Le strade romane sono un fattore di un’importanza incalcolabile nella storia stessa dell’umanità. Roma […] era riuscita a controllare sistematicamente gran parte della superficie della terra. – Victor W. von Hagen
L’espansione della civiltà di Roma ha portato alla necessità di costruire una rete viaria imponente, in tutto il mondo antico. La realizzazione delle strade romane ha rappresentato un evento politico di portata universale. Considerate, infatti, che costituiscono ancora oggi un valido supporto alla viabilità non solo italiana, ma di tutte quelle Nazioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo e di quelle site nell’entroterra europeo, africano e asiatico.
Sono proprio queste strade che hanno permesso l’unione della vita civile, delle etnie e delle diverse culture incontrate. Su queste strade, hanno viaggiato centinaia di milioni di uomini, di mezzi e di merci.
Per i romani, la realizzazione di una consolidata rete stradale, era qualcosa di utile e necessario (moles necessariae – opere necessarie), che andava a contrapporsi con l’inutile ostentazione delle piramidi (come ne parla Plinio nella sua Naturalis Historia) o alle opere celebri ma inutili dei greci (a dire di Frontino).
Nella loro opera risaltano solidità, utilità e bellezza, ovvero i tre principi fondamentali dell’architettura secondo Vitruvio.
L’origine delle strade che si diramano dell’Urbe è antichissima.
Il primo attraversamento a cui si può far riferimento, era a valle dell’isola Tiberina, dove il Tevere, allargandosi, offriva la più facile possibilità di attraversamento, legato al mito virgiliano dell’arrivo di Ercole dall’occidente. Questo luogo sarà il centro dove confluiranno, poi, transumanze e commerci, tanto da far sorgere un luogo di scambio: il Foro Boario.
Il nome delle strade romane
Le strade romane più antiche sono facilmente riconoscibili dal nome, che richiamava il luogo al quale portavano (come via Labicana o via Prenestina, per fare degli esempi), oppure erano legate alla tipologia di commercio (via Salaria).
Successivamente, le strade presero il nome dai magistrati che le costruirono, cioè censori, pretori o consoli. Scandirono le imprese dell’esercito e la conquista dell’Italia centrale tra la fine del IV e il III secolo a.C.
La prima strada che avviò questo processo di conquiste è stata la via Appia, voluta dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. Attraversò le paludi e i monti del versante tirrenico da Roma a Capua. Fu costruita per combattere inizialmente i Sanniti, poi prolungata fino a Benevento, Venosa e Taranto per sottomettere Messapia e Salento. Infine, nel 191 a.C. arrivò a Brindisi, testa di ponte per le conquiste orientali dell’Urbe. Questa via divenne, dunque, la principale arteria di collegamento con il Mezzogiorno.
Fu la Flaminia, invece, a essere il principale collegamento con il nord. Fu costruita da Caio Flaminio tra il 223 e il 219 a.C. per la colonizzazione dell’ager Gallicus che si estendeva da Ancona a Rimini. Da qui si prolungò la via Emilia (187 a.C.), cardine delle comunicazioni con il settentrione, tracciata dopo la prima guerra punica da Emilio Lepido, accompagnando la fondazione della colonia di Bononia (oggi Bologna).
Altre strade, tra III e II secolo, cominciarono a penetrare nell’Etruria sottomessa (qui potete leggere un interessante articolo di Carmine De Mizio, riguardante alcune delle fake news che aleggiano su questo popolo). La via Aurelia, per esempio, fu condotta a Cosa, a Luni fino al territorio ligure. La Clodia e la Cassia, invece, penetrarono nell’Etruria interna.
Durante l’Impero
Moltissime strade furono condotte nel corso dei secoli. Ma l’età imperiale fu grandiosa per quanto riguarda il rinnovamento e potenziamento della rete viaria. Già Augusto si impegnò per riordinare tutto il sistema, così come Claudio, grande costruttore e organizzatore della rete veicolare.
Non furono da meno i Flavi. Vespasiano realizzò la via Flavia per Pola, mentre Domiziano realizzò la via, appunto, Domiziana che dal Volturno raggiungeva Cuma e Pozzuoli.
Insomma, come si può notare da tutti questi esempi, l’esigenza di mantenere e potenziare il sistema di strade romane fu profondamente sentita da tutti gli imperatori fino, addirittura, a Teodorico e Giustiniano.
Le strade romane: la tecnica costruttiva
La tecnica costruttiva delle strade romane era già ampiamente sviluppata ben prima del 312 a.C. (anno di realizzazione della via Appia). Da qui, le strade cominciarono ad assumere il carattere di grandi assi di comunicazione e si badava a raggiungere la meta finale. E per raggiungerla il tracciato era condotto su rettifili, senza curarsi di avversità naturali e difficoltà tecniche, in modo da rendere il percorso il più rapido possibile.
Prima ho accennato ai tre principi sui quali si basava la costruzione delle strade. Solidità di tracciato, profondità delle fondamenta e relativa scelta del materiale e, infine, disposizione del percorso che doveva essere quanto più comodo possibile.
La prima immagine che, con tutta probabilità, viene in mente a chi pensa alle strade romane è quella di grandi blocchi di basalto squadrati, letteralmente incastrati tra di loro in modo che non si potessero più muovere. Ma questo tipo di lastricatura si sviluppò “solo” tra il II e il I secolo a.C. nell’aria centro-tirrenica, in quanto luogo di facile reperimento del materiale. Altrove, si utilizzò il materiale disponibile lungo il percorso come il calcare o blocchetti di terra battuta, o battuto di breccia e ghiaia.
