I sistemi di illuminazione dell’Italia antica riuniti in una mostra
Quasi sicuramente parlando dei sistemi di illuminazione del mondo antico a molti verranno in mente le lucerne a olio utilizzate dai Romani. Piccoli oggetti molto caratteristici, spesso decorati con scene di diversa natura e praticamente rinvenute in ogni tipo di contesto.
In realtà questo strumento di illuminazione, peraltro molto pratico, non era quasi mai utilizzato nell’Italia non greca fino almeno al IV-III secolo a.C.
Seguendo in parte il percorso tematico della mostra “Luci dalle tenebre. Dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei” allestita presso il Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, cercherò di fare luce (mi sia concesso il gioco di parole) su un tema molto affascinante, qual è quello dei sistemi di illuminazione utilizzati nell’Italia antica.
L’illuminazione a olio in Grecia e strumenti eccezionali in Italia
Già a partire dal VII secolo a.C. in Grecia, e di conseguenza anche nelle colonie greche dell’Italia meridionale e della Sicilia, fece la sua comparsa la lucerna: un oggetto generalmente di ceramica (ma si conoscono esemplari anche in altri materiali come il metallo e la pietra) composto da un serbatoio che conteneva l’olio e in cui era immerso uno stoppino di fibra vegetale, che fuoriusciva da un beccuccio e che, bruciato, forniva la fiamma che illuminava. Questo strumento, oltre alla sua praticità ed economicità, aveva anche un altro grande vantaggio, quello di non creare molto fumo e, quindi, cattivi odori. In Grecia, inoltre, l’olio era un prodotto molto diffuso e di facile reperimento.
Nonostante questi vantaggi, l’illuminazione a olio non ebbe grande successo tra Etruschi e popoli italici fino almeno all’età ellenistica. I ritrovamenti di lucerne o altri strumenti per l’illuminazione a olio prima di quest’epoca sono quantomeno rari e spesso ascrivibili tra gli oggetti unici o eccezionali. Solo a titolo di esempio si possono citare alcuni tra gli oggetti esposti nella mostra succitata: le lucerne da minatore rinvenute a Populonia, databili al VII-VI secolo a.C., o una lucerna in gesso alabastrino a quattro beccucci proveniente da Vulci, facente parte del ricco corredo di una sepoltura probabilmente di un aristocratico.
Una menzione a parte merita, poi, il lampadario bronzeo di Cortona: un oggetto di straordinaria fattura, che doveva illuminare un luogo di culto e che presenta una complessa decorazione disposta in fasce intorno a una testa di Gorgone centrale: sirene e sileni alternati, onde correnti, delfini e lotte di animali. L’illuminazione era garantita da ben sedici beccucci intervallati da teste di Acheloo. Un prodotto che è riduttivo definire unico.
Le fonti per l’illuminazione nell’Italia antica
La mancata ricezione tra gli Italici di questa tecnologia sembra quantomeno anomala, soprattutto considerando quanto queste popolazioni, gli Etruschi per primi, fossero state sempre piuttosto aperte e permeabili alle innovazioni tecnologiche provenienti dalla Grecia (si pensi alla scrittura, al tornio per la ceramica, o alle più avanzate tecnologie applicate nel campo agricolo, prima tra tutte la coltivazione della vite).
È facilmente deducibile, quindi, che per l’illuminazione erano privilegiate altre fonti, soprattutto la legna. Questa serviva innanzitutto ad alimentare il focolare, il vero elemento centrale delle abitazioni, il quale garantiva contemporaneamente il riscaldamento, la cottura dei cibi e l’illuminazione. La legna, poi, veniva utilizzata anche sotto forma di fascine per creare torce o fiaccole ed era anche usata per ricavarne pece e resina, da utilizzare come combustibile.
Una corrente di studi in voga fino a qualche decennio fa sosteneva che in Italia almeno fino al IV secolo a.C. non fosse diffusa in maniera capillare ed estensiva la coltivazione dell’olivo, cosa che non avrebbe, perciò garantito una produzione di un surplus di olio da poter utilizzare per l’illuminazione. Questa teoria in realtà è da considerarsi superata, anche grazie alle scoperte degli ultimi decenni. Gli Etruschi, infatti, nel corso del VII secolo a.C. importavano dalla Grecia sia l’olio di oliva, sia essenze profumate che erano sempre a base di olio.
Alla fine del secolo queste importazioni rallentarono fino quasi a cessare, però i profumi continuano a essere un prodotto molto diffuso, cosa che testimonia come queste essenze venissero fabbricate in loco e non più in Grecia. Questo indica una coltivazione dell’olivo, tale da garantire un surplus da impiegare nella produzione di beni di lusso, quali i profumi, ma volutamente non utilizzato per l’illuminazione.
