Una bibbia dipinta nel Duomo di San Gimignano
In Toscana sono sette i luoghi iscritti alla lista del “Patrimonio dell’Umanità” dell’Unesco. Tra tutti i suoi borghi, il centro storico di San Gimignano, la Manhattan del Medioevo, entrò nella lista nel 1990. La presenza di tredici torri conferisce alla città un fascino unico, che non è neanche lontanamente paragonabile alla visione in epoca medievale quando le torri erano ben settantadue. In piazza Duomo se ne contano ben sei tra cui anche la torre campanaria dell’edificio religioso. Una chiesa che da fuori si presenta con una facciata molto semplice che ha conservato la sua veste antica.
La costruzione della chiesa
Le origini del Duomo risalgono al 1056 quando era un piccolo edificio di culto costruito accanto alla Pieve di San Gimignano. La consacrazione avvenne però nel 1148 durante una visita del papa Eugenio III. L’orientamento dell’edificio era opposto rispetto a quello che vediamo oggi, come testimonia l’antica abside rinvenuta al di sotto della controfacciata. Il cambiamento piuttosto consistente fu forse voluto dalle autorità cittadine per facilitare l’accesso alla chiesa dalla via Francigena che attraversava il paese.
Per preservare memoria dell’antica struttura nel XIII secolo nel corso della costruzione della facciata si decide di non realizzare il portale centrale, come nella maggior parte degli edifici di culto. Ancora oggi l’accesso avviene dai due portali in corrispondenza delle navate laterali. Una prima ristrutturazione risale al 1239 quando fu realizzata l’attuale facciata e il nuovo impianto romanico a tre navate. Nel 1460 la struttura fu ingrandita secondo i progetti dell’architetto fiorentino Giuliano da Maiano, fratello maggiore di Benedetto tra i pittori impegnati nella decorazione degli interni.
La decorazione ad affresco del Duomo di San Gimignano
Il vero spettacolo si dispiega lungo le pareti interne delle navate laterali e nella controfacciata. L’ambiente interno è illuminato dai tre oculi della facciata e infondono una luce chiara che rende la visita ancora più suggestiva. La decorazione ebbe inizio nel XIV secolo con le Storie dell’Antico e Nuovo Testamento che si raffrontano, come da tradizione: le vicende dei patriarchi sono prefigurazione della vita di Cristo. Nella controfacciata, invece, un complesso programma iconografico è arricchito anche dalla presenza di un gruppo scultoreo ligneo 1421-1426 Jacopo della Quercia, che Martino di Bartolomeo dipinse le veste e impreziosì con punzonature in oro.
Gli affreschi delle navata di sinistra
Nella navata di sinistra sono raffigurate su più registri le storie del Vecchio Testamento, opera di Bartolo di Fredi intorno al 1367. Il racconto ha inizio nella lunetta in alto all’inizio della navata con la Creazione del Mondo a cui seguono gli altri episodi del libro della Creazione, con la nascita dell’uomo e della donna, fino alla Cacciata dal Paradiso terrestre. Nel registro intermedio vi è la rappresentazione delle Storie di Adamo e Giuseppe. Molto particolare la scena in cui gli animali vengono fatti salire sull’arca, il pittore rappresenta tra le varie specie animali anche gli elefanti dipinti delle stesse dimensioni dei cavalli.
L’ultimo registro prosegue con la storia di Mosè, il cui episodio centrale, l’Attraversamento del Mar Rosso, occupa una porzione più grande di parete. A sinistra sono raffigurati i soldati egizi che muoiono affogati, mentre a destra il popolo israelita capeggiato da Mosè che si salva dalla terribile morte. In questo riquadro più che in altri il pittore non è riuscito a restituire la profondità dello spazio, tanto che tutti i corpi inghiottiti dal fiume sono come raffigurati in primo piano.
Gli affreschi delle navata di destra
La parete lungo la navata di destra accoglie invece le Storie della vita di Cristo narrate nei Vangeli. Gli affreschi furono realizzati tra il 1338 e il 1345 da Lippo Memmi con l’aiuto del fratello Federico. Memmi era il cognato di Simone Martini, dunque, era aggiornato alle più moderne ricerche pittoriche che nel territorio senese erano state promosse proprio dalla sua bottega. Questa attribuzione ha consentito di restituire a Memmi uno dei suoi capolavori, che si riteneva essere del pittore noto come Barnaba da Siena sulla base delle notizie riferite dai biografi Lorenzo Ghiberti e Giorgio Vasari. Secondo il loro racconto, Barnaba sarebbe tragicamente morto cadendo dai ponteggi del Duomo di San Gimignano.
