Le sfinci nella tradizione gastronomica
Continua il viaggio virtuale alla scoperta delle eccellenze culinarie che caratterizzano il territorio siciliano. Protagonista dell’articolo precedente, il “principe” delle pasticcerie dell’Isola: il cannolo (per maggiori approfondimenti clicca qui). L’attenzione, adesso, è posta sulle sfinci dolci tipici legati ad una festività ricorrente il 19 marzo e celebrata in tutta Italia, soprattutto in Sicilia: San Giuseppe.
L’etimologia e la preparazione delle sfinci
Da un punto di vista etimologico, il nome “sfincia” (o “sfinge”) deriva dal latino “songia” e dal greco “sfoggia”, ovvero spugna. C’è comunque una forte vicinanza alla tradizione orientale, nello specifico araba: legame non del tutto casuale, né nuovo. Il lungo periodo della dominazione araba in Sicilia, dal periodo che intercorre tra l’827 e il 1901, ha infatti favorito la diffusione di ricette e, in buona parte, tradizioni, che ancora oggi sono tramandate di generazione in generazione. Ciò che rende la Sicilia una delle tante terre secolari è proprio la commistione di sapori; ricette derivanti, a loro volta, dall’incontro tra il sacro e il profano. È così che cultura occidentale e orientale si incastrano alla perfezione raccontando anni di storia.
Il dolce, rigorosamente fritto nell’olio e, successivamente, farcito con crema di ricotta, ha subìto delle trasformazioni per mano di pasticceri e suore che dimoravano nei monasteri: dalla loro antica arte dolciaria l’apparente frittella è stata dedicata al Santo protettore degli umili. Per questo motivo, nel palermitano, tali prelibatezze sono dialettalmente chiamate “sfingi ri San Giuseppe” (sfinci di San Giuseppe). Si presentano in una forma irregolare e, una volta fritte, vengono addolcite con miele o zucchero e finite con la classica frutta candita (arancia o ciliegia).
Ancora oggi, per mantenere viva la tradizione, i nostri contadini e le nostre nonne continuano a farle con la medesima semplice ricetta, utilizzando ingredienti poveri ma genuini e sfiziosi per il palato. “Sfincia”, “sfincitedda” e “sfinciuni” designano a loro volta prodotti diversi; appartenenti ora al salato, ora a quella dolce che designa ugualmente la stessa famiglia delle sfinci.
Le sfinci nella storia
Secondo le testimonianze antiche a noi pervenute, quello delle sfinci è un momento culinario di condivisione strettamente legato alla festa del papà o festa di San Giuseppe, celebrata il 19 marzo. Il consumo delle sfinci viene però anticipato da un evento di forte devozione al santo. In occasione della vigilia, a tal proposito, nei quartieri dei paesi isolani vengono accese le tipiche vampe di San Giuseppe, alla presenza di molti fedeli che accorrono in massa per assistervi. Il giorno seguente, oltre alla celebrazione della messa solenne, viene benedetto il pane e distribuito ai fedeli per poi nel pomeriggio portare il simulacro del santo Patrono lungo le vie cittadine. Evento che, religiosamente parlando, ha molte attinenze con la celebrazione di Santa Lucia.
Durante i giorni che precedono la festa votiva, Bagheria (Baarìa), uno dei paesi del capoluogo di provincia, si prepara a celebrare il Patriarca protettore di tutta la città e i diversi pasticceri della zona si sbizzarriscono proprio con la preparazione delle sfinci. Ancora una volta l’aspetto liturgico e religioso cammina di pari passo con quello culinario; le tavole dei siciliani si riempiono così di profumi, colori e sapori tipici della tradizione. A far da padrone l’immancabile sfincia che riempie vassoi e soddisfa i palati dei commensali.
19 marzo, San Giuseppe: la festa e le origini
La contaminazione di culture e religioni diverse ha, in qualche modo, avuto effetti anche sulle festività pagane che, gradualmente, sono state sostituite da quelle cristiane. Una di queste è proprio festa di San Giuseppe la quale, curiosamente, affonda le radici nel culto della dea Demetra (dea delle messi e dei raccolti, figlia di Crono e Rea. Nella mitologia romana corrisponde alla dea Cerere).Secondo il mito greco, Persefone, figlia di Zeus e Demetra, dopo essere stata rapita da Ade sulle sponde del lago di Pergusa (in provincia di Enna), è stata costretta a sposare il dio degli inferi, perdutamente innamorato di lei, in assenza della madre. Demetra, allora, infuriata, scagliò una carestia sulla Sicilia dando una lezione sia agli uomini che agli dèi. Non appena Zeus ordinò il ritorno della figlia sulla Terra, tutto sembrò risolversi nel migliore dei modi e la popolazione banchettò imbastendo grandi tavolate.