L’illuminazione etrusca: candele e candelabri
Contemporaneamente in Etruria comincia una delle produzioni che più caratterizzano questo popolo, quella dei candelabri. Di questi oggetti esistevano sicuramente diverse versioni, da quelli in legno, per le classi meno abbienti, a quelli in ceramica, come l’esemplare in vernice nera proveniente da Monteriggioni, che fa bella mostra di sé nell’esposizione cortonese. Ma i più raffinati erano i candelabri bronzei, di cui in questa mostra si possono vedere alcuni esemplari, talvolta veri e propri capolavori della toreutica. Un particolare tipo di candelabro qui esposto è la statua di Efebo proveniente da via dell’Abbondanza a Pompei: si tratta di un capolavoro dell’arte romana di I secolo a.C., raffigurante un giovane fanciullo che regge in mano un portafiaccole o portacandele, ispirato a modelli statuari greci di V secolo a.C.
La nascita di questi manufatti implica, naturalmente, l’utilizzo della candela. Secondo Marziale e Varrone, peraltro, l’invenzione di questo strumento era di molto precedente a quella della lucerna, che in ambiente italico arriverà solo successivamente.
La candela, non diversamente da quelle moderne, si componeva di uno stoppino in fibra vegetale immerso in un corpo di cera d’api o grasso animale (sego), quest’ultima versione sicuramente meno costosa. Le candele avevano, al pari delle lucerne, il vantaggio di non creare troppa fumigazione e quindi cattivo odore e per questo erano molto ricercate dalle classi abbienti che le utilizzavano per illuminare i loro banchetti.
Uno strumento tipicamente etrusco: il graffione
Accanto a questi strumenti non si può non citare il famoso graffione etrusco, che negli ultimi anni è stato ufficialmente interpretato anch’esso come strumento per l’illuminazione. Si tratta di aste terminanti in più uncini, che in passato li avevano fatti interpretare come ganci per cuocere la carne. Intorno a questi uncini si dovevano avvolgere, come si vede in alcune raffigurazioni, una corda imbevuta di materiale combustibile, sistema, questo, che ci è testimoniato anche da un passo del commento all’Eneide di Servio. Alla mostra di Cortona sono esposti quattro esemplari di graffioni, appartenenti a due tipologie diverse.
I sistemi di illuminazione antichi: una scelta ambientale e culturale
Allo stesso modo in cui in Italia non erano diffuse le lucerne, in Grecia non è testimoniato, se non raramente, l’utilizzo dei candelabri. Verrebbe naturale pensare, quindi, che in Grecia non fosse diffusa l’apicoltura a un livello almeno tale da permettere una cospicua fabbricazione di candele. Verremmo, parò, subito smentiti dalle evidenze di un largo utilizzo della cera presso i Greci, soprattutto se si pensa all’utilizzo che se ne faceva nel calafataggio delle navi o nella produzione dei bronzi: si pensi alla ben nota “fusione a cera persa”, tecnica con la quale si producevano opere d’arte quali, ad esempio, il lampadario di Cortona o l’Efebo di via dell’Abbondanza di cui abbiamo parlato poco fa.
Per cercare di tirare le fila di questo excursus riguardo l’illuminazione antica, dobbiamo dire che il fattore determinante nella diversa scelta dei sistemi di illuminazione è fondamentalmente quello ambientale. Le fonti antiche ci parlano spesso della diffusione e ricchezza delle foreste dell’Italia centrale, che dovevano garantire abbondanza di legname a basso costo. Del pari sappiamo quanto questo patrimonio boschivo fosse meno esteso in Grecia e nelle colonie, cosa che deve aver favorito lo sviluppo della tecnologia dell’illuminazione a olio.
La scelta dei sistemi di illuminazione
Sicuramente a favorire la fortuna dell’uno o dell’altro sistema avranno contributo anche fattori di tipo squisitamente culturale, ma che il fattore ambientale fosse determinante in questa scelta ci è testimoniato anche dal cambiamento del sistema di illuminazione in Italia centrale a partire dall’età ellenistica: in questo periodo, infatti, le fonti ci parlano di estese deforestazioni a fini bellici e urbanistici.
Essendo necessario l’utilizzo del legno per fini sentiti più impellenti ed essendo presente un’alternativa per l’illuminazione pratica e a basso costo il passaggio fu naturale, tanto che in breve tempo sia in ambiente etrusco che romano iniziarono a essere prodotti i primi tipi di lucerne.
Carmine De Mizio per Questione Civile