Ma molto più importante era l’opera che garantiva la piena stabilità della pavimentazione.
Il primo step per la costruzione della strada, descritta perfettamente da Stazio (I secolo d.C.), era la definizione del percorso e la larghezza, tracciando due solchi (i bordi sostanzialmente). Qui si inserivano i blocchi che avrebbero contenuto le fondazioni e il pavimento (crepidines). Si scavava, così, un fossato fino a raggiungere il terreno solido (solitamente intorno ai 60 cm o più) e la fossa veniva riempita a strati alterni da materiale quale pietrame di grosse dimensioni (statumen) a strati di breccia e cocci (rudus), oltre a strati di materiale leggero come sabbia e pozzolana, o calcina in modo che cementasse.
Sopra, su un letto di materiale fino (nucleus) si metteva la breccia o i basoli (summum dorsum).
Quanto misuravano le strade?
Le strade di grande comunicazione erano larghe, nella parte carrabile, 4,1 metri (14 piedi romani), misura che permetteva l’incrocio di carri, quindi il doppio senso di marcia. Ma potevano anche essere più ampie fino a toccare, al suo massimo, i 10-14 metri. Ai lati, inoltre, erano presenti i marciapiedi, di circa 3 metri per parte. Alcune vie, addirittura, non contemplavano nemmeno la differenza tra parte carrabile e marciapiede.
Molto impegnative erano le opere richieste per attraversare terreni paludosi. Sono i rinvenimenti archeologici ad aiutare a capire le modalità di realizzazione. Infatti, documentano come la posa in opera avvenisse tramite palificate e graticci. Diffuso era anche l’uso di anfore o frammenti di materiale fittile in sottofondazione per favorire l’assorbimento delle acque.
Queste strade, inoltre, erano in grado di superare con maggior disinvoltura rispetto a oggi un grande dislivello, se si pensa che per loro una pendenza di 10-13 gradi era considerata normalissima.
Tutte le strade di cui ho finora parlato sono le cosiddette viae publicae. Esistevano anche altri tipi di strade romane. Vi era, infatti, una fitta rete di viae vicinales, pubbliche anch’esse ma che collegavano i borghi (vici, appunto) con la rete principale; vi erano poi quelle privatae, costruite da privati per uso proprio.
I miliari
A completare l’arredo delle strade romane ci pensavano i miliari, ovvero i cippi militari, posti a un miglio (1478 metri) di distanza uno dall’altro. Su di essi era riportata la distanza da Roma o da un’altra importante città, e spesso il nome del magistrato che aveva voluto la strada o il suo rinnovamento. Questo uso si diffuse, probabilmente, grazie alle influenze orientali, dal II secolo a.C.
Sono circa 6.000 i cippi miliari dei quali si ha notizia. Si va da quelli più antichi, realizzati con semplici pietre sbozzate (come quello posto per la via Popilia nel 123 a.C.) fino a quelli più comuni a colonnetta cilindrica. Le dimensioni, invece, variavano continuamente.
Le indicazioni sopra riportate in età repubblicana erano relativamente corte, mentre in età imperiale si allungano, includendo indicazioni sui lavori condotti, sulla spesa sostenuta o sulla manutenzione.
L’organizzazione delle strade romane
Più strade significava una necessità maggiore di comunicazione. In particolare, tra governo centrale e province. Iniziato durante l’età repubblicana, è ad Augusto che dobbiamo un servizio regolare di posta, che rispondeva solo ed esclusivamente alle esigenze del governo, consentendo a chiunque avesse il diploma, cioè il permesso scritto, di spostarsi liberamente sulla rete viaria. L’organizzazione garantiva assistenza di stazioni poste lungo il percorso, per sostare e cambiare il cavallo, sia per le merci (cursus clabarius) che per i viaggiatori (cursus velox) e, ovviamente, postini.
Lungo le strade erano presenti stazioni di tappa, chiamate mutationes, ogni 5 o 7 miglia, oppure ogni 12 su percorsi meno battuti. Ogni sette o otto mutationes il viaggiatore trovava delle mansiones, cioè stazioni di sosta, come dei veri e propri alberghi. Offrivano, infatti, vitto e alloggio oltre al cambio del cavallo. Alcuni arrivavano ad avere anche un impianto termale, luoghi di culto e servizi di vario genere.
Ma il cursus publicus non interessava solo la rete stradale, ma anche quella fluviale. Esistevano, infatti, veri e propri battelli postali (naves tabellariae) con un altrettanto servizio impeccabile.
Le spese del servizio postale erano sostenute dall’amministrazione delle città, dei municipi e delle colonie che volevano usufruire del servizio. Le spese, però, erano molto alte e con il passare dei secoli vennero alleggerite da Nerva prima e da Adriano poi, quando le casse imperiali si sobbarcarono tutte le spese.
Conclusioni
Potrei continuare a parlarvi di questa sfaccettatura del mondo romano, facendo riferimento a grandi infrastrutture come viadotti, tagliate e gallerie o dei principali itinerari di mare e di terra, fondamentali per gli spostamenti. Ma credo di aver dato una piccola ma fondamentale infarinatura di quella che era la fantastica macchina operativa del mondo romano, della precisione e della grandiosità nella realizzazione di magnifiche opere, come le strade, le stesse che ancora oggi percorriamo attraverso tutta la penisola e oltre.
Francesco Frosini per Questione Civile