Cinema neorealista negli anni 40-50, rappresentazione cinematografica e problemi quotidiani di un paese distrutto dalla guerra
“Il secolo breve 1914-1991” di Eric J. Hobsbawm è un’opera monumentale, che offre un grandangolo sulla storia del secolo scorso. Ma quando si vogliono raccontare eventi più specifici, questo tipo di opera non è sufficiente. Osservare la scena con un grandangolo offre uno scorcio immenso, ma impedisce di mettere a fuoco i dettagli. In quali condizioni versava l’Italia del dopoguerra? Cosa voleva dire vivere nel paese raccontato dal neorealismo? Com’è facile immaginare, la vita era difficile. Molti appassionati di storia pensano che la guerra abbia un inizio ed una fine coincidenti con la durata delle ostilità. Come se, battuto il nemico e celebrato il trionfo, tutto finisca. Ma gli effetti della guerra non finiscono magicamente al momento dell’armistizio, e per la gente comune le difficoltà, le privazioni e le sofferenze durano ancora anni. Questo fu il Paese che il cinema neorealista cercò di documentare.
L’Italia del cinema neorealista: La violenza
La violenza continuò anche dopo la fine della guerra: cecchini fascisti che non si vollero arrendere alla sconfitta (e che quindi si lanciavano in vere e proprie missioni suicide), ed i partigiani (o presunti tali) che approfittarono della confusione di quei giorni per andare a caccia di fascisti o per regolare vecchi conti in sospeso. Il risentimento covato durante la dittatura, diffusosi ancor di più con la guerra, portò ad esecuzioni sommarie, taglio di capelli per le donne che avevano collaborato con i nazi-fascisti, ma anche a semplici furti, condotti da persone che con la Resistenza non avevano avuto niente a che fare.
Oppure altri tristi episodi, come lo scempio ai corpi di Mussolini e di Claretta Petacci. Quel momento di barbarie non fu una scelleratezza commessa da pochi partigiani, ma uno sfogo collettivo contro l’uomo che aveva causato tutti i mali che la gente in quel momento soffriva.
Le condizioni economiche e il furore del paese
A noi, così distanti nel tempo, leggere di esecuzioni sommarie, di donne umiliate e di cadaveri appesi in piazza suscita, giustamente, ribrezzo. È normale, ma questo non deve farci dimenticare il contesto. Chi visse in quegli anni passò degli orrori che non possiamo davvero comprendere fino in fondo. Possiamo scrivere del mercato nero, del cibo che manca, ma chi mi legge non sa cosa sia la fame.
Possiamo enumerare morti e feriti, ma per il lettore saranno solo nomi e numeri: per chi visse quegli anni, quei nomi erano figli, fratelli, sorelle, padri, madri. Come si può, con un pugno di parole, sperare di trasmettere tanto dolore? Le persone che assieparono Piazzale Loreto non erano un insieme di mostri, ma una folla ferita ed arrabbiata. Come quella signora che giunta in piazza sparò cinque colpi al Duce, tanti quanti i suoi figli, morti in un bombardamento.
Impossibile riassumere in così poco spazio il dramma di quegli anni, quindi riporteremo solo alcuni esempi: le comunicazioni erano rese difficili dai danni causati dalla guerra: gli impianti radiofonici, telegrafici e telefonici gestiti dallo stato contavano circa 919 milioni di lire di danni, senza contare l’inflazione. Per viaggiare in treno da Firenze a Roma si impiegava, secondo alcune testimonianze, 17 ore.
Ma a preoccupare maggiormente la gente erano il cibo ed il freddo: in queste condizioni nelle città si soffriva la fame, i razionamenti erano miseri e bisognava rivolgersi al mercato nero. Furono moltissimi i casi di donne, giovani e giovanissime, che si prostituirono, “alcune persino con i neri” per poter andare avanti. In questo stato di cose, non è difficile capire perché i film neorealisti non ebbero molto successo in Italia, mentre i film di Hollywood sì: grazie al cinema, almeno per un momento, si voleva solamente sognare.
Il Cinema neorealista
Il neorealismo è una corrente cinematografica di origine italiana che fa i suoi primi passi nel pieno del secondo conflitto mondiale, ma la cui affermazione si manifesta nell’immediato dopoguerra.
