Teoria della compassione: dalla condivisione al benessere soggettivo
La teoria della compassione si colloca tra le più recenti psicoterapie di terza generazione. Negli ultimi anni le classiche psicoterapie hanno in parte lasciato le redini alle cosiddette “psicoterapie di terza ondata” o appunto di “terza generazione”.
Queste teorie nascono principalmente dall’approccio cognitivo-comportamentale, quella che è ad oggi considerata tra le migliori psicoterapie evidence-based (ovvero che hanno dato ampie prove di efficacia). Tuttavia, queste nuove psicoterapie attingono anche da altre teorie. Un passo fondamentale nello loro sviluppo è stato la coniazione negli anni ’70 della psicologia positiva a partire dagli studi di Seligman e Csikszentmihalyi. In particolare, quest’ultimo ha coniato il concetto di “flow” o esperienza ottimale.
Sarebbe più corretto definire il flow come uno stato, in cui ci si sente profondamente immersi in un’attività che amiamo tanto da non renderci conto del passare del tempo. È inoltre fonte di emozioni ed esperienze molto positive, che fanno bene a chi lo sperimenta.
Le psicoterapie cognitive di terza generazione sono anche definite mindfulness-based in quanto la maggior parte di esse, attinge da queste tecniche.
Il contributo della meditazione orientale
Il ruolo centrale nella mindfulness in queste psicoterapie affonda a sua volta le radici nelle tecniche di meditazione e rilassamento tipiche della cultura orientale. Lo stesso yoga o il tai chi sono frequentemente citati negli articoli scientifici di psicologia come trattamenti alternativi, ma comunque efficaci, per alcune patologie sia fisiche che psicologiche. Tradurre il concetto e la definizione stessa di mindfulness può indurre in errore. In genere si svolge una distinzione tra “mind-full” e “mindfulness”.
Un individuo mind-full ha la mente piena, non riesce a guardare oltre quei pensieri e quei problemi che lo tormentano, si fa trasportare da essi. Un individuo mindfulness ha invece la capacità di staccarsi da questi pensieri, accettare che esistano ma anche lasciarli andare quando necessario. È in grado di vivere il presente.
La mindfulness si differenzia dalle tecniche orientali, ma si lega al flow, proprio perché non ha lo scopo di indurre uno stato di rilassamento, ma di renderci consapevoli del momento e delle nostre esperienze presenti. In breve, di farci vivere il momento. Ciò induce a sua volta uno stato di benessere: lasciare andare le cose che non possiamo controllare ci libera da esse.
La nascita della teoria della compassione
Dall’unione di tutte queste teorie, sono nati vari approcci sotto il nome di terapie cognitive di terza ondata. Esistono teorie maggiormente concentrate sull’accettazione delle esperienze e dei pensieri negativi, ed altre maggiormente concentrate alla comprensione dei loro processi. Tra queste, la teoria della compassione è nata nei primi anni 2000 ad opera di Paul Gilbert.
La definizione di compassione parte, ancora una volta, dalla tradizione orientale e in particolare buddhista che la definisce come la capacità di riconoscere la propria e altrui sofferenza, ma anche di alleviarla.
Gilbert inizia a strutturare questa teoria a partire dall’esperienza con i suoi pazienti, prevalentemente affetti da depressione. Egli aveva notato come i pazienti più resistenti alle classiche tecniche psicoterapeutiche erano accomunati da stati di vergogna, sensi di colpa e soprattutto un forte senso di autocritica. Proprio questo senso di autocritica costituiva la base della loro forte sofferenza.
Attraverso i suoi studi, Gilbert scoprì che queste difficoltà avevano varie componenti: da quelle più legate ai sistemi neurofisiologici a quelle evoluzionistiche. In particolare, riscontrò che i pazienti che presentavano queste caratteristiche avevano subito abusi o erano stati esposti a situazioni di disprezzo e vergogna in età infantile. Esperienze che si erano fossilizzate nella loro personalità.
Dall’attaccamento alla compassione
In questo senso, anche la teoria dell’attaccamento costituisce un altro pilastro della teoria della compassione come sviluppata da Gilbert. In breve, la teoria dell’attaccamento si è occupata di studiare le dinamiche ed i rapporti tipici del periodo dell’infanzia e dello sviluppo che portano il soggetto a costruire la sua personalità e ad imparare gli schemi comportamentali che metterà in atto nel corso della sua vita.
Secondo Gilbert, durante questo periodo si stabilizzano tre sistemi di regolazione delle emozioni: il safety system (o sistema di protezione dalla minaccia) che si occupa di identificare i potenziali rischi e pericoli a cui andiamo incontro e che dovremmo cercare di fronteggiare adeguatamente.
Se iperattivato, questo sistema genera sentimenti negativi come l’ansia o la rabbia; il drive and excitement system (o sistema di ricerca di stimoli e risorse) invece è il sistema che ci garantisce delle ricompense. È responsabile di emozione positive e della soddisfazione che proviamo dopo l’esecuzione di un compito. Infine, il soothing system (o sistema calmante) è il sistema maggiormente legato all’attaccamento. È sempre legato ad emozioni positive e all’ottenimento di ricompense, che dipendono però dalle relazioni piuttosto che da un compito. Si tratta inoltre di emozioni localizzate nel presente piuttosto che nel futuro, come nel sistema precedente. Inoltre, rispetto al safety system che regola anche i comportamenti di attacco-fuga, il soothing system è responsabile della percezione di sicurezza.
Verso una nuova definizione di compassione
Secondo Gilbert, il malessere psicologico si genererebbe da uno squilibrio di questi sistemi.
In particolare, i pazienti con un’alta autocritica da lui identificati avrebbero appreso durante la loro infanzia dei pattern di comportamento molto severi, freddi e distaccati che, attraverso l’autocritica, minacciano il safety system. Al contrario, il sistema calmante sarebbe più debole in questi soggetti.
Studi successivi hanno confermato le intuizioni di Gilbert, sostenendo che l’autocritica aumenta il rischio di provare emozioni negative, di depressione e che inoltre riduce la qualità di vita. Al contrario, studi fisiologici hanno confermato come i sistemi di attaccamento e accudimento siano connessi a stati di calma e di rilassamento.
Gli strumenti della teoria della compassione
Dunque, la teoria della compassione si basa sul potenziamento del sistema calmante. È interessante notare come questo sistema sia molto legato ad aspetti propri dell’attaccamento come la vicinanza, l’affetto e l’accudimento che producono stati di benessere e rilassamento. In questo senso, la definizione di compassione si allarga al desiderio di calmare il dolore percepito e il sentirsi oggetto di cure e attenzioni.
La teoria della compassione usa diverse tecniche a questo scopo. Prime fra tutti le precedentemente citate terapie basate sulla mindfulness, tecniche di rilassamento ma anche tecniche di scrittura. Inoltre, si cerca di potenziare delle strategie per gestire al meglio il senso di autocritica. Il bisogno di accudimento può a volte anche essere soddisfatto attraverso il ricorso alla pet therapy e appunto con il contatto con animali. Lo scopo finale è quello di allenare il cosiddetto Sé compassionevole.
Chiara Manna per Questione Civile