Caffè: la sua storia nella Commedia goldoniana

Caffè

La storia di una bevanda chiamata caffè

La storia del caffè ha origini ancora oggi indefinite e avvolte nel mistero. Pare che la bevanda sia nata tra l’Etiopia e lo Yemen circa nel XV secolo, ottenuta dalla Coffea arabica.

Pellegrino Artusi ci riporta che: “un prete musulmano, in Yemen, avendo osservato che quelle capre, le quali mangiavano le bacche di una pianta di quelle contrade, erano più festevoli e più vivaci delle altre, ne abbrustolì i semi, li macinò e fattane un’infusione scoprì il caffè tal quale noi lo beviamo”.

Successivamente il caffè si diffuse in tutto l’Impero ottomano fino ad arrivare a Costantinopoli, la quale divenne la capitale indiscussa. In Europa, ma in particolare in Italia i mercati veneziani lo introdurranno dal 1570 circa.

Il caffè e la pianta

Le prime piante di caffè sembra siano state trovate a Kaffa in Etiopia, città dalla quale ha tratto poi il nome la bevanda. Proprio da quelle zone sembrerebbe che dal XIII al XIV secolo gli Etiopi portarono con sé, durante le loro campagne militari, le piante di Coffea arabica nello Yemen. In questo territorio le piante di caffè trovarono ampio spazio per crescere tanto che prosperarono nei giardini e nelle terrazze.

La loro espansione proseguì lungo la costa orientale del Mar Rosso, fino all’Arabia, dove già alla fine del ‘400 sorsero i primi luoghi di degustazione, ovvero luoghi di ritrovo per la degustazione del caffè.

La diffusione del caffè in Europa e nel mondo

La diffusione di questa bevanda portò dal XVI secolo alla creazione di veri e propri centri di smistamento, tra cui Il Cairo in Egitto, che era un punto fondamentale grazie alla presenza di mercanti e pellegrini diretti in ogni parte del mondo. Il caffè si diffuse anche grazie alla divulgazione della religione islamica, la quale proibiva di bere vino, e così il caffè prese il suo posto.

Nel XVII secolo il “vino d’Arabia” giunse fino in Europa, anche se già dal secolo precedente a Venezia erano reperibili i semi della Coffea arabica perché venduti dagli speziali come medicamento, ma ad un prezzo molto elevato.

Da quel momento in poi il caffè divenne un bene di consumo di facile reperibilità e apprezzato prima dalla nobiltà e dagli intellettuali, e successivamente anche dalla gente comune. Istanbul fu la città nella quale a metà del Cinquecento sorsero le prime caffetterie, che si moltiplicarono rapidamente in tutta la città con il nome di gahveh o khaveh. In Europa il boom delle botteghe del caffè si registra sul finire del Seicento con Londra e Parigi che ne contavano almeno 300, mentre Vienna solo 10.

In Italia invece fu l’intuizione di un giovane veneziano, Pietro della Valle, il quale fu il primo ad annunciare l’apertura di uno spaccio di caffè in Italia nel 1615. Un secolo dopo invece, nel 1720, a Venezia, in piazza San Marco apriva il famosissimo caffè Florian, che ancora oggi porta alto il suo nome di “caffè più antico del mondo”.

Il caffè: la bevanda del diavolo

L’ascesa di questa nuova bevanda contribuì, nel Settecento, a far superare definitivamente i pregiudizi che avevano circondato per secoli il caffè. Infatti, il fatto che esso avesse origini musulmane fece storcere il naso alla Chiesa, che inizialmente aveva tentato di confinarne e limitarne l’uso.

L’accusa si basava sul timore che il caffè potesse rappresentare un diabolico raddoppiatore dell’io, capace di rendere vigili, troppo loquaci e disinibiti persino i caratteri più morigerati. Una leggendaria conferma arriva dai racconti del frate, teologo alla Sorbona fra il Sei e il Settecento. Secondo una tradizione tramandata da questo religioso della Chiesa siriana, l’arcangelo Gabriele aveva offerto il caffè al profeta Maometto, il quale dopo averlo bevuto “disarcionò in battaglia ben quaranta cavalieri e rese felici sul talamo addirittura 40 donne“.

La Chiesa perciò, turbata dall’effetto afrodisiaco, condannò subito quello che ormai era chiamato vino d’Arabia etichettandolo come bevanda del diavolo.  Solo papa Clemente VIII fu l’unico a troncare ogni opposizione e proibizione come chiedevano i suoi consiglieri ecclesiastici.

