Il suono cosmogonico: il primo vagito dell’Universo
Che rumore fa la nascita del mondo? Come potrebbe essere un suono cosmogonico?
Il tema delle origini ci affascina e inquieta allo stesso tempo. Si tratta di un interrogativo perturbante nel senso proprio del termine, come lo intendeva Freud: qualcosa di domestico, quotidiano, vicino, eppure lontano, inaccessibile.
Ad esempio, come è nato il mondo in cui viviamo? Qual è la teoria che spiega l’origine di tutto?
Tanti hanno provato a rispondere con i mezzi offerti dalle numerose discipline che la mente umana ha sviluppato nel corso dei millenni. Oggi, i miti e le religioni sono divenuti ipotesi scientifiche, tra esplosioni, stringhe, cambiamenti di stato e temperatura.
Al di là della plausibilità delle teorie fisiche e del fascino dei racconti mitologici, tra le soluzioni ne sorge una interessante da indagare proprio in quanto avvicina entrambe le prospettive. Secondo molte delle antiche civiltà, il mondo nascerebbe da un rumore, da una sinfonia, da un suono cosmogonico; e, come vedremo, la componente sonora non viene tralasciata nemmeno dalla fisica contemporanea. Impegniamoci allora in una breve rassegna di alcune di queste ipotesi cosmogoniche fondate sul suono, sottolineandone sia le differenze che le somiglianze.
Dunque, che verso fa il Mondo da neonato?
Mitologia orientale
Il patrimonio vedico e induista intrattiene sin dall’origine dei propri culti un legame simbiotico con la musica.
La raffigurazione più iconica del dio Siva lo vede tenere in una delle sue quattro mani il tamburo universale, chiamato damaru. Tale strumento musicale è in grado di generare al suo scuotimento ciò che nella mitologia induista viene definito l’Om, ovvero la parola universale, la fonte di tutte le lingue nonché di tutti i suoni, e quindi veicolo della creazione stessa. Anche la forma del tamburo è particolare e per nulla casuale. Esso ricorda una clessidra composta da due triangoli con le punte in contatto, e quel limite sancisce l’origine di tutti i ritmi del cosmo e quindi del tempo stesso scandito musicalmente.
Anche le azioni cosmogoniche di Prajapati sono spesso e volentieri permeate da un riferimento musicale. Secondo il Taitirīya Brāhmana, i ritmi del mondo – e quindi, di nuovo, il tempo stesso – nacquero dopo che il dio cominciò a scuotere sé stesso, proprio come un sonaglio. Il Ṛgveda racconta invece che la testa di Prajapati fu generata in seguito al canto dei Sette Rsi, identificabili sia come metri poetici che come dei veri e propri poeti mitici. In seguito, Prajapati fu a sua volta incaricato di pronunziare le sillabe creatrici del mondo – l’Om già menzionato. In un’altra versione, Prajapati nacque invece da un concerto di diciassette tamburi.
Gli esempi di suono cosmogonico documentabili dalla mitologia orientale sono davvero innumerevoli. Per adesso, vale la pena notare come Janna Levin, importante fisica e cosmologa, affermi che il rumore del Big Bang ricorderebbe proprio il suono di un tamburo.
Mitologia druidica
L’antica tradizione druidica e sciamanica non ha mai avuto l’attenzione che merita date sia l’intrinseca difficoltà che la scarsità delle fonti da cui attingere.
Una delle sue credenze più interessanti riguarda la figura del Drago ancestrale. Secondo tale cultura, il Drago apparve all’improvviso in un abisso di nulla e, dopo essersi rannicchiato su sé stesso, si alzò sulle zampe posteriori e si estese in tutta la sua altezza dispiegando le ali.
Dal suono scaturito da questo movimento venne generato il mondo, destato dalle vibrazioni delle ali intese come veri e propri strumenti a corda.
Anche qui, il riferimento alle corde e alle vibrazioni non può che ricordarci la moderna teoria delle stringhe, secondo la quale sarebbero delle increspature ondulatorie a dare forma alle particelle.
Mito e fisica si toccano un’altra volta, riscoprendo interconnessioni impolverate dallo scorrere dei secoli e dalla discrasia venutasi a instaurare tra i diversi campi del pensiero umano.
Mitologia egizia
La questione si fa più complicata, ma anche più affascinante, con la mitologia egizia.
In alcune versioni della cosmogonia del popolo delle Piramidi, il dio Thot assume un ruolo fondamentale. È il suo urlo, articolato come un canto di sette note crescenti, a dare vita al mondo.
