Panoramica sulla nascita dell’oracolo di Delfi e sul suo funzionamento
Iniziamo il nostro viaggio con una panoramica sull’oracolo di Delfi e sul suo funzionamento.
Quanto sarebbero meno complicate le nostre vite, se ogniqualvolta siamo chiamati a prendere una decisione, potessimo affidarci a qualcuno che, interpretando la volontà degli dèi, ci indicasse la via da intraprendere? Nel mondo antico, qualcosa di simile c’era: stiamo parlando degli oracoli, il più noto dei quali era senza dubbio quello di Apollo a Delfi.
Nel primo articolo di questa rubrica intitolata “Viaggio attraverso i più importanti oracoli di Delfi”, cercherò di fare una panoramica su Delfi. Un excursus sul suo oracolo, sulla misteriosa figura della Pizia e sulle modalità di consultazione. Nei successivi articoli andremo ad analizzare alcune delle profezie oracolari che hanno in qualche modo segnato la storia della Grecia.
L’oracolo di Delfi: gli inizi
Il racconto più antico che abbiamo riguardo l’origine del culto di Apollo a Delfi è narrato nel terzo inno omerico dedicato proprio a questo dio, in cui si ripercorre la sua vita e la ricerca di un luogo adatto al posizionamento di un oracolo.
Dopo una serie di peregrinazioni, Apollo giunge a Crisa, nella Focide, dove getta le fondamenta del suo tempio e uccide un terribile mostro dalle sembianze di drago. La forza del sole ne fece imputridire il corpo (il verbo pythein in greco significa “imputridire”) e questo sembrerebbe essere il motivo per cui la città da Crisa fu chiamata invece Pito.
Sempre seguendo questa versione del mito, pare che Apollo abbia reclutato i sacerdoti per il nuovo tempio sotto forma di delfino (da cui forse il nome “Delfi”). Fece deviare verso Pito una nave di marinai e li convinse a rimanere in una terra che non sarebbe rimasta sterile ed isolata. Presto, infatti, si sarebbe animata della presenza di pellegrini provenienti da tutto il mondo.
Questa narrazione non è l’unica possibile: nelle Eumenidi di Eschilo, ad esempio, si offre una storia molto più lunga dell’oracolo di Delfi, facendolo risalire a Gea, la dea “Terra Madre”, e quindi agli dèi che regnarono sulla terra ben prima delle divinità olimpiche. Ulteriori rielaborazioni sono fornite da Alceo, Euripide, Pindaro, Simonide, Strabone. Altre fonti insinuano che Poseidone abbia avuto residenza a Delfi ben prima di Apollo oppure che Dioniso, nei mesi invernali, prendesse possesso dell’oracolo.
Aldilà della versione del mito da ritenere più affidabile, resta il fatto che Delfi dispensò oracoli per più di mille anni, alcuni dei quali essenziali per le sorti della storia greca e non solo, tanto da far considerare il tempio e in particolare l’omphalós, la sacra pietra al suo interno, come il centro dell’universo.
Come si svolgevano le consultazioni dell’oracolo di Delfi?
Originariamente, l’oracolo di Delfi riceveva i visitatori un solo giorno all’anno, il sette febbraio, data di nascita di Apollo. Nel VI sec. a.C. la richiesta era così grande che la Pizia, la sacerdotessa del dio, rispondeva alle domande nove volte all’anno una volta al mese da febbraio ad ottobre.
Nonostante i pericoli e i costi, i pellegrini affluivano da ogni angolo del mondo antico. Il viaggio non era semplice, essendoci alte montagne da affrontare e il mare, con tutti gli imprevisti che le condizioni metereologiche possono portare. Da Atene, ad esempio, per giungere a Delfi, poteva volerci circa un mese.
Non tutti quelli che viaggiavano fino a Delfi potevano vedere la Pizia, ma solo alcuni privilegiati ottenevano l’accesso, come premio per aver portato particolari offerte. L’ordine di consultazione era estratto a sorte. I poveri sfortunati rimasti fuori dalla scelta, erano costretti ad aspettare come minimo un mese, sperando di ottenere miglior sorte.
Quelli ammessi all’interno del tempio di Apollo, dopo aver versato le consuete offerte e sacrificato un animale, in genere una capra, potevano porre il proprio quesito al Dio. Non è chiaro dove il consultante si collocasse rispetto alla Pizia e né se i rapporti tra i due fossero mediati da un ulteriore sacerdote.
