Lo sfincione: alla scoperta della tradizione culinaria siciliana durante le festività natalizie
Prosegue il viaggio culinario alla scoperta delle eccellenze del territorio siciliano. Nell’articolo precedente è stata posta l’attenzione sulle arancine e sull’ormai antica, e consueta si potrebbe dire, diatriba persistente tra la Sicilia “palermitana” e la Sicilia “catanese” legata proprio al genere grammaticale del loro nome (per maggiori approfondimenti clicca qui).
Oggi, a poche settimane dal Natale, periodo tanto atteso per condividere momenti di convivialità tra parenti e amici, focus su un’altra pietanza; una pietanza che stuzzica i palati di un’intera Isola e, da tempi remoti, chiama a raccolta intere generazioni di panificatori.
Quando si parla di street food in Sicilia, non ci si può esimere dal far riferimento ad una pietanza che, da anni, rappresenta un must per la cucina tradizionale: lo sfincione palermitano. Erroneamente definito come una focaccia o variante della comunissima pizza, lo sfincione è il protagonista assoluto delle tavolate siciliane, soprattutto nel periodo natalizio.
Sfincione: né pizza né focaccia
Per anni, questo tipico piatto che, come detto precedentemente, riconduce apparentemente ad una pizza o ad una focaccia con mollica, riempie le tavole dei siciliani durante il periodo del Natale.
Questo gustosissimo alimento, ancora oggi, viene preparato secondo un’antica tradizione; secondo questa, le vecchie generazioni parentali, i nonni in primis, si recavano nei panifici e occupavano i forni dei paesi già nelle prime ore dell’alba per lavorare la pasta e preparare tutto il necessario per condirlo.
Le origini di uno dei re dello street food risalgono ai primi del ‘700, negli anni in cui le monache del convento di San Vito, stanziate a Palermo, grazie alla loro creatività in cucina, si sono sbizzarrite e hanno iniziato a lavorare la pasta creando quella che sarebbe destinata ad essere la pietanza per eccellenza dello street food siciliano.
Il nome “sfincione” deriva proprio dalla sua consistenza che, al palato, risulta morbida. Da un punto di vista linguistica, esso deriva dal latino “spongia” (spugna) o anche dal termine arabo “isfanǧ”. Quest’ultimo indica, per l’appunto, una frittella di pasta farcita con miele. Le sue radici, per via delle sue derivazioni orientali, affondano nel cuore del territorio siciliano.
Nel tempo lo sfincione, grazie anche al principe Giuseppe Branciforti di Butera, si è sviluppato anche a Bagheria dove ben presto spopolò tra i cittadini. Una prima versione del protagonista assoluto delle feste natalizie palermitane, richiede l’utilizzo di salsa di pomodoro, cipolla e mollica.
Lo sfincione nella rivisitazione bagherese
Nella rivisitazione attuale, alla salsa di pomodoro fu sostituito il primosale, o tuma, e successivamente vennero aggiunte anche le classiche acciughe di Aspra, frazione marinara di Bagheria (chiamata anche “città delle Ville”, in provincia di Palermo). Ed ecco che insieme allo sfincione palermitano, nelle tavole dei siciliani arrivò anche lo sfincione “bianco” bagherese. Tra i cittadini della città delle Ville è usanza rielaborare la versione bianca dello sfincione, aggiungendo al condimento anche la ricotta fresca.
In poco tempo, dunque, non cambiò solo il modo di condirlo che, inevitabilmente, fu poi conformato al gusto stesso dei consumatori, ma anche la concezione stessa che lo sfincione non rappresentasse solo un cibo da strada ma un vero e proprio piatto gourmet servito anche nei più rinomati ristoranti del palermitano e delle zone limitrofe.
Uno dei passaggi essenziali e fondamentali durante la preparazione dello sfincione, oltre la fase del condimento, è rappresentato dalla cosiddetta “infornata”, vale a dire il passaggio dello sfincione nel forno a legna per avviarlo alla cottura. Un momento in cui tutti i sapori e gli odori si concentrano e si espandono a macchia d’olio lungo le strade del paese.
Il protagonista delle vendite ambulanti
In materia di street food, esso viene servito già pronto dai commercianti ambulanti, che viaggiano con i loro veicoli a tre ruote per le strade del capoluogo siciliano. Vendono così lo sfincione ai passanti che desiderano gustarlo; per rendere più enfatico il momento, i venditori ironizzano gridando “scaisi r’uogghiu e chinu i privulazzu” che tradotto letteralmente in italiano significa “scarso d’olio e pieno di polvere”.
Chiaramente si tratta di un modo di dire finalizzato a sottolineare la bontà della pietanza. Pietanza che raccoglie tutti i profumi e i sapori del tipico cibo da strada. Così come i pezzi di rosticceria siciliana, anche lo sfincione lo si può degustare anche nella sua versione “mignon”: il cosiddetto “sfincionello”.
Oggi, il cosiddetto antenato dello street food palermitano, come si è soliti definirlo da molti cittadini legati alla tradizione gastronomica, nonostante sia possibile trovarlo ogni giorno nei panifici del capoluogo siciliano e delle relative province (tra i banconi o su ordinazione), rappresenta ancora il padrone incontrastato di ogni vigilia. Esso, difatti, inaugura l’Immacolata, festività che ricorre l’8 Dicembre. Viene poi riproposto la vigilia di Natale, il 24 Dicembre e il 31 Dicembre.
Che lo si consumi per strada, magari durante una piacevole passeggiata per le vie del palermitano, o seduti comodamente a tavola, lo sfincione, nonostante le numerose pietanze preparate nei periodi natalizi, resta l’evergreen che riunisce famiglie intere.
Inoltre, esso incarna non solo quelli che sono i prodotti “poveri” della Sicilia che gli conferiscono un gusto inimitabile a cui difficilmente si può resistere, quali mollica rigorosamente condita con cipolla e noci, primosale, olio d’oliva, acciughe, ma anche l’essenza dell’arte della panificazione e della lavorazione a mano, tramandata di generazione in generazione.
Francesco Tusa per Questione Civile
Riferimenti sitografici
- www.palermoguide.it
- www.inchiestasicilia.com
- www.siciliafan.it