La scena della Crocefissione occupa uno spazio più grande rispetto agli altri episodi ed è sicuramente il più cruento. Il corpo di Cristo viene punzecchiato con una lancia da uno dei soldati, mentre gli angeli si disperano intorno a lui, come il gruppo delle pie donne in basso a sinistra. Memmi riesce con grande maestria a inscenare i sentimenti di dolore dei vari personaggi raffigurati, dimostrando di essere uno dei protagonisti dell’evoluzione pittorica di questi anni.
Il Giudizio Universale e il San Sebastiano
Taddeo di Bartolo dipinse invece l’Inferno ispirato al Canto XXXIV della prima Cantica della Divina Commedia. L’affresco è dominato dalla figura di Satana che mangia Giuda mentre con le mostruose mani stritola Bruto e Cassio, che sono considerati da Dante traditori di Cesare e dell’Impero. Seguono poi le scene con i dannati relegati ai vari gironi e puniti secondo la legge del contrappasso. I golosi hanno sotto il naso una tavola imbandita di cibi e bevande che non possono toccare poiché trattenuti dai demoni infernali.
Nella parete di fondo della controfacciata è raffigurato il Martirio di San Sebastiano, eseguito da Benozzo Gozzoli nel 1495, come attestano firma e data in basso a sinistra. San Sebastiano, che sta per ricevere la corona del martirio, è posizionato al di sopra di un piedistallo marmoreo tipicamente rinascimentale. I suoi carnefici scoccano le frecce, rappresentati fermi in posizioni che ricordano quelle della statuaria antica. Rispetto alle altre scene dipinte lungo le pareti siamo di fronte ad un’opera più matura di uno dei protagonisti del primo Rinascimento fiorentino. Benozzo, infatti, aveva lavorato anche per i Medici affrescando nel loro Palazzo la Cappella dei Magi, in cui ritrasse i membri della famiglia tra i partecipanti al corteo.
La Cappella di Santa Fina
Il luogo più importante del Duomo è la Cappella dedicata alla Santa protettrice della città: Santa Fina. Il progetto architettonico fu realizzato da Giuliano da Maiano, mentre il fratello Benedetto si occupò dell’apparato scultoreo. Il risultato d’insieme è straordinario: le forme architettoniche rinascimentali sono esaltate da elementi decorativi delle paraste su cui si stagliano angeli e dal motivo della finta tenda che si apre sull’altare dedicato alla Santa. Qui, infatti, si conservano le reliquie della giovane, morta in età prematura a causa di una grave malattia che la paralizzò. Intorno al 1475, le pareti della Cappella accolsero gli affreschi di Domenico Ghirlandaio, pittore fiorentino alla sua prima commissione autonoma. Diverrà poi uno dei protagonisti della pittura del XV secolo, partecipando anche alla decorazione della Cappella Sistina.
Le due scene della vita di Santa Fina
A destra è raffigurata la giovane morente mentre gli appare papa San Gregorio Magno, che predice la sua morte. L’ambiente spoglio in cui è ambientata la scena vuole mostrare ai fedeli la vita semplice che condusse la Santa, che restò quasi tutta la sua vita immobile sulla panca, conservata proprio nella Cappella. Dal legno della panca fioriscono tante piccole violette a ricordo del miracolo che si compie al momento della sua morte. Secondo la tradizione popolare, fiorirono su tutte le torri di San Gimignano violette gialle.
La scena a sinistra è l’ultimo atto della vita della Santa. Durante le sue esequie, infatti, compie ben tre miracoli. Alla nutrice accanto al catafalco fu riabilitato l’uso della mano, mentre il fanciullo ai suoi piedi riacquisisce la vista. In ultimo, tutte le campane della città iniziarono a suonare simultaneamente per celebrare la vita della Santa. Lo sfondo in cui è ambientata la scena è proprio quella della città di San Gimignano con le sue torri, patrimonio dell’Umanità.
Ilaria Arcangeli per Questione Civile