La quadriennale riapre le porte al Palazzo delle Esposizioni di Roma, diciassettesima edizione dell’evento dedicato all’arte contemporanea
Cenni storici sulla Quadriennale
La Quadriennale di Roma è l’istituzione nazionale che ha il compito di promuovere l’arte contemporanea italiana. Nasce nel 1927 con l’idea di accentrare in Roma la miglior produzione dell’arte figurativa nazionale, lasciando alla Biennale di Venezia lo svolgimento di manifestazioni internazionali. Decisiva è stata la figura dell’artista Cipriano Efisio Oppo, deputato al Parlamento del Regno d’Italia e segretario nazionale del Sindacato delle belle arti, nonché segretario generale delle prime quattro edizioni della manifestazione romana. La rassegna ogni quattro anni documenta gli orientamenti più attuali delle arti visive nel nostro Paese.
Quadriennale 2020: perché FUORI
Il Palazzo delle esposizioni, da ottobre 2020, ospita la Quadriennale, curata da Stefano Collicelli Gagol e da Sarah Cosulich. Con il titolo “FUORI” si è voluto comunicare un invito a muoversi al di fuori dei percorsi più conosciuti dell’arte italiana. Un invito alla scoperta di artiste ed artisti meno conosciuti che riletti insieme possono raccontare la storia dell’arte italiana dagli anni ‘60 ad oggi in maniera differente. Il titolo è stato anche un omaggio alla prima associazione a favore dei diritti degli omosessuali degli anni ‘70 in Italia.
Gli ambiti tematici attorno ai quali si muove questa esposizione sono tre, tre aree di ricerca: la metafora del palazzo e la relazione che c’è sempre stata tra arte e potere, riconoscendo anche il titolo della sede storica della quadriennale. La seconda area di ricerca è stata il desiderio e l’arma della seduzione attraverso l’arte, strumenti come narrazione dell’arte italiana. Infine, l’eccesso nell’andare totalmente all’interno delle ossessioni degli artisti, una volontà molto presente tra i giovani delle varie generazioni
Gli artisti e i progetti
Questa è stata la prima edizione a presentare più donne che uomini. Per quanto riguarda il criterio con il quale sono stati selezionati i 43 artisti. Sono stati individuati venti giovani artisti promettenti e ad essi sono stati affiancati dieci artisti più grandi, tra i 40 e i 60 anni, ed altri dieci artisti considerati pionieri, figure che negli anni ‘60 hanno lavorato in vari ambiti artistici e che nel tempo non hanno avuto il meritato successo nelle esposizioni.
La rassegna è nata insieme ad un altro progetto. Per la prima volta nel 2017 è stato indetto un bando pubblico per l’assegnazione del ruolo di direttore artistico, vinto da Sarah Cosulich, per poter accompagnare negli anni, la quadriennale in un percorso di formazione e ricerca.
Le donne della Quadriennale: Cinzia Ruggeri
Cinzia Ruggeri (Milano, 1942-2019) è il biglietto di presentazione della mostra. La sua ricerca si muove tra moda, design, scultura, installazione ed architettura, sul confine tra gioco e sperimentazione. La dimensione domestica del suo lavoro, che ha un’impronta fortemente femminile, viene restituita in occasione di “FUORI” attraverso la creazione di una stanza in cui sono esposti molti lavori centrali del suo percorso.
L’artista inaugura, inoltre, la navata centrale della mostra: il vestito è per Ruggeri un’architettura abitata dal corpo, la cui silhouette viene distorta attraverso geometrie che si scontrano con le forme di chi lo indossa. I guanti, le scarpe, gli stivali rivelano la loro natura scultorea: gli STIVALI ITALIA, nel 1986, ironizzano sul concetto del made in Italy, ribaltando il machismo insito nel sentimento nazionalista con un’estrema femminilizzazione della geografia italiana.
La ritualità di Irma Blank
Irma Blank (Celle, 1934) indaga il segno nel suo prelinguistico, mettendo in atto un’esplorazione fisica della scrittura non semiotica e autoreferenziale che si dispiega in una sorta di trance. La ritualità del gesto è sottolineata dalla sua ripetizione. Le 38 tele che qui compongono bleu carnac, 1992, formano un corridoio che rievoca gli allineamenti megalitici di carnac in Bretagna, un percorso sacro scandito dal ritmo creato dal colore e dalle pause.
Ciascun esemplare della serie è stato dipinto dall’artista in assoluto silenzio, partendo dal centro della tela e facendo coincidere ogni pennellata con un respiro. Questo movimento, che mette in relazione il corpo con lo scorrere del tempo, sancisce un legame tra la trascrizione del mondo esterno, il ricordo delle sensazioni del paesaggio bretone e la creazione di un codice autobiografico.
L’altrove sospeso alla Quadriennale: Nanda Vigo
Nanda Vigo (Milano, 1936-2020) ha il potere, con in un gioco di specchi e luci, di portarci fuori dalla solita concezione dello spazio prospettico. Il rapporto tra luce e spazio è al centro della ricerca di Vigo, che unisce l’immaterialità dei riflessi e le forme solide geometriche per aprire le porte della percezione verso nuove dimensioni. Artista, architetto e designer, Vigo costruisce ambienti che si configurano come un altrove sospeso, dove si aprono passaggi che conducono verso uno spazio-tempo relativo. L’installazione è composta dall’insieme di opere con specchio e neon che scompongono la realtà e immergono il visitatore in una nuova condizione percettiva.
Ispirato da un lungo viaggio condotto attraverso i luoghi che hanno costituito la culla delle più antiche civiltà, Exoteric Gate 1976 porta forme essenziali e multiculturali in un divenire di complessi sintagmi, componendo un alfabeto universale e cosmico.
La forza e il potere femminile: Monica Bonvicini
Monica Bonvicini (Venezia, 1965), estremamente femminista, incorpora nelle sue opere elementi di architettura, performance, fotografia, video, disegno, per affrontare temi legati al potere, al sesso, al controllo, alla rappresentazione e alla decostruzione del modello patriarcale. Nelle opere si evince un forte senso di ribellione, la volontà di voler rompere delle gabbie; gabbie presentate nell’opera 3rd Act/never die for Love 2019, prodotte per il terzo atto della Turandot. Sono armature che delimitano lo spazio in cui l’identità femminile è in grado di autodeterminarsi rispetto a un ambiente esterno normato dal desiderio maschile.
Al loro interno si svolge la performance Give me the pleasure, 2019, nella quale la performer in abiti sadomaso canta una delle arie dell’opera di Puccini di cui rimane traccia sonora nella stanza. Sulle pareti della sala, alcuni spartiti dell’opera riportano slogan in cui la rabbia femminista si tramuta in una manifestazione di potere vitale e costruttivo.
Il desiderio: fil rouge tra le opere
Il desiderio è uno dei fili conduttori scelti più avvincenti: Lydia Silvestri, (1929-2018) adotta il linguaggio dell’astrazione per ripensare la tradizione statuaria. Questa tradizione che, infatti, nei secoli ha codificato la rappresentazione dei generi e il canone estetico della società.
Allieva di Marini, influenzata da Brancusi, Silvestri ha esplorato attraverso diversi materiali (gres, terracotta, bronzo, marmo, fino al cristallo) l’anatomia umana realizzando organi sessuali ermafroditi in continuo divenire. Sono opere che richiamano schiene inarcate, seni, cosce, glutei e falli eretti che sfumano gli uni negli altri senza soluzione di continuità o di identità.
Un collettivo queer in quadriennale
Le possibilità che hanno il corpo, sesso e identità di trasformarsi e reinventarsi sono al centro del lavoro concettuale del collettivo queer Tomboys don’t cry. Collettivo che coinvolge artisti italiani ed internazionali per costruire un coro polifonico di voci. Ogni idea è un percorso che esplora l’idea di corpo nella sua presenza, latenza o emanazione che ha radici nella ricerca intersezionale queer-transfemminista. Il progetto definisce i suoi tratti somatici attraverso il profumo e le sue emozioni ed attraverso la ricerca di ogni artista.
Giordano Perchiazzi per Questione Civile