Sembrerebbe che proprio dopo aver sorseggiato una tazza di caffè, il papa abbia sentenziato che il vero peccato sarebbe stato lasciare che solo gli infedeli lo consumassero. Proclamandolo, anzi, “bevanda cristiana”.

I caffè a Venezia come luoghi di cultura e di aggregazione sociale

Alcune delle testimonianze più interessanti riguardanti la vita che si svolgeva nei caffè veneziani è riconducibile in un’opera di Goldoni, scrittore e commediografo. All’interno dell’opera teatrale La Bottega del Caffè Goldoni descrive una panoramica completa sulle attività e sulla vita degli avventori dei caffè veneziani.  L’autore si addentra nella descrizione di aspetti anche molto personali dei frequentatori dei Caffè, andando ad offrire una panoramica sulle svariate professioni esercitate da nobili e borghesi veneziani quali mercanti, soldati, medici e avvocati.

I caffè erano quindi luoghi di cultura e ritrovo sociale multiforme, erano posti dove ritrovarsi non solo per bere la nota bevanda nera, ma anche per discutere di politica o di cultura. Frequentare i caffè assumeva quindi un significato più ampio, relativo anche alla socializzazione e allo scambio politico- culturale.

Frequentare i caffè divenne una moda di quel tempo poiché significava anche sfoggiare abiti lussuosi e cappellini all’ultima moda e definire uno status sociale ben preciso. Era anche un luogo ideale dove ripararsi nelle giornate uggiose e stare al caldo mentre fuori faceva freddo. Ci si ritrovava nei caffè per chiacchierare, dibattere di politica, si cantava, si giocava e spesso si amoreggiava e si creavano spesso scambi commerciali di ogni genere.

Alcune caffetterie erano aperte giorno e notte, certamente la frequentazione era diversa. Di giorno erano prevalentemente frequentati da medici, avvocati, mercanti e intellettuali. Mentre dal pomeriggio fino a tutta la notte gli avventori erano nobiluomini e nobildonne, soldati, perdigiorno e tutti coloro che si davano alla bella vita. I caffè erano frequentati anche dalle spie e informatori degli Inquisitori dello Stato. Con il tempo però frequentare i Caffè divenne un’abitudine comune a persone di ogni classe sociale.

La Bottega del Caffè

Il capolavoro goldoniano, composto nel 1750, è una delle più celebri opere del periodo veneziano di Goldoni ed è nato sulla base di un precedente intermezzo in tre parti successivamente ampliato.

Infatti, Goldoni aveva riscosso un tale successo nel 1736 con l’intermezzo in tre parti da esser costretto ben quattordici anni dopo a tornare sul soggetto, ampliandolo in modo considerevole.

L’opera fu rappresentata per la prima volta al teatro di Mantova il 2 maggio del 1750, riscuotendo un successo tale da essere poi rappresentata a Venezia per ben dodici volte durante gli ultimi anni di carriera di Goldoni.

La Bottega del caffè è ambientata in un campiello veneziano su cui si affacciano una locanda e tre botteghe: quella del barbiere, della bisca e della caffetteria. L’azione scenica, nel pieno rispetto dell’unità aristotelica, si sviluppa in un solo giorno: dalla livida luce dell’alba al calar della notte durante il periodo del carnevale.

La trama ruota attorno alla Bottega del Caffè di Ridolfo, da cui l’opera trae il proprio nome. Ridolfo è un uomo saggio ed equilibrato che rappresenta la rettitudine ed il buon senso. Don Marzio è viceversa il suo diretto antagonista. Quest’ultimo è un indiscreto nobiluomo napoletano, nonché instancabile seminatore di zizzania. Ad animare la ricca scena dei personaggi interviene anche Eugenio, un ricco commerciante di stoffe, infedele donnaiolo senza tregua, al contrario della virtuosa moglie di nome Vittoria, donna casta e onesta. L’altro vizio di Eugenio consiste nel gioco e nella sua incredibile capacità di dissipare interamente il patrimonio tra donne e gioco alla bisca di Pandolfo, usuraio imbroglione.

L’approfondimento del personaggio: dalle maschere alla persona

Altro personaggio che frequenta la piazza è Flaminio Ardenti che, in veste di Conte Leandro, si mantiene con le vincite del gioco assieme alla ballerina Lisaura. La giovane crede che il Conte sia fedele e che sia disposto a sposarla, ma realizzerà ben presto di essersi illusa. La legittima moglie di Flaminio è in realtà Placida, alla ricerca disperata del coniuge dopo essere stata abbandonata a Torino anni addietro.

