L’epidemia di peste che contribuì al collasso di un impero
Uno dei passi più celebri dello storico di V secolo Tucidide riguarda la cosiddetta “peste di Atene”, che imperversò nella polis greca durante i primi anni di quel conflitto che è il nucleo centrale della narrazione tucididea: la guerra del Peloponneso.
La guerra del Peloponneso
La tremenda epidemia ebbe luogo durante un conflitto che vedeva contrapposte le due maggiori potenze dell’epoca, Sparta e Atene. Non è questa la sede per elencare le cause, profonde e contingenti, dello scoppio di questa guerra: basti dire che l’aggressività dell’imperialismo di Atene e la sua determinazione ad imporre a qualsiasi costo il suo regime politico avevano prodotto una notevole tensione, che sarebbe potuta sfociare solo in una guerra generalizzata. Gli Spartani, per parte loro, invidiosi della posizione di preminenza ateniesi, non fecero nulla per evitare di venire alle armi. A parte un anno di tregua, tra il 421 e il 420, la guerra sarebbe durata ventisette anni, dal 431 al 404. Essa si concluse con la vittoria spartana.
Il conflitto aveva avuto inizio con l’invasione dell’Attica da parte degli Spartani, che costrinse gli abitanti della regione a rifugiarsi nella città di Atene, sotto la guida di Pericle, mentre i Lacedemoni distruggevano ciò che potevano nelle campagne.
L’inizio della peste
Le invasioni degli Spartani divennero una ricorrenza annuale, controbilanciate da azioni offensive della flotta ateniese. Il riversarsi di molte persone ad Atene, città già ben popolata, provocò la mancanza di cibo e di rifornimenti. Questo e la scarsa igiene resero la polis un terreno fertile per le malattie e in particolare per la terribile epidemia di peste, che esplose all’inizio dell’estate del secondo anno di guerra (429 a.C.). Questa epidemia, sorta in Etiopia e in Egitto e poi diffusasi anche in Grecia, dapprima colpì la zona del Pireo e quasi immediatamente si propagò alla città alta. Essa durò, con varia intensità, fino al 427 a.C., e si calcola che ridusse addirittura di un terzo la popolazione di Atene. Tra le sue vittime eccellenti ci fu lo stesso Pericle.
Eziologia della peste
Si è cercato a lungo di identificare la malattia nota come “peste di Atene”. È stata tradizionalmente considerata un focolaio di peste bubbonica, ma riconsiderazioni dei sintomi riferiti e dell’epidemiologia hanno portato gli studiosi ad avanzare ipotesi alternative. Queste comprendono tifo, vaiolo, morbillo e sindrome da shock tossico. Altri hanno suggerito trattarsi di antrace diffuso dalle molte mandrie di bestiame concentrate all’interno delle mura cittadine. Sulla base delle somiglianze descrittive con i recenti focolai in Africa, e visto che la peste ateniese era apparentemente venuta dall’Africa (come pensava Tucidide), si ipotizza potesse trattarsi di ebola o febbre emorragica.
Nel 2005, il miglioramento delle tecnologie scientifiche ha permesso di instaurare una correlazione tra il DNA estratto dalla polpa dentale di tre denti recuperati dal cimitero del Ceramico ad Atene scoprendo batteri patogeni di febbre tifoidea. I sintomi generalmente associati a questo tipo di febbre assomigliano a quelli descritti da Tucidide. Essi comprendono: febbre elevata che sale velocemente, brividi, astenia, diarrea, mal di testa, dolore addominale, in alcuni casi, eruzioni cutanee.
Alcuni aspetti della febbre tifoide sono in chiaro contrasto con la descrizione di Tucidide. Gli animali necrofori non muoiono da infezione di tifo, l’insorgenza di febbre tifoide è in genere lenta e sottile, e il tifo generalmente uccide più tardi nel corso della malattia. Alcuni ricercatori hanno contestato i risultati, citando gravi difetti metodologici nello studio del DNA derivato dalla polpa dentale.
La peste narrata da Tucidide
Lo stesso Tucidide fu colto da questo morbo, ma riuscì a sopravvivere, e questa esperienza gli consentì di descrivere con precisione la malattia. All’interno di un’opera storica la minuta descrizione di tale epidemia può sembrare una digressione superflua, ma le ragioni dell’insistenza di Tucidide sull’argomento sono coerenti con le finalità dell’opera stessa, che vuole fornire insegnamenti precisi al lettore per “riconoscere” la malattia, caso mai si ripresentasse.
Grazie all’arte medica, che fioriva proprio allora grazie ad Ippocrate, lo storico poté avvalersi di un lessico estremamente esatto, preciso, realistico, distaccato fino alla freddezza, senza tuttavia rinunciare a cogliere le implicazioni morali che quel male portava con sé. Fortemente drammatiche, nella loro asciuttezza, le brevi notazioni iniziali sull’incapacità dei medici, e degli dèi, nel trovare un rimedio al male e alla sua inarrestabile diffusione, dinanzi a cui la gente abbandonò ogni difesa, attendendo solo, impotente, di morire.
Le splendide parole pronunciate da Pericle appena pochi mesi prima sulla solare civiltà di Atene, sul suo perfetto modo di nutrire lo spirito col bello, stridono fortemente con il senso di schiacciante inanità, di angoscia, di sofferenza che il male provocava in tutti, sia in chi ne era colpito, sia in chi ancora non lo era e attendeva di esserlo: un male che, proprio per la sua inattaccabilità da parte dell’uomo, sfaldò rapidamente ogni norma morale e giuridica.
La peste in Lucrezio
Tito Lucrezio Caro, poeta e filosofo romano del I sec. a.C., conclude il suo De rerum natura rappresentando uno scenario di morte, quello della peste di Atene. È un passo carico di immagini raccapriccianti e strazianti, che ha l’obiettivo di abituare e preparare il lettore – discepolo agli eventi più spaventosi e dolorosi che possano accadere all’uomo, affinché, quando si troverà di fronte alla propria morte, sia in grado di affrontarla con la serenità che deve avere il saggio epicureo.
Conclusione
L’andamento e le caratteristiche di un’epidemia sono un argomento di stretta attualità. La peste di Atene ci dimostra come, nonostante cambino i tempi, situazioni del genere portino scompiglio nella società, intaccando tutti gli ambiti. Vi invito caldamente a leggere il passo di Tucidide (2, 47-53): la descrizione tucididea della peste di Atene, origini, sintomatologia e patologia, sia a livello somatico sia sul corpo sociale, diventò uno schema descrittivo canonico per ogni successiva epidemia.
Marco Alviani per Questione Civile
Bibliografia:
- CANFORA, L. Canfora, Il mondo di Atene. Bari, 2011
- CASERTANO, NUZZO, M. Casertano e G. Nuzzo, Storia e testi della letteratura greca 2. Perugia, 2011.
- DEGL’INNOCENTI, E. DEGL’INNOCENTI, Lo sguardo di Giano. Milano, 2014.
- MUSTI, D. Musti, Storia Greca. Linee di sviluppo dall’età micenea all’età romana. Bari, 2006
- L’antica Grecia, collana “La Storia” del Corriere della Sera. Novara, 2012