Delfi e Dodona
È opportuno fare un piccolo inciso: l’oracolo di Delfi non era l’unico presente nell’antica Grecia. L’altro grande santuario oracolare, citato nei poemi omerici, è quello di Dodona, più antico e legato a Zeus. Tentò di far valere la forza del suo prestigio, ma venne eclissato da Delfi in età arcaica e classica. Fonti epigrafiche, che per quanto riguarda questo oracolo riportano quesiti più che responsi, ci attestano che a Dodona le domande al Dio venissero poste presentando già una serie di opzioni ed è quindi probabile che le risposte venissero fornite attraverso sorteggio.
Diversa è la questione per quanto riguarda Delfi, per cui abbiamo dei testi di sentenze oracolari molto più elaborati, composti in esametri di tipo omerico. I responsi erano per lo più a carattere enigmatico e spettava a chi lo riceveva procedere ad una sua interpretazione.
Chi era la Pizia
In più di mille anni, innumerevoli visitatori giunsero a Delfi per ricevere la loro profezia, ma non è stato ancora ritrovato alcun resoconto diretto di un incontro con la Pizia, come d’altronde sono molto rare immagini che raffigurino la sacerdotessa nell’atto di profetizzare. Tutto ciò, non fa che contribuire all’alone di mistero che avvolge questa figura.
Diodoro Siculo racconta che, almeno inizialmente, le sacerdotesse di Delfi erano ragazze giovani, attraenti e vergini. Dopo che una di queste fu rapita e violentata, il ruolo venne riservato alle donne d’età matura. Non volevano che a svolgere questo compito fossero persone importanti, influenti, ma donne comuni.
Pare che nel VI sec. vi furono nel tempio addirittura tre Pizie, che si alternavano nello svolgimento di quello che era molto più di un semplice lavoro: essere ispirata dal Dio Apollo, sentirlo all’interno del tuo corpo, esprimere a parole le immagini che il Dio ha messo nella tua mente era un’attività molto spossante.
La follia della Pizia
Dopo una serie di rituali preparatori, compiuti sia dalla sacerdotessa che dai supplici, la Pizia giungeva nell’adyton, una stanzetta sul retro del tempio. Lì pronunciava le sue profezie. Vi era, inoltre, l’omphalos originale, che rappresentava l’ombelico dell’universo e pare vi fossero anche delle foglie di alloro (pianta sacra ad Apollo) che la Pizia mangiava per indurre la trance.
Ma era veramente l’alloro la fonte della sua ispirazione? A quanto pare no. Secondo un’altra versione, la trance della Pizia derivava dai vapori provenienti da una fenditura nel terreno, sotto il suo tripode. Questa crepa fu cercata già dai primi archeologi che lavorarono in quei luoghi, ma senza successo.
Non è totalmente da escludere che un qualche fenomeno sismico abbia in passato squarciato il terreno, facendo fuoriuscire gas di vario genere. Qualunque fosse la causa, quello che sembra è che la Pizia entrava in uno stato di estasi attraverso il quale forniva i suoi enigmatici responsi.
L’oracolo di Delfi: dubbi sull’autenticità
Come è ovvio che sia, sono stati sollevati molti dubbi da parte dei più scettici riguardo l’attendibilità degli oracoli a noi pervenuti. Le perplessità riguardano sia le modalità di fruizione, dunque lo stato di trance della Pizia, sia soprattutto il contenuto dei testi oracolari, in particolare quelli giunti a noi attraverso fonti letterarie. Il sospetto che alcune profezie, che meglio analizzeremo nei successivi articoli, possano essere frutto di una rielaborazione a posteriori è forte.
Tuttavia, Delfi fu centro di primaria importanza per tutta l’età classica, un luogo sacro. Un tempio consultato per questioni fondamentali che non riguardavano solo il singolo cittadino, ma la stessa polis, soprattutto in materia politica. Si fece così arbitro di decisioni quali la fondazione di una colonia, l’inizio di un conflitto, la promulgazione di una legge e molto altro.
Concludo ricordandovi la massima iscritta a caratteri cubitali sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, che molti di voi già avrete sentito, senza conoscerne però la provenienza: “γνῶϑι σεαυτόν” (conosci te stesso), l’invito, fatto da Apollo ai richiedenti che si presentavano al suo cospetto, di prendere atto del proprio essere e un ammonimento verso la superbia umana.
Marco Alviani per Questione Civile