Fontana (1552-1614). Stimata dai colleghi e richiestissima da committenti importanti, come sovrani, ecclesiastici, eruditi. Nelle sue opere riuscì a coniugare gli esiti del tardomanierismo con le innovazioni naturalistiche apportate dai Carracci.
Il padre Prospero Fontana e l’avvio alla pittura
Lavinia era figlia del noto pittore Prospero che alla metà del XVI secolo raggiunse una piena affermazione artistica. Dalle testimonianze dello storico Carlo Cesare Malvasia, sappiamo che Prospero Fontana partecipò attivamente alla vita culturale cittadina, intrattenendo rapporti di amicizia con intellettuali di spicco.
Crescendo in questo clima vivace e ricco di stimoli, Lavinia maturò molte conoscenze oltre alla pratica pittorica. Come è stato ricostruito sulla base di alcuni documenti verso la fine degli anni Settanta, la pittrice lavorava ormai autonomamente anche per committenti illustri.
Il Noli me tangere: un’opera giovanile
Il Noli me tangere, oggi conservato agli Uffizi, è tra le opere più riuscite del periodo giovanile: nel 1581 Lavinia dimostra una grande maturità artistica. Nonostante il dipinto sia datato e firmato, non vi sono altri elementi che aiutino a comprendere chi possa averlo commissionato alla pittrice. Vista la sua presenza nelle collezioni dei Medici, potrebbero essere proprio loro i committenti.
La scena dell’incontro tra la Maddalena e Cristo risorto è rappresentata dalla pittrice in una nuova chiave rispetto ai suoi modelli di riferimento, come ad esempio il dipinto di Correggio oggi al Prado. Lavinia sceglie di umanizzare le due figure e di vestirle in modo semplice. Cristo sembra quasi un giardiniere, con un cappello di paglia a ripararlo dal sole.
Molto dettagliato è anche il paesaggio e la vegetazione circostante in cui piante e fiori sono descritte minuziosamente. Sono quindi presenti molti riferimenti alla cultura pittorica contemporanea, da quella popolare a quella di ascendenza fiamminga.
La svolta carraccesca nel Ritratto di famiglia
Alla fine del XVI secolo, la città di Bologna fu protagonista di importanti ricerche artistiche. Queste generarono una vera e propria rivoluzione pittorica nei primi decenni del Seicento. Agostino, Ludovico e Annibale Carracci avevano fondato la cosiddetta Accademia degli Incamminati, dove si formarono molti giovani e promettenti artisti.
Anche Lavinia fu molto influenzata da questo nuovo modo di dipingere, come si riscontra nel Ritratto di famiglia. Da un’osservazione più ravvicinata, infatti, si vede come la pittrice abbia dato forma ai personaggi con maggiore rapidità, tanto che si possono percepire i filamenti del pennello. Questa evoluzione stilistica va rintracciata proprio nello studio delle opere di Ludovico Carracci.
Al contrario, il taglio compositivo del ritratto di gruppo sembra piuttosto ripreso dal pittore bolognese Bartolomeo Passerotti, che certamente Lavinia ebbe modo di incontrare. Sebbene non si conosca l’identità dei sette personaggi ritratti, la caratterizzazione fisiognomica insieme a una mimica accentuata lasciano immaginare che la pittrice potrebbe averli ritratti dal vero.
Lavinia e Vincenzo I Gonzaga
Tra i vari committenti di Lavinia va quasi certamente incluso il Duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, anche se non vi sono documenti che lo confermino. Il soggetto del dipinto è specificato nell’iscrizione in basso a sinistra, tratta dalla Bibbia:
“REGINA DI SABA VENITIN HIERUSALEM, UTTENTARET SALOMONEM / INENIGMATIBUS, ET DEDIT EI MULTA AC MAGNA MUNERA / PARALIPOMENON, II, CAP. IX”.
Ma come ha anche suggerito il celebre storico dell’arte Luigi Antonio Lanzi:
“Vi è espresso, come in allegoria, il duca e la duchessa di Mantova con molti e molte della lor corte, vestiti in gran pompa; quadro da fare onore alla Scuola veneta”
(Lanzi, 1795-96)
Infatti, Salomone e Saba sembrano avere le sembianze dei duchi di Mantova, Vincenzo I Gonzaga ed Eleonora de Medici, ed è quindi assai probabile che siano proprio loro i committenti di Lavinia. Il duca potrebbe aver conosciuto la pittrice o a Ferrara nel 1598 o a Bologna nel 1600.