Ogni anno tutti i bambini festeggiano il loro papà tramite disegni, lavori scolastici realizzati a mano e regali di ogni genere: un momento di affetto e amore nei confronti della figura paterna per dimostrargli tutte le attenzioni che solo un figlio può dare. Dal punto di vista religioso la festività è strettamente connessa al rapporto tra il bambino Gesù con Giuseppe, suo padre putativo. Quest’ultimo, secondo la tradizione biblica, era un umile falegname che si contraddistingueva per il senso di giustizia e amore non solo verso Dio, ma anche verso il prossimo. Dedito a tutto tondo alla famiglia e al lavoro, Giuseppe era considerato anche il Santo dei poveri, degli ultimi e dei diseredati.
Le origini della festa di San Giuseppe
La sua commemorazione, sentita in tutta Italia, soprattutto in Sicilia, nel palermitano, ricorre il 19 marzo e coincide con l’equinozio di Primavera: secondo le scritture il momento coincide con la trasposizione e la purificazione della festività del Capodanno pagano e del culto di Liber Pater-Dioniso, corrispondente per l’appunto al 17-19 marzo. Questo fenomeno legato, ancora, al mito di Persefone secondo il quale Ade, una volta rapita la bella fanciulla, la costrinse a mangiare semi di melograno negli inferi cosicché ne avesse fatto ritorno per sempre. Secondo la leggenda, dunque, Persefone ogni sei mesi tornava nell’aldilà facendo sfiorire tutto, segno di un cambio di stagione. In quell’occasione si banchettava, consumando pane preparato con farina, olio, uova e formaggio, noto come “Liba”. Inoltre, in segno di riconoscenza e umiltà si offrivano ai passanti focacce fatte di farina, olio e miele.
La “tavolata” siciliana
In Sicilia, sempre nella sfera gastronomica, si imbandisce la cosiddetta “tavolata”. Si tratta di un altare in cui vengono adagiate le tovaglie più pregiate, sulle quali sono disposti limoni e arance (simbolo della purezza del lavoro agricolo) e altre pietanze in abbondanza, come il pane di San Giuseppe. Il banchetto viene condiviso con le famiglie meno agiate, anche se un po’ tutti sono chiamati a partecipare come simbolo di unione nel segno della fraternità.
Come tradizione siciliana impone, allo stesso modo di Santa Lucia, anche in occasione del santo Patrono ci si arricchisce il cuore con preziose filastrocche che raccolgono anni di storia antica e devozione. Tutta la tradizione dei versi si sviluppa proprio dalla spiritualità e dalla ritualità tramandata, nel corso dei secoli, da generazione a generazione. Quella di seguito proposta è una forma popolare di preghiera siciliana affinché il Santo possa intercedere nei momenti di difficoltà. Le parole sono dense di quell’affetto che solo un figlio nei confronti del padre può manifestare e, di rimando, il padre contraccambia con generosità e senso di responsabilità.
Tradizione religiosa in versi
San Giusippuzzu u vicchiareddu
‘ntesta purtava lu santu cappeddu
‘nta li manuzzi lu santu vastuni
Era lu patri di nostru Signuri
Quannu purtasti a Maria ‘n Egittu
Dasti bisognu e necessità
San Giuseppi n’aiutirà
E cu la vostra granni potenza
Datini aiutu e provvidenza.
San Giuseppe il vecchietto
in testa portavi il santo cappello
tra le mani il santo bastone
Eri il padre di nostro Signore
Quando hai portato Maria in Egitto
Hai dato aiuto nel bisogno e nella necessità
San Giuseppe aiutaci (anche in quei momenti)
E con la tua grande potenza
Dà a noi aiuto e provvidenza.
Francesco Tusa per Questione Civile
Riferimenti sitografici
- www.siciliaweekend.info
- www.italyra.com
- www.inuovivespri.it
- www.siciliafan.it