La storia di Aldo Manuzio: come nasce l’oggetto che secoli fa ha rivoluzionato il nostro modo di conoscere
“Essenziale è comprare molti libri che non si leggono subito. Poi a distanza di un anno, o di due anni, o di cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, potrà venire il momento in cui si penserà di aver bisogno esattamente di quel libro – e magari lo si troverà in uno scaffale poco frequentato della propria biblioteca.”
Così scriveva Roberto Calasso nel suo saggio Come ordinare una biblioteca (2020) circa sei secoli dopo la nascita di Aldo Manuzio. Soltanto grazie alla sua esistenza e alle sue intuizioni Calasso poté scrivere, non troppo tempo fa, queste parole.
Senza di lui, infatti, probabilmente non sarebbe esistito nessun Roberto Calasso, editore, così come lo conosciamo oggi e nessuno di noi bibliofili avrebbe potuto provare quel particolare piacere che proviene dal comprare, possedere, ammirare, scegliere, finanche odorare un libro che proviene dalla propria personale libreria.
Senza Aldo Manuzio, l’inventore dei libri – come recita il titolo di un recente saggio uscito per i tipi di Laterza nel 2020 – non potremmo essere neppure qui a parlarne.
Aldo Manuzio: nascita e formazione
Aldo Manuzio nasce nel 1449 a Bassiano nei pressi di Velletri. Della sua infanzia nella campagna Laziale sappiamo poco e niente, ma conosciamo con esattezza i momenti e le conoscenze salienti della sua formazione editoriale.
Tra il 1467 ed il 1475 compie gli studi umanistici a Roma presso il cardinale Bessarione. Quest’ultimo per primo instillerà nel giovane allievo il seme degli interessi tipografici.
Dopo il 1475 il giovane editore si trasferisce a Ferrara dove continuò presso Battista Guarini. Sotto la sua guida si avvicinerà allo studio del greco e rivaluterà il valore di una cultura enciclopedica insieme umanistica e scientifica.
Nel 1482, a Carpi, strinse i rapporti con Giovanni Pico noto come Pico della Mirandola che diventerà, da lì a pochi anni, il maggiore finanziatore delle sue prime imprese editoriali a Venezia, detta “Repubblica delle lettere”.
Sappiamo, infatti, che Manuzio, seppur già interessato al mondo tipografico, probabilmente non scelse di trasferirsi a Venezia, nel 1494, per il suo legame col nascente mondo della stampa, ma per la vivacità intellettuale e culturale e per la grandiosa varietà di occasioni che la città proponeva. Aldo stesso l’avrebbe definita “il luogo più simile a un mondo intero che a una città”.
Il progetto editoriale
Fu in questo ambiente così stimolante che Manuzio conobbe e si legò ad uno dei più grandi intellettuali del suo tempo: Angelo Poliziano. A lui furono dedicati i primi volumi stampati dall’editore, dove compariva, tra le altre cose, anche il celeberrimo logo dell’ancora con delfino accompagnato dal motto festina lente (affrettati lentamente, ovvero ragiona con calma ma poi agisci). Fu Poliziano a spingere Manuzio sempre più vicino alla cultura classica influenzando quello che sarebbe stato il suo progetto di stampa.
.Aldo Manuzio, infatti, non era solo un tipografo. Apparteneva piuttosto alla schiera degli intellettuali visionari che, pur coltivando la cultura classica e antiquaria, non si separarono mai dalla modernità e che intuirono per primi le potenzialità rivoluzionarie della stampa.
Egli, tuttavia, aveva in mente un progetto molto più ampio della sola stampa in serie di tomi scelti a caso. Un progetto caratterizzato da un’idea unica e riconoscibile tanto nella proposta culturale quanto nell’aspetto dei libri stampati. In poche parole, da tipografo ed intellettuale che era, Manuzio inventò da zero una carriera adatta al suo progetto: quella di editore.
