La maieutica: Socrate ostetrico dell’anima
La Maieutica, dal greco “Maieutiké” (téchne), è l’arte ostetrica, cioè quella praticata dalle levatrici nell’assistenza alle donne nel loro periodo di gestazione. Socrate, nel dialogo platonico Teeteto, afferma di esercitare questa particolare arte. Tuttavia, egli dichiara, oggetto della sua cura non sono realmente donne ed infanti, ma le anime degli uomini.
Socrate, il filosofo della parola
Quanto sappiamo di Socrate ci deriva solo da fonti indirette, non abbiamo alcuno scritto a lui attribuibile, né notizia di una qualche sua opera. Questo perché il filosofo scelse volontariamente di non adoperare mai la scrittura nell’esercizio della sua vocazione filosofica.
Le fonti più importanti cui possiamo attingere per accostarci alla figura di Socrate sono Platone, Senofonte e Aristofane. Risulta, tuttavia, difficile rintracciare una totale oggettività in queste tradizioni.
Senofonte si dimostra spesso molto approssimativo nell’esposizione degli argomenti del filosofo. Aristofane ci propone invece un’immagine di Socrate per lo più caricaturale ed intrisa del suo pensiero.
Platone, che costituisce la nostra fonte principale sulla vita e sull’operato di Socrate, sembra d’altro canto strumentalizzare, in misura a noi indefinibile, la figura del maestro, per veicolare le proprie dottrine filosofiche. Tanto che a noi oggi risulta difficile discernere quali dottrine fossero appartenute in origine a Socrate e quali, invece, introdotte dal suo discente.
Ciononostante è d’uopo considerare il tentativo di Platone di preservare, almeno in parte, le volontà di Socrate. Egli consegna la sua memoria ai posteri per iscritto, ma senza tradire del tutto i suoi insegnamenti: lo fa riportandoli in forma di dialoghi.
Grazie a questo compromesso raggiunto da Platone, in cui è riscontrabile anche un’apparente ricerca d’oggettività, nel leggerli possiamo quasi prendere parte a tali dialoghi, quali silenti spettatori.
Socrate e i pericoli della scrittura
È proprio il suo discepolo Platone a riportarci i motivi di questa sua avversione nei confronti della scrittura. Nel dialogo Fedro, Socrate, attraverso il Mito di Theuth, argomenta quelli che per lui sono gli effetti negativi dello scrivere e del leggere.
La scrittura e l’apprendimento tramite lettura costituiscono, per il Socrate platonico, un’attività dannosa per l’uomo. Quanto è tramandato in un testo, infatti, risulta immutabile, e non è possibile interrogare in alcun modo le parole che vi si trovano impresse.
Coloro che, perciò, assimilano nozioni in questo modo e si ritengono sapienti, lo fanno incautamente. Si tratta, infatti, di parole tramandate da altri che, consultate, non possono, in assenza del proprio autore, difendere sé stesse o chiarificare i concetti che veicolano.
La conoscenza così acquisita non costituirebbe, dunque, secondo Socrate, una vera conoscenza.
Socrate, un sofista divergente
Socrate nasce fra il 469 e il 470 a.C. in un’Atene in rapida ascesa. La vittoria definitiva sui Persiani (478 a.C.) ed il prestigio che gliene deriva la conducono a imporre, nei decenni successivi, la propria egemonia su tutto il mondo greco.
Le complesse vicende politiche che verso la metà del V secolo a.C. arrivano a interessare la capitale attica diventano terreno fecondo per una nuova figura di intellettuale: il sofista.
I sofisti, a differenza dei filosofi che li avevano preceduti, cosiddetti “naturalisti” (dal greco physis, “natura”, ma anche “causa”), spostano il principale interesse dell’indagine filosofica dalle cause e principi primi dell’essere all’etica e alle discipline genericamente umane.
Tale è anche l’orientamento della filosofia socratica. Con i sofisti, in effetti, Socrate ha molto in comune. Con loro condivide l’interesse etico e la tensione all’eudemonìa, cioè l’indagine sulla felicità e sulle sue cause.
L’elezione del “logos” (dal greco “parola”, discorso”) quale strumento privilegiato per la ricerca filosofica si riscontra in Socrate come anche nei sofisti, anche se con fini e orientamenti differenti. I sofisti ricercano in primo luogo il proprio utile, ma non necessariamente il vero. Mentre per Socrate la ricerca del vero risulta il fine stesso del filosofare.
I sofisti furono noti negativamente per aver messo “in vendita” il proprio sapere, e cioè per aver reso l’esercizio della filosofia una professione. Il filosofare esercitato da Socrate, d’altro canto, ci appare come la pura ed incontrovertibile espressione di una vocazione gratuita ed altruistica.