C’è da aggiungere che il termine “neorealismo” proviene dall’ambito della letteratura degli anni Venti del Novecento. Attraverso romanzi come Gli Indifferenti (1929) di Alberto Moravia e Gente in Aspromonte (1930) di Corrado Alvaro, emerge una tipologia di scrittura strettamente connessa all’esperienza del reale, con elementi psicoanalitici e un linguaggio semplice e comune.
Tornando al mondo della Settima Arte, c’è da dire che il Cinema neorealista ha vita piuttosto breve. Il film considerato l’iniziatore di questo filone cinematografico è Ossessione (1943) di Luchino Visconti. Ma il momento di massimo splendore si realizza tra il 1945 con Roma città aperta di Roberto Rossellini e il 1948, con i film Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Infine, la pellicola a porre la chiusura di questa corrente è Umberto D. (1952), sempre di De Sica.
Il Cinema della ripartenza
La guerra è finita. L’Italia non è più occupata dai tedeschi. Tuttavia, il pensiero che tutto torni subito alla normalità è qualcosa di utopico. Il conflitto, anche se terminato, ha lasciato dietro di sé devastazione e povertà, rallentando la ripresa del Paese.
Anche l’ambito cinematografico è colpito pesantemente. La guerra ha messo fuori uso molti studi cinematografici, come Cinecittà. Lo studio cinematografico di Roma è inagibile in quanto adibito dagli americani come campo profughi.
Nonostante le difficoltà della situazione, il Cinema italiano non si fa scoraggiare. I lavoratori del settore sembrano spinti da una forza di volontà tale da superare qualsiasi avversità.
Privati di qualsiasi tipo di complesso cinematografico, i registi decidono di girare le loro opere per le strade, dando vita a dei veri e propri set improvvisati.
La troupe utilizza pellicole di fortuna e sceglie le persone comuni come soggetti dei loro film.
È un’Italia ferita e devastata dalla guerra ad essere scelta come sfondo delle vicende dei personaggi. Il neorealismo non vuole nascondere nulla, utilizzando la macchina da presa come strumento di testimonianza della situazione economica e sociale che sta vivendo il Paese.
Tematiche e caratteristiche
Le pellicole neorealiste narrano di avvenimenti reali e recenti, come nel caso del film Roma città aperta. Le vicende di questa pellicola di genere drammatico si svolgono nel pieno del secondo conflitto mondiale. L’opera si focalizza in particolare sugli scontri armati tra i tedeschi, che occupavano l’Italia, e la resistenza partigiana.
Un altro elemento che caratterizza il filone neorealista è il fatto che ad interpretare alcuni personaggi sono attori non professionisti, come nel caso di Ladri di Biciclette. Il regista De Sica per il ruolo del figlio del protagonista sceglie un bambino senza esperienza che aveva visto camminare per le strade di Roma.
In Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis e ne La terra Trema di Visconti (1948) le tematiche più frequenti sono quelle di natura sociale. I protagonisti sono di umili origini, persone appartenenti al mondo operaio e contadino che vivono anche delle situazioni melodrammatiche.
È ben chiaro che queste pellicole non mirino tanto al puro intrattenimento e all’evasione dalla realtà, quanto più alla riflessione da parte dello spettatore. Sono film impegnativi, duri e privi spesso di lieto fine.
Insomma, si tratta di un tipo di Cinema coraggioso, che si rialza e riprende i suoi passi, nonostante gli sia stato tolto tutto. Un Cinema che si pone come obiettivo il restituire visibilità a un popolo povero ma ancora pieno di vita.
Fabio Streparola e Camilla Miolato per Questione Civile
Bibliografia:
- Eric Hobsbawm, “Il secolo breve 1914-1991”, 2019, Rizzoli;
- Gianni Oliva, “La resa dei conti”, 1999, Arnoldo Mondadori Editore;
- Mario Avagliano e Marco Palmieri, “Dopo guerra – Gli italiani fra speranze e disillusioni (1945-1947)”, 2019, il Mulino;
- A cura di Gianfranco Petrillo, “Le poste in Italia – Dalla ricostruzione al boom economico 1945-1970”, 2009, Laterza;
- Gian Piero Brunetta, “Guida alla storia del cinema italiano-1905-2003”; 2012, UTET Università;
- Paolo Bertetto, “Introduzione alla storia del cinema”; 2003, Einaudi.