I ferri del mestiere
La nuova professione inventata da Aldo Manuzio necessitava di nuovi ferri del mestiere che l’editore non mancò di inventare. Tutti concorrevano ad un medesimo fine che oggi potremmo definire creazione di un marchio. Il palese obiettivo di Manuzio era, infatti, quello di creare una firma riconoscibile nell’offerta culturale e in una serie di elementi nuovi e sempre costanti che caratterizzavano i libri stampati dalla prima casa editrice della storia.
In poche parole, compì un’operazione di marketing. La stessa per cui oggi se pensiamo ad un giallo e lo associamo ad un dorso in cartonato blu siamo subito portati a pensare a casa Sellerio. Se vediamo, invece, una copertina bianca dallo stile minimalista associata al logo raffigurante uno struzzo individuiamo subito casa Einaudi. Lo stesso fece Aldo Manuzio creando alcuni semplici, costanti elementi.
Prima di tutto creò un logo ed un motto: il delfino con l’ancora che esemplificava il senso del motto festina lente di cui abbiamo già detto. Poi creò un suo personalissimo carattere tipografico. A onor del vero fu Francesco Griffo, orafo bolognese dedicatosi alla carriera tipografica, a crearlo per lui ispirandosi alla scrittura corsiva di Poggio Bracciolini, la calligrafica cancelleresca, a sua volta ispirata alla carolina.
Il nuovo carattere venne ribattezzato corsivo aldino. In onore della sua patria oggi è noto come italique o italics e fu usato per la prima volta nel 1500 per l’edizione aldina di Virgilio e poi nel 1502 per quella di Dante.
A Manuzio è da attribuire anche l’invenzione e la codifica dei segni di interpunzione come li conosciamo oggi. Il punto a chiusura del periodo, la virgola, il punto e virgola, l’apostrofo e l’accento. È da dire, inoltre, che l’intellettuale aveva creato anche un altro simbolo oggi scomparso e cioè il punto mobile che serviva a chiudere frasi intere al periodo.
Le aldine: il capolavoro editoriale di Aldo Manuzio
Il merito più grande di Aldo Manuzio è da ricercare però nella creazione di un formato tutto nuovo per i suoi volumi. Di fatto, come molti sanno, Manuzio è l’inventore dei tascabili. Per i suoi libri egli, infatti, riadattò il formato “in ottavo” (usato allora solo per alcuni libri religiosi). Esso si otteneva piegando tre volte un foglio di carta intero: una sul lato minore, un’altra sul lato maggiore ed infine ancora sul lato minore. Il risultato era un formato che constava di 16 pagine o, meglio, 8 carte (consistenti in un unico foglio formato di recto e verso, gli antichi fronte e retro).
Il formato andò a sostituirsi a quello molto più maestoso, ma certo meno comodo fino ad allora utilizzato “in folio” (corrispondenti a 4 carte) o “in quarto” (corrispondenti a 8 carte). In suo onore i nuovi libri così formati divennero noti come Aldine. Questa intuizione non ebbe ricadute soltanto sulla notorietà del suo creatore. Anzi, rivoluzionò anche il modo di fruire la cultura contribuendo ad una maggiore diffusione dei libri che finalmente diventavano molto più facilmente trasportabili e consultabili.
Tra le altre cose Manuzio investiva moltissimo anche sul lavoro filologico fatto sui testi che comprendeva la raccolta, la trascrizione, la correzione e la stampa. Per tutelare questo investimento Manuzio inventò persino l’antecedente del nostro copyright: il privilegium, che impediva a chiunque non fosse autorizzato di riprodurre il lavoro fatto sotta l’egida del festina lente.
Possiamo dunque dire, in conclusione, che Aldo Manuzio riuscì nella sua impresa. Diffuse in tutta Europa il suo marchio, tutelando quello che potremmo definire un vero e proprio patrimonio artistico, ponendo in mano ad ogni intellettuale del Vecchio Continente – o quasi – una sua Aldina e diventando, fino ad oggi, l’uomo che inventò i libri.
Noemi Ronci per Questione Civile