A riprova massima di ciò è il fatto che Socrate arrivò a sacrificare la sua stessa vita in nome dei suoi principi. Davanti alle ingiuste accuse di empietà e corruzione dei giovani, mossegli, nel 399 a.C. da quella stessa democrazia che egli aveva sempre servito, rimase coerente fino alla fine, rifiutando ogni genere di compromesso.
La maieutica: l’ammissione di insipienza
Il metodo dialettico che applica Socrate parte sempre da una premessa: l’ammissione, da parte del filosofo, della propria ignoranza. “Io so di non sapere” egli dichiara, infatti, nella platonica Apologia di Socrate.
L’ammissione della propria insipienza è, per il filosofo, un punto di partenza fondamentale per l’applicazione del proprio metodo dialogico. In tal modo, egli sminuisce sé stesso per alimentare l’ego del suo interlocutore.
Così facendo, il filosofo si pone nella comoda posizione di non dover esporre la propria opinione, dichiarandosi a priori ignorante sull’argomento trattato. Il suo avversario, d’altro canto, incoraggiato dall’apparente inferiorità di Socrate, si espone molto più volentieri.
La maieutica: l’ironia
Socrate incoraggia poi il suo interlocutore ad esporre le proprie argomentazioni con elogi e adulazioni, sicché questi più facilmente finisce per cedere alle lusinghe.
Tutto questo rientra nell’applicazione della cosiddetta “ironia socratica” (dal greco “eironeìa”, cioè “dissimulazione”). Socrate, infatti, finge di sapere meno del proprio interlocutore quando, in realtà, è perfettamente consapevole dell’inconsistenza degli argomenti che questi gli propone.
A questo punto, Socrate passa alla fase inquisitoria. Il filosofo incalza il suo avversario dialettico con una serie continua di domande. Queste sono incentrate sulla chiarificazione dei concetti da lui espressi, spesso incautamente e con supponenza.
Si tratta del cosiddetto “ti estì;” (dal greco, “che cos’è?”). A questa domanda, gli interlocutori dei dialoghi platonici rispondono, generalmente, con dei preconcetti personali, mettendo così in luce una conoscenza superficiale, assunta cioè da condizionamenti esterni.
Adesso Socrate regge definitivamente le redini del dibattito. Procedendo senza tregua con la martellante sequela di domande e logiche argomentazioni, induce inevitabilmente il proprio avversario a contraddire sé stesso.
Nel momento in cui questi si ritrova costretto a negare quelle tesi che aveva inizialmente formulato, si realizza la confutazione. Socrate ha irrimediabilmente vinto il confronto e l’avversario, quando non si sottragga alla conversazione, deve riconoscersi in errore.
Lo scopo della maieutica
Socrate, tuttavia, non ordisce questo stratagemma dialettico per il puro gusto di distruggere le convinzioni altrui. Il filosofo insegue, a suo dire, un ideale molto più nobile. Infatti, è proprio nel momento in cui il suo interlocutore arriva a contraddirsi e a riconoscersi in errore, che ha inizio la vera e propria maieutica.
Come abbiamo visto, nel Teeteto Socrate afferma di praticare l’arte della maieutica non sui corpi, ma sulle anime degli uomini. Cosa intendeva dire, dunque?
Occorre premettere che, per Socrate, l’uomo è essenzialmente la sua anima, cioè in primo luogo, la sua coscienza. È probabilmente con Socrate che, in effetti, si consolida un significato di anima intesa come identità psicologica dell’individuo.
Ciò che il filosofo si prefiggeva di fare, e a questo compito consacrò la sua intera esistenza, era il ricercare la verità e disporre gli altri a questa ricerca. La verità è, infatti, per Socrate, incomunicabile direttamente ed è raggiungibile solo attraverso un personale cammino di costante ricerca interiore.
Per affrontare una simile indagine, il primo passo deve essere la demolizione di tutte le false credenze che in ogni uomo s’insinuano a causa dei condizionamenti. A questo fine Socrate esercita l’ironia nel dibattito: egli intende distruggere le false conoscenze di cui si fregiano i suoi interlocutori.
Una volta spogliati delle proprie illusorie certezze, questi sono finalmente pronti a cominciare il proprio cammino verso la verità. Ma per “partorire” un proprio pensiero che sia vero, e non un “fantasma”, come dice Socrate, necessitano di un riferimento, di una guida, che egli si prepone di incarnare.
In questo senso, dunque, Socrate è ostetrico dell’anima: egli assiste gli uomini nel partorire un proprio pensiero, che sia incontrovertibilmente orientato alla verità.
Gabriele Todaro per Questione Civile