Le vicende dei personaggi si intrecciano sapientemente grazie all’abile regia di Goldoni che riesce in una sola opera a condensare moltissimi “tipi” umani, rappresentandoli sulla scena in carne ed ossa, ciascuno con le proprie emozioni e con una propria interiorità.

Con Goldoni si assiste infatti ad una vera e propria umanizzazione dei caratteri e ad un encomiabile approfondimento psicologico dei tipi umani, laddove la Commedia dell’arte, forma teatrale prevalente del XVII secolo, aveva completamente tipizzato e stereotipato ogni carattere che compariva in scena.

Ciò era stato possibile mediante l’uso di personaggi fissi, le “maschere” e grazie a un’improvvisazione da parte di un gruppo di attori molto competente che permetteva di seguire il filo della vicenda procedendo senza un vero e proprio copione.  

Grazie al lavoro teatrale effettuato da Carlo Goldoni, questo periodo dell’improvvisazione sigillato dalla Commedia dell’arte può dirsi concluso per lasciare spazio ad un approfondimento psicologico maggiore e ad un’introspezione teatrale che non lascia spazio agli stereotipi e alle maschere fisse. 

L’ascesa della borghesia: un’analisi sociale attraverso la scena

Il commediografo veneziano, ne La bottega del caffè come in molte altre sue opere, mette in evidenza gli aspetti positivi e negativi dell’ascesa della borghesia. Troviamo dunque personaggi come l’operoso padrone di bottega, emblema dell’intraprendenza e dell’efficienza della classe borghese, o l’usuraio pettegolo che sopravvive approfittandosi delle disgrazie altrui.

La commedia si svolge tutta interamente attorno alla bottega del caffè, luogo di ritrovo di avventori abituali o avventori di passaggio, collocato al centro della piazza per la sua visibilità da tutti gli edifici che la circondano.

La piazza diviene il simbolo di un microcosmo in cui si creano dinamiche di litigi da un lato, di grande umanità e comprensione dall’altro per tutti i personaggi.

La questione della lingua

Goldoni compone la commedia direttamente in toscano, affermatasi ormai sulla scena come lingua franca italiana, con la finalità di farsi comprendere dagli spettatori di tutta Italia. Il dialetto veneziano, infatti, sarebbe risultato estremamente circoscritto ad un pubblico locale, impedendo all’opera e alla fama del commediografo di imporsi nel panorama nazionale. La questione della lingua sembra avere ancora più rilievo in quanto la scena e l’azione sono comunque totalmente ambientate a Venezia, nonostante i personaggi non parlino mai in dialetto veneziano.

All’inizio della sua produzione teatrale però, i personaggi ricorrevano sia all’italiano che al dialetto veneziano. I personaggi, ben prima della sua “riforma teatrale” parlavano il dialetto veneziano subendo l’influenza delle maschere della commedia dell’arte. Fu il momento della pubblicazione dell’opera a permettere a Goldoni una trascrizione in italiano di molte espressioni dialettali con l’intento di diffondere le sue opere anche tra i lettori che non comprendevano il veneziano. Per questo motivo alcune opere hanno un sapore di artificiosità che, nel caso della Commedia in esame, è stata trascurata dall’autore.

Goldoni non si preoccupò di far parlare i propri personaggi in italiano all’interno di una città dove regnava il dialetto locale, poiché non teneva in considerazione la diversità qualitativa tra il veneziano e l’italiano. Secondo l’opinione del commediografo, il toscano aveva la sola differenza di essere l’idioma più diffuso ma non vi riconosceva alcuna superiorità linguistica.

L’arte della caffetteria e i cafetier

Con il finire del XVIII secolo, erano quasi in mille i maestri caffettieri, i garzoni e personale vario che si occupavano di apprendere l’arte della caffetteria.

I cafetier erano abili maestri e figure importanti, capaci non solo a preparare un buon caffè ma anche a tostarlo e a servirlo alla nobiltà con le dovute maniere. Era anche colui che “affittava” le stanze del suo caffè per la prostituzione o per il gioco d’azzardo. Il cafetier diveniva quindi una persona colta e raffinata per il continuo contatto soprattutto con poeti e scrittori, e seguiva con interesse e passione le dispute culturali.

Il cafetier divenne quindi una figura di riferimento soprattutto per la loro capacità di rapportarsi con la più variegata società veneziana, divenendo spesso figure molto note, tanto da denominare le caffetterie con il nome del proprietario, e quindi del cafetier.

Sara Rocchetti e Giulia Marianello per Questione Civile

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