Creso: le conseguenze di un’errata interpretazione oracolare
La storia del re Creso e di Delfi illustra bene quanto fosse importante comprendere in maniera corretta gli indizi forniti dalla Pizia. Creso era il re della Lidia, una delle maggiori potenze dell’Asia minore.
Nel VI sec. a.C. il re Creso inviò emissari a tutti gli oracoli della Grecia, interrogando questi riguardo che cosa avrebbe fatto esattamente cento giorni dopo. Creso ovviamente voleva scoprire se c’era un oracolo affidabile e quale fosse.Che cosa abbiano vaticinato gli altri oracoli nessuno sa dirlo; ma a Delfi, appena i Lidi entrarono nel santuario per consultare il dio e gli fecero la domanda prescritta, la Pizia diede in esametri la seguente risposta:
“Io conosco il numero dei granelli di sabbia e la misura del mare, intendo il muto e ascolto che non parla. Mi è giunto l’odore di una testuggine dal duro guscio, bollita nel bronzo insieme a carni d’agnello: bronzo vi è sotto di essa, bronzo vi è sopra.”
Creso aveva davvero fatto a pezzi una tartaruga e un agnello e li aveva bolliti in un calderone d’ottone il centesimo giorno. Un’attività deliberatamente bizzarra, che pensava nemmeno un oracolo avrebbe potuto indovinare.
Creso contro i Persiani
Persuaso del potere di Delfi, Creso inviò al santuario doni generosi: tremila teste di vitello per un enorme sacrificio, una straordinaria coppa d’oro tanto grande da contenerne seicento più piccole. Inviò persino i gioielli di sua moglie, sperando che servissero ad ottenere una profezia favorevole. Creso, infatti, era ansioso di espandere il suo impero attaccando la Persia e, attorno al 550 a.C., ordinò di chiedere all’oracolo se fosse una buona idea quella di muovere guerra contro i Persiani e se fosse il caso di aggregarsi qualche esercito alleato.
La Pizia predisse a Creso che, se avesse mosso guerra ai Persiani, avrebbe distrutto un grande impero. Inoltre, gli consigliò di scoprire chi fossero i greci più potenti e di assicurarsene l’alleanza. Questo può essere considerato come un esempio paradigmatico di ambiguità delfica, volta non solo a preservare la reputazione dell’oracolo, ma anche a lasciare un margine di scelta e di interpretazione al richiedente.
Creso pensò di poter procedere: avanzò verso est, attaccò l’impero persiano attraversando il fiume Halys e subì una gravissima sconfitta. Aveva, infatti, frainteso l’oracolo: il grande impero che sarebbe stato distrutto era la Lidia, non la Persia.
Quanto sarebbe durato il suo regno?
Il re di Lidia consultò l’oracolo una terza volta, prima di muovere guerra alla Persia. Da quando ne aveva accertato la veridicità, infatti, vi ricorreva senza misura. Questa volta domandò se la sua monarchia sarebbe durata a lungo. La Pizia gli rispose:
“Quando un mulo diverrà re dei Medi, allora o Lido dai piedi delicati, lungo l’Ermo ghiaioso fuggi e non fermarti e non vergognarti di essere vile.”
Creso si sentì rassicurato da questo vaticinio, pensando che mai un mulo sarebbe diventato re dei Persiani, ma anche questa volta cadde in errore. Con questa espressione la Pizia aveva fatto riferimento a Ciro il Grande, il re persiano contro il quale Creso stava muovendo guerra, essendo questi figlio di genitori provenienti da popoli diversi (così come l’ibrido mulo, figlio di un asino e uno stallone).
Il figlio muto di Creso
Lo storico Erodoto ci riporta anche un altro vaticinio che Apollo aveva prodotto per Creso e che in qualche modo preannunciava l’imminente disfatta del regno di Lidia. Creso, infatti, aveva un figlio muto e per cercare di risolvere questo suo problema le tentò tutte, tra cui ovviamente consultare a riguardo l’oracolo di Delfi. La Pizia così gli aveva risposto:
“Uomo di stirpe lidia, re di molti sudditi, stoltissimo Creso, non voler udire nella tua casa il suono tanto desiderato della voce di tuo figlio. Per te sarebbe assai meglio che ciò rimanesse lontano: parlerà per la prima volta in un giorno di sventura”.
Successe infatti, che proprio durante l’attacco persiano a Sardi, capitale del regno di Lidia, mentre le mura venivano espugnate, un persiano di diresse verso Creso, che aveva scambiato per un altro, con l’intenzione di ucciderlo. Creso, pur vedendolo avanzare, non se ne curò: non gli importava affatto, ormai, vista l’imminente disfatta, di morire sotto i suoi colpi.
Ma quando il figlio muto vide il Persiano avventarsi su di lui, ecco che per il terrore e l’angoscia gli si sciolse la lingua e gridò “Uomo, non uccidere Creso!”. Così parlò per la prima volta e in seguito conservò l’uso della parola per tutta la vita.
Il rimprovero
Creso fu fatto prigioniero e ricevette da Ciro, come dono, la possibilità di inviare emissari a Delfi per rimproverare l’oracolo che lo aveva indotto in errore. La Pizia a questo replicò:
“Sfuggire al destino è impossibile perfino ad un dio. […] Riguardo al vaticinio da lui ricevuto, Creso recrimina a torto. Il Lossia (epiteto di Apollo) gli aveva predetto che, se avesse mosso guerra ai persiani, avrebbe distrutto un grande impero. Di fronte a questo responso, Creso avrebbe dovuto, se voleva prendere una decisione saggia, mandare a chiedere se alludesse al suo o a quello di Ciro. Ma, non ha capito le parole del dio e non l’ha interrogato di nuovo, quindi consideri sé stesso responsabile dell’accaduto. Quando poi consultò l’oracolo per l’ultima volta, il Lossia gli disse quello che gli disse riguardo al mulo, ma non riuscì a comprendere neppure questo. Ciro era il mulo: era nato da due genitori appartenenti a popoli diversi, da una madre Meda e da un padre persiano…”
Creso, dopo aver udito questa risposta, riconobbe che la colpa era sua e non del dio.
Conclusione
Credo che questo vaticinio sia davvero emblematico per comprendere il modo in cui operava l’oracolo di Delfi. Le risposte fornite erano spesso così ambigue, che era difficile si rivelassero completamente errate. In pratica aveva sempre ragione. Se il risultato non era quello che ci si aspettava, la colpa era dell’interpretazione sbagliata, non dell’oracolo. Spesso ci si recava a Delfi in cerca di risposte chiare e precise, ma quello che l’oracolo faceva non era altro che stimolare le incertezze, spingendole ad un livello più profondo. L’esegesi, dunque l’interpretazione, dei testi oracolari delfici era così complicata, proprio perché soggetta a molteplici interpretazioni.
Marco Alviani per Questione Civile