Festa della Repubblica: il 2 giugno 1946 tra glorie della vittoria e contestazioni monarchiche
La Festa della Repubblica italiana rappresenta uno dei simboli patri più importanti della cultura e della sua storia repubblicana.
La celebrazione è stata istituita de facto sin da subito in seguito al referendum istituzionale tenutosi il 2 giugno 1946 per valorizzare e ricordare la nascita della Repubblica Italiana. Essa viene festeggiata in tutti i comuni italiani, ma le celebrazioni più solenni avvengono nella capitale italiana, la città eterna, Roma.
Ogni anno, da oltre settant’anni, il Presidente della Repubblica italiana si reca presso l’Altare della Patria in Roma per deporre una corona d’alloro in omaggio al Milite Ignoto e a tutti i caduti che hanno combattuto fino a sacrificare la propria vita per la liberazione dall’oppressione subita nei duri anni della guerra.
A questa celebrazione, come da protocollo, segue solitamente una parata militare lungo via dei Fori Imperiali con il sorvolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale, meglio note come “Frecce tricolori”, al cui passaggio dipingono il cielo con i colori della bandiera della Repubblica italiana.
Festa della Repubblica: perché il 2 giugno?
La scelta della data per questa celebrazione è legata non alla nascita dell’Italia come Stato-nazione indipendente (festeggiata il 17 marzo per celebrare l’unità d’Italia raggiunta nel 1861), bensì al referendum istituzionale con cui il popolo italiano ha scelto la forma di Stato da dare alla nazione stessa.
Tra il 2 e il 3 giugno del 1946, infatti, gli italiani, uomini e donne maggiorenni, a suffragio universale, vennero chiamati alle urne per decidere tra monarchia o repubblica e con lo stesso referendum sarebbero stati eletti i partiti componenti l’Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale monarchica o repubblicana.
Il referendum si tenne al termine del secondo conflitto bellico, in seguito alla caduta del regime fascista, sostenuto dalla famiglia reale italiana per più di 20 anni.
Il simbolismo dietro la cultura repubblicana
Per convincere gli italiani a sostenere la causa repubblicana, i leaders dei partiti filo-repubblicani scelsero per la campagna elettorale e per la rappresentazione della scelta repubblicana sulla scheda elettorale il simbolo dell’“Italia turrita”, in contrapposizione allo stemma sabaudo che rappresentava invece la monarchia.
La scelta dell’“Italia turrita”, che rappresentava la personificazione nazionale e storica dell’Italia, scatenò molte reazioni negative, poiché il simbolismo della personificazione allegorica dell’Italia aveva, all’epoca ed ancora oggi, un significato universale e unificante.
Sulla base di ciò viene criticato aspramente il suo utilizzo definito come “improprio” perché consisteva in uno dei simboli patri sacri e che avrebbe dovuto unire gli italiani invece che dividerli in un referendum istituzionale.
Il suffragio universale
A differenza di quanto affermano alcuni studiosi, il referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946 non fu la prima votazione in assoluto a suffragio universale indetta in Italia.
C’è da premettere che il suffragio universale è stato istituito ben un anno e mezzo prima, nel pieno dell’occupazione tedesca del Nord Italia, quando il Consiglio dei ministri, presieduto da Ivanoe Bonomi, emanò il decreto legislativo luogotenenziale n° 23 del 2 febbraio 1945, con cui riconosceva il diritto di voto alle donne, istituendo dunque il suffragio universale per tutte le elezioni successive.
Il suffragio universale infatti venne esercitato in Italia per la prima volta il 10 marzo 1946 in occasione delle prime elezioni amministrative.
I risultati del Referendum istituzionale del 1946
Stando ai risultati ufficiali comunicati già il 10 giugno 1946, il 2 e 3 giugno 1946 gli italiani hanno espresso 12.717.923 voti per la repubblica e 10.719.284 per la monarchia, con una percentuale rispettivamente del 54,3% e del 45,7%, sancendo de facto la fine della monarchia dopo ben 85 anni di regno.
L’11 giugno 1946, primo giorno dell’Italia repubblicana, venne dichiarato giorno festivo.
Nella giornata del 18 giugno 1946 la Corte di Cassazione, nelle veci del suo Presidente, Giuseppe Pagano, comunica i dati ufficiali risultanti dagli scrutini delle schede elettorali, senza proclamare la vittoria di nessuna delle due fazioni e senza considerare le schede nulle e bianche, che ammonterebbero, stando alle varie fonti, a circa 1.498.136.
Al termine della comunicazione ufficiale, il Presidente della Corte di Cassazione Giuseppe Pagano affermò: “In altra seduta questa Corte darà conto dei reclami nel frattempo pervenuti”, in riferimento alle innumerevoli denunce di brogli elettorali da parte dei monarchici in sede di scrutinio.
Denunce che hanno generato, peraltro, numerosi scontri nelle varie città italiane.
Il Re d’Italia, Umberto II di Savoia, il 13 giugno 1946 decise di andare in esilio in Portogallo per evitare che gli scontri tra monarchici e repubblicani, già presenti in varie città italiane, si potessero inasprire in tutto il paese e dar luogo ad un’altra guerra civile.
Con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica, dal 1° gennaio 1948, fu proibito ai discendenti maschi di Umberto II di Savoia l’ingresso in Italia. Questa disposizione venne abrogata nel 2002.