Ma la presenza di un suono cosmogonico all’interno della mitologia egizia non termina qui. Uno dei racconti più celebri di tale patrimonio vede Thot recuperare l’occhio di Horus strappatogli dal malvagio Seth. Thot riuscì a rintracciare il prezioso pezzo mancante ripercorrendo un suono misterioso che scoprì provenire proprio dall’occhio stesso.
L’occhio sembra perciò essere la fonte di tutta la musica del mondo. Da esso scaturisce un’armonia sottostante alla realtà e udibile solo e soltanto qualora tale realtà si fosse rivelata in qualche modo mancante e incompleta. Se il mondo permane intatto come intatto era il corpo di Horus prima dello scontro con Seth, non si ode alcun suono. Ciononostante, nel momento in cui un trauma – come un lutto, uno squilibrio sociale – mina l’integrità del tutto, ecco che l’armonia risulta immediatamente percepibile.
Da ciò traspare l’idea di una musica cosmica talmente insita nelle pieghe della realtà da ovattare la nostra percezione. La mitologia egiziana ci insegna che l’arduo compito di mantenere il mondo spetta ad un’armonia talmente costante da risultare inudibile.
Lovecraft e Azathoth
Nell’opera di Howard Phillips Lovecraft, il più potente tra le divinità conosciute come Outer Gods viene a più riprese considerato Azathoth, altrimenti definito «il dio ottuso che bestemmia al centro dell’Universo».
Questo simpatico groviglio di tentacoli diede vita all’Universo, ma il suo enorme potere si rivelò ben presto eccessivo rispetto alla sua mente. Di conseguenza, Azathoth divenne una creatura catatonica, priva di una vera e propria coscienza, e perciò pericolosissima data la potenza cosmica di cui dispone. Gli Outer Gods decisero allora di intonare un’eterna sinfonia capace di mantenerlo assopito. Al centro preciso dell’Universo, Lovecraft immaginò una schiera di creature deformi munite di trombe, tamburi e flauti dedite a preservare il sonno del dio ottuso.
Nel caso in cui Azathoth si dovesse svegliare la nostra realtà cesserebbe di esistere. Secondo la mente geniale e perversa dello scrittore di Providence, forse il mondo altro non è che un lungo sogno del dio.
Torna allora l’idea di un suono cosmogonico capace di ovattare la percezione in modo silenzioso. Se tale ninna nanna dovesse improvvisamente interrompersi, riusciremmo a sentirla e ad accorgerci di essa.
Il residuo cosmologico di fondo: il suono cosmogonico della fisica
Avviamoci alla conclusione immergendosi nella dimensione della fisica contemporanea.
Ormai è una conoscenza abbastanza divulgata, quasi un dato di fatto: le più grandi scoperte scientifiche avvengono per caso, intrecciate in storie picaresche e ai limiti del tragicomico. Ciò vale anche per la serie di fortuiti avvenimenti che ha condotto alla scoperta del fenomeno fisico soprannominato “residuo cosmologico di fondo”.
Si tratta, in breve, della radiazione elettromagnetica che permea l’universo proveniente dalle fasi iniziali del macrocosmo. Detto in altri termini, i fisici ipotizzano sia ciò che rimane del Big Bang, l’eco delle microonde espanse durante i primissimi vagiti del nostro mondo.
Come testimoniarono Arno Penzias e Robert Wilson, il suono di questa radiazione primigenia assomiglia al tipico fruscio che si sentiva nelle vecchie radio tra un canale e l’altro.
Ecco un altro suono ovattato che impregna la realtà, in maniera non dissimile dalla musica proveniente dall’occhio di Horus e dalla sinfonia orchestrata dagli Outer Gods in onore di Azathoth.
Un’altra volta mito e fisica si toccano e confondono i propri confini, verso un unico sapere interdisciplinare sempre più vicino alla comprensione del tutto.
La colonna sonora della nostra galassia: il suono cosmogonico dell’amore
Un’ultima curiosità “cosmo-musicale”, utile a dimostrare per l’ennesima occasione quanto gli antichi popoli, nella loro affannata ricerca della verità dietro i misteri del mondo, avessero inteso ben più di quanto potessero immaginare.
Matt Russo, astrofisico di Toronto, qualche anno fa convertì tramite un software i dati provenienti dalle rotazioni dei pianeti del nostro sistema solare in note musicali.
È stato davvero sorprendente – e forse anche un po’ perturbante – scoprire che il suono ottenuto risulta assai simile alla canzone True Love Waits dei Radiohead. Il mondo in cui viviamo è davvero un concerto cosmico, e la canzone che viene suonata è una canzone d’amore. Forse è vero, come diceva Dante, che fin dall’origine dei tempi è l’amore a muovere il Sole e le altre stelle.