Osservando meglio il dipinto, è chiaro il messaggio politico che l’episodio biblico cela. Salomone, considerato un uomo estremamente saggio, Saba, moglie virtuosa, sono accompagnati da un corteo, tra cui figura anche un cane, che ci ricorda molto il cane dipinto da Andrea Mantegna della Camera Picta di Palazzo Ducale (1465-1475).
È come se con questo dipinto Vincenzo I volesse suggellare l’unione con la moglie, l’armonia con i cittadini e la continuità della sua dinastia.
Lavinia riesce sapientemente a combinare le richieste del committente, trasformando un soggetto religioso in una sorta di ritratto di corte. Come anche Lanzi osservava, molto deve la pittrice ai maestri veneti, ma anche ai lavori del padre e degli altri artisti bolognesi contemporanei come i Carracci.
Oltre alle straordinarie doti di ritrattista, in quest’opera Lavinia arricchisce con tanti piccoli particolari le vesti e i gioielli, rendendo quest’opera un vero capolavoro.
Da Bologna a Roma
Dopo la morte del padre, Lavinia, insieme al marito Giovanni Paolo Zappi e ai figli, entro la primavera del 1604 si stabilirono a Roma, grazie anche al sostegno del cardinal Gerolamo Bernerio. Infatti, aveva ricevuto una prestigiosa commissione per la basilica di San Paolo fuori le Mura, un Martirio di Santo Stefano, andato distrutto nel devastante incendio del 1823.
In pochi anni la sua fama crebbe a tal punto che nel 1611 fu realizzata una medaglia commemorativa in suo onore. Del resto, anche l’artista e scrittore Giovanni Baglione racconta il suo successo:
“Venne ella a Roma nel pontificato di Clemente VIII e per diversi particolari molto operò, e nel rassomigliare i volti altrui, qui fece gran profitto, e ritrasse la maggior parte delle dame a Roma e spetialmente le Signore Principesse e anche molti Signori Principi, e Cardinali onde gran fama e credito ne acquistò, e per esser una Donna, in questa sorte di pittura, assai bene si portava”
(Baglione 1642)
Nella città papale ricevette numerose commissioni, tanto che in alcuni casi fu costretta a rifiutare dei lavori. Tuttavia, poco resta della sua produzione di ritrattista, che invece sappiamo dalle fonti esser stata molto cospicua e prestigiosa: tra dame dell’aristocrazia, sovrani e perfino l’ambasciatore di Persia e il papa Paolo V.
Lavinia e Scipione Borghese
L’ultima opera certa realizzata dalla pittrice fu commissionata niente meno che da Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V Borghese e personaggio di spicco nella Roma di inizio Seicento.
Infatti, troviamo il dipinto citato nei documenti di famiglia tra il 1613 e il 1614, quando fu pagata al decoratore Alberto Durante “una cornice fatta nello stesso modo quale serve per la Pallade della Signora Lavinia Fontana”.
Inoltre, nel Novecento in seguito a un restauro è emersa un’iscrizione frammentaria, vicino al piede del putto in secondo piano, che ci conferma la data di esecuzione al 1613.
Protagonista della tela è Minerva, raffigurata di spalle, mentre volge il suo sguardo allo spettatore. La dea si trova in ambiente domestico e privato in cui si sta cambiando, sul pavimento infatti vi è l’armatura che sta sostituendo con un elegante peplo riccamente decorato.
La stanza si apre all’esterno dove oltre la balaustra di un balcone si scorgono l’ulivo e la civetta. Quest’ultima, tradizionalmente riconosciuta come animale saggio e prudente, era da sempre associata a Minerva. Così come l’ulivo che, secondo la leggenda, fu da lei creato sull’Acropoli di Atene nella sfida con Nettuno per la devozione del popolo ateniese.
Lavinia, quindi, eseguì questo dipinto a Roma – che omaggia inserendo la Cupola di San Pietro sullo sfondo – dove risiedeva ormai da molti anni e dove morì nel 1614. Questa sua ultima opera, Minerva in atto di abbigliarsi, insieme alla Cleopatra della Galleria Spada, è una delle poche opere visibili ancora oggi nella Capitale.
Proprio recentemente la Galleria Borghese, dove l’opera si conserva, ha intrapreso un nuovo intervento di restauro, in vista del riallestimento del dipinto nelle sale del Museo.
Ilaria Arcangeli per Questione Civile