La prima celebrazione della Festa della Repubblica
La prima celebrazione della Festa della Repubblica Italiana avvenne il 2 giugno 1947 e la parata militare in via dei Fori Imperiali si svolse nella seconda cerimonia del 1948. In seguito, il 2 giugno fu definitivamente dichiarato festa nazionale nel 1949.
Nell’occasione dell’istituzione ufficiale della festa nazionale, il cerimoniale prevedeva la rassegna militare da parte del Presidente della Repubblica dinanzi le forze armate in onore della repubblica. La manifestazione avvenne in piazza Venezia, di fronte all’Altare della Patria.
Inoltre, il 2 giugno 1949, gli stendardi delle forze armate abbandonarono la formazione e, dopo aver percorso la scalinata del Vittoriano, resero omaggio al Presidente della Repubblica Luigi Einaudi con un inchino, dopo la deposizione della corona d’alloro al Milite Ignoto.
La celebrazione della Festa della Repubblica del 1961
La celebrazione ufficiale della Festa della Repubblica del 1961 non ebbe luogo a Roma ma a Torino, in virtù del suo status di ex capitale d’Italia e prima capitale dell’Italia unita.
Torino, infatti, dal 1861 al 1865, è stata la prima capitale d’Italia, seguita poi da Firenze dal 1865 al 1871. Roma è cronologicamente la terza capitale del Regno d’Italia e dal 1871 ad oggi è la capitale dell’Italia unita, di cui quest’anno ne festeggiamo i 150 anni.
Il 1961, infatti, fu un anno particolare e la scelta di Torino aveva anche un altro grande significato per la storia d’Italia. Infatti, in quell’anno si celebrava anche il centenario dell’Unità d’Italia (1861–1961).
Le controversie sulla regolarità del referendum
In molti all’epoca e nei decenni successivi contestarono i risultati e le modalità di svolgimento del referendum istituzionale, dunque anche la sua validità legale.
Alla base di queste contestazioni c’era il fatto che non a tutti i cittadini italiani sarebbe stato concesso il diritto di voto in quel referendum.
In particolare, viene contestata l’esclusione dal referendum dei cittadini italiani della Venezia Giulia, della Dalmazia, dell’Alto Adige e della Libia, con la giustificazione secondo cui sarebbe stato concesso loro il diritto di voto in un secondo momento, ma ciò non sarebbe mai avvenuto.
Per di più, secondo i contestatori, sarebbe stato negato il regolare esercizio di voto anche ai soldati che non ancora erano rientrati in Italia dagli scenari bellici appena terminati.
Le accuse di brogli elettorali in sede di scrutinio
Un’altra contestazione mossa riguarderebbe la non corrispondenza tra il numero delle schede scrutinate e il numero stesso degli elettori che si sarebbero recati alle urne.
Secondo i contestatori, in sede di scrutinio, quando sembrava già tutto deciso, sarebbero partiti dei telegrammi privati che attesterebbero i brogli elettorali in fase di scrutinio delle schede.
A tal proposito, viene menzionato il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi che avrebbe scritto al Ministro della Real Casa Falcone Lucifero di temere la vittoria della monarchia e che, inoltre, nel giorno 4 giugno 1946 l’Arma dei Carabinieri avrebbe comunicato a Papa Pio XII che la monarchia era vicina alla vittoria.
Sempre i contestatori sostengono che improvvisamente, nella notte tra il 4 ed il 5 giugno 1946, le preferenze per la monarchia sarebbero state ribaltate con l’arrivo di altri voti che decretarono definitivamente la vittoria della Repubblica.
I ricorsi in Cassazione e le rivolte
In seguito, i contestatori presentarono migliaia di ricorsi sulle varie presunte irregolarità avvenute nelle sezioni elettorali e durante gli scrutini, ma non vennero mai presi in considerazione.
Stando alle dichiarazioni dei contestatori, la stampa nazionale avrebbe decretato a gran voce la vittoria della repubblica senza mai citare questi presunti eventuali brogli o quantomeno senza mai smentirli.
Intanto, nella notte tra il 12 ed il 13 giugno 1946 Alcide de Gasperi venne nominato Capo provvisorio dello Stato.
Il Re Umberto II, non riconobbe questo risultato come definitivo, sulla base del fatto che molti elettori non ancora avevano avuto la possibilità di esprimere il proprio diritto di voto.
Non trovando il sostegno degli Stati Uniti per fare chiarezza su quello che il popolo aveva deciso alle urne, così, ritrovandosi solo, partì in esilio con la famiglia in Portogallo per evitare un’altra guerra civile, dal momento che erano già scoppiate gravi rivolte in molte città italiane a causa dei presunti brogli elettorali.
L’esilio di Umberto II e l’accusa al governo provvisorio
Il Re Umberto II, nel suo addio al Regno d’Italia, emise un proclama accusando il governo:
“di aver in spregio le leggi ed il potere sovrano e indipendente della magistratura, compiuto un gesto rivoluzionario assumendo con atto arbitrario e unilaterale poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire violenza. Mentre il paese da poco uscito da una tragica guerra vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto.
Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove. Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome dell’Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani. Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli.”
Tutti i tentativi da entrambe le fazioni di porre un punto nei mesi e negli anni successivi alla questione della legittimità del referendum furono vani, in quanto le schede scrutinate sarebbero state bruciate di lì a poco.
Volenti o nolenti, venne resa impossibile, dunque, la procedura di verifica e di riconteggio a posteriori, motivo per il quale ad oggi alcune contestazioni rimangono ancora aperte.
Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile