Menfi: la «bilancia delle due terre» e il dio Ptah
Fondata intorno al 3000 a.C. da un sovrano di nome Menes, Menfi era conosciuta anche col nome di «bilancia delle Due Terre» poiché sorgeva sull’apice del Delta, punto di unione tra Alto e Basso Egitto.
Avvenuta l’unificazione, essa fu la sede più ovvia della capitale. Menfi restò il centro amministrativo e militare più importante dell’Antico Egitto per secoli, anche quando la capitale venne effettivamente collocata altrove.
La cosmogonia menfita ricalca una struttura simile a quella della cosmogonia eliopolitana descritta nell’articolo precedente, ma la riformula e attribuisce il merito della creazione del mondo e delle divinità non ad Atum, bensì a Ptah.
La pietra di Shabaka
La cosmogonia menfita fu incisa su una pietra di granito nero proveniente da Wadi Hammamat che pesa oltre 400 kg. Poiché per lungo tempo venne usata come pietra di mulino, presenta un profondo foro centrale e vari solchi radiali.
Fu rinvenuta nel 1805 e donata al British Museum dal conte Spencer, ma fu decifrata solo nel 1901 dall’egittologo americano James Henry Breasted. Chiaramente, le condizioni di usura non resero facile il lavoro.
Il nome «pietra di Shabaka» è dovuto al fatto che, all’inizio della stele, si racconta di come il faraone Shabaka, appartenente alla XXV dinastia, fece incidere questo testo facendolo copiare da un papiro in decomposizione e colmo di vermi. Il papiro fu rinvenuto nella biblioteca del tempio di Ptah a Menfi. Il linguaggio indusse gli studiosi a credere che il testo fosse stato scritto durante la I-II dinastia, anche se alcuni restano convinti sia da collocare in epoca ramesside.
La volontà del faraone Shabaka di far incidere questo testo conferma la sua intenzione di allearsi con il clero di Menfi e di appropriarsi delle più antiche tradizioni faraoniche.
Ptah: il demiurgo di Menfi
Gli antichi Egizi attribuivano grande importanza alle divinità solari e ai loro rispettivi culti, ponendoli spesso a capo della creazione del mondo e degli dei. Nel caso della cosmogonia menfita, ciò non avviene. Il demiurgo è considerato Ptah, il «Grande Maestro degli Artigiani».
L’origine del culto di Ptah come dio dell’artigianato potrebbe derivare dalla vicinanza della cava calcarea di Turah. Poiché Ptah è colui che forgia le cose con le sue mani, nell’immaginario egizio lui è l’artigiano che diede origine all’universo.
Era rappresentato sempre in forma umana, col capo coperto da una calotta blu e la barba posticcia. L’iconografia, spesso, lo ritrae con la pelle verdastra. Le sue mani reggono uno scettro che combina tre simboli fondamentali:
- was, simbolo del potere regale;
- djet, simbolo di stabilità;
- ankh, simbolo della vita.
Come altre divinità egizie, il demiurgo aveva un animale sacro che era considerato sua incarnazione vivente: Hapi, un toro dal manto bianco e nero, con un segno a forma di scarabeo sulla lingua e i peli della coda doppi. Hapi risiedeva dentro al tempio di Hut Ka Ptah a Menfi ed era venerato come oracolo di Ptah. I suoi movimenti erano interpretati come presagio della volontà del dio. Morto Hapi, il suo corpo venne mummificato e conservato in un grande sarcofago di pietra.
L’origine dell’universo secondo Menfi
«È la lingua che ripete ciò che ha pensato il cuore»
Secondo il mito, in principio vi erano le acque primordiali da cui si autogenerò Path, il demiurgo del cosmo. Ptah pensò alle cose che voleva creare e, semplicemente, ne pronunciò il nome. Dalla sua parola ebbero origine il mondo e gli dei, percepiti come sue emanazioni:
- Atum, dio del disco solare;
- Tatenen, energia primordiale che rappresenta la prima terra emersa dalle acque caotiche primordiali;
- Nun, il caos;
- Nunet, la potenza del cosmo ordinato;
- Horo, dio della regalità;
- Thot, dio della sapienza e della scrittura;
- Nefertum, il dio dei profumi;
- il serpente eterno, rappresentazione del mondo e del suo ciclo vitale tra morte e rinascita.
Tutti insieme formano una nuova Enneade, quella di Menfi.
L’operato di Ptah però, per gli Egizi, non si concluse con la creazione del mondo: il demiurgo avrebbe continuato incessantemente a creare e plasmare attraverso le mani degli architetti, degli scultori e dei pittori.
Menfi ed Eliopoli a confronto
La cosmogonia menfita ha una storia semplice e non è caratterizzata da particolari eventi. Mentre le altre cosmogonie descrivono atti e fatti in maniera meccanica, ove la nascita del mondo è causata da una semplice combinazione di elementi fisici, quella menfita percorre una via diversa: concepisce l’origine dell’universo sulla base astratta del ragionamento e dell’intelletto.
È il pensiero, la mente della divinità, che crea il mondo usando il cuore e la lingua: il cuore rappresenta la coscienza del dio, ciò che profondamente sente; la lingua esplicita il desiderio e concretizza la creazione.
La cosmogonia menfita venne ritenuta da alcuni studiosi un commentario della cosmogonia eliopolitana, poiché quest’ultima, anche in passato, era stata oggetto di interpretazione allegorica.
La somiglianza tra le due cosmogonie non deve stupire, poiché l’antico Egitto mostra un politeismo spesso confuso e contraddittorio. Malgrado gli Egizi aspirassero alla creazione di un’unica religione di Stato, il forte attaccamento ai culti locali ha sempre prevalso.
Noûs e Logos: Menfi anticipa il pensiero greco?
Il testo riportato nella pietra di Shabaka scosse profondamente la cultura e il modo in cui l’uomo è sempre stato abituato a guardarla. L’uso di termini come «cuore» e «lingua» per indicare rispettivamente «coscienza» e «pensiero», portò l’egittologo Breasted ad azzardare un’ipotesi: forse i Greci non furono i primi a formulare i concetti di noûs e logos.
Diversi principi costituenti il patrimonio dei filosofi greci risultano, alla luce di alcune scoperte in campo archeologico e linguistico, delle intelaiature create sulla base di altri principi preesistenti in altre civiltà. Questi principi non facevano parte di una più ampia speculazione o dialettica del pensiero: semplicemente, rientravano nel tessuto mitologico e religioso di quelle civiltà.
Non vi sono dubbi, infatti, che la Filosofia come disciplina sia nata in Grecia.
Dagli studi linguistici è emerso che il termine «noûs», forma contratta di «nòos», potrebbe derivare da un antico verbo egizio traslitterato come nw, con lettura convenzionale nu. Quest’ultimo ha il significato di «osservare».
Da Omero, il termine «noûs» esprime il concetto di «comprendere» e «rendersi conto di una situazione». Questi concetti sono intrinsecamente legati alla vista, poiché implicano un riconoscimento immediato.
Analizzando il termine da questa prospettiva, non è difficile trovare un legame con l’antica civiltà egizia.
Menfi e il Cristianesimo
Il ruolo attribuito dalla città di Menfi alla parola ha inevitabilmente spinto gli studiosi a rintracciare un parallelismo con il cristianesimo. Il Vangelo di Giovanni, d’altronde, comincia così:
«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio»
Chiaramente le due religioni sono distanti nel tempo e non vi sono prove di possibili legami, ma è interessante notare come il culto egizio abbia anticipato un aspetto fondante la religione ad oggi più diffusa.
Tuttavia, mentre la religione cristiana tende ad offrire una scansione temporale della creazione del mondo, ciò non avviene nella religione egizia, poiché il culto descritto ha insito un senso di eternità.
Per il demiurgo egiziano, il tempo non sembra entrare in gioco. Ciò non significa che le creature e le cose siano apparse simultaneamente; una successione esiste, ma non è misurata o divisa in termini temporali. Alcuni testi egizi, del resto, affermano che anche il tempo fu creato da Ptah.
Archeologia a Menfi
La scoperta e la comprensione del culto menfita è stata di particolare importanza. Ad oggi, da un punto di vista archeologico, Menfi può essere considerata un museo a cielo aperto.
La vastità e la grandezza della necropoli di Saqqara, appartenuta alla città di Menfi, costituiscono una prova delle dimensioni e della prosperità che la capitale dovette aver conosciuto.
Il reperto più significativo riportato alla luce è il colosso di Ramses II, ritrovato nel 1820 e privo di quasi tutta la parte inferiore. Inoltre, non poche curiosità desta la Sfinge di Alabastro: si pensa fosse dedicata alla regina Hatshepsut.
Gli archeologici stanno ancora scavando per trovare tracce del grande tempio dedicato al dio Ptah, ma fino ad ora sono stati rinvenuti pochi blocchi in granito e calcare. La scoperta del tempio è, attualmente, una tra le più ambite, poiché si ritiene che il nome del tempio, Hut-ka-Ptah, possa essere l’origine etimologica del nome «Egitto».
Maria Rita Gigliottino per Questione Civile
Bibliografia
T. Wilkinson, L’antico Egitto. Storia di un impero millenario, Torino, 2010.
M. Zecchi, Inni religiosi dell’Egitto antico, Brescia, 2004.