I gatti adorati come Dei
Come molti popoli che abitano sul nostro pianeta, anche gli antichi Egizi veneravano un animale in particolare tra tutti: il gatto. Questo piccolo felino, misterioso e intelligente, elegante e curioso, era per loro molto di più di un semplice animale, poiché lo consideravano sacro e come tale era venerato. Dipinti, statue, amuleti, gioielli e oggetti di uso quotidiano lo ritraggono mentre dorme, caccia o semplicemente osserva dinanzi a sé.
Ancora oggi il gatto è considerato in un certo qual modo divino proprio per il suo atteggiamento fiero e indipendente, che mostra senza scrupoli a chiunque incroci la sua strada.
La domesticazione del gatto nell’ antico Egitto
Secondo recenti analisi del DNA, sembra che i primi felini ad essere stati addomesticati siano stati i gatti selvatici africani (Felis silvestris lybica), la specie più diffusa nell’Antico Egitto insieme ai gatti della giungla (Felis chaus). La domesticazione del gatto derivò probabilmente dall’esigenza di avere un predatore domestico in grado di cacciare i topi, i serpenti e i parassiti che affollavano i granai egizi. A testimonianza di ciò, si conservano numerosi dipinti raffiguranti questi felini in piccoli atti eroici, come l’uccisione dei serpenti che si avvicinavano alle case. Dunque, avere un gatto era una gran fortuna, anche se nero!
Fu solo tra il XVI e l’XI secolo a.C. che i gatti iniziarono ad assumere un ruolo sempre meno legato alla caccia, poiché vennero preferiti come animali da compagnia: la grande sposa regale Tye, moglie di Amenhotep III, per esempio, si fece raffigurare insieme alla figlia, ad un’oca domestica e ad una gatta.
Gli onori riservati ai gatti
Il legame tra un uomo e il suo gatto sarebbe durato per l’eternità, poiché anche a lui era riservata la pratica della mummificazione. Nel sito di Saqqara, vicino al Cairo, sono state rinvenute infatti numerose mummie e statue di gatti.
La morte di un gatto, in ogni caso e in qualunque modo avvenisse, non era presa molto bene dagli antichi Egizi. Interessante a tal proposito questo passo tratto dalle Storie di Erodoto:
«Quando poi scoppia un incendio, i gatti sono presi da fenomeni strani. Gli Egiziani, infatti, disponendosi a regolare distanza, fanno loro la guardia, trascurando perfino di spegnere il fuoco; ma i gatti sgusciando tra uomo e uomo, o, magari, saltandoli via, si gettano nel fuoco. Quando ciò avviene è grande il dispiacere che prende gli Egiziani. Se in una casa un gatto viene a morire di morte naturale, tutti quelli che vi abitano si radono le sopracciglia. I gatti vengono poi portati nella città di Bubasti in locali sacri e ivi vengono sepolti, dopo essere stati imbalsamati.»
Diodoro Siculo, invece, racconta un particolare episodio: un uomo fu sorpreso a uccidere un gatto, scatenando l’ira della folla che lo catturò e lo uccise senza alcun processo e contestando il volere del faraone, che avrebbe voluto, invece, grazie l’assassino.
Divinità “feline”
Tra le divinità rappresentate con aspetto zoomorfo, tre in particolare acquisirono tratti felini:
- Mafdet, dea della giustizia. Sovrintendeva la giustizia legale e la pena di morte. Aveva il compito di proteggere i luoghi sacri dai morsi e dalle punture di animali velenosi come serpenti e scorpioni. Classicamente è raffigurata con il corpo di una donna e la testa di una leonessa, ma non mancano dipinti in cui è mostrata con la testa di una gatta;
- Sekhmet, dea della guerra, delle epidemie e delle guarigioni. È rappresentata con la testa di una leonessa, ma nel corso della storia è stata spesso considerata l’alter ego cattivo di Bastet;
- Bastet, dea della casa, delle donne, della fertilità e delle nascite (anche se in principio era venerata nel Basso Egitto come dea della guerra). Inizialmente anche lei sfoggiava la testa di una leonessa, ma successivamente, probabilmente a causa dell’importanza sempre maggiore assunta dal gatto presso la civiltà egizia, la dea Bastet ha cominciato ad assumere le sembianze di un gatto. Venne associata alla casa e alla maternità poiché i gatti domestici tendono ad avere un comportamento mite e protettivo nei confronti della propria abitazione e compagni umani. La sua figura è stata quindi addolcita, anche se non mancano racconti in cui la dea è presentata come una delle divinità più pericolose e feroci del pantheon egizio.
Bubasti, la città dei gatti
Bubasti (letteralmente «Città di Bastet»), era una città situata nei pressi del Delta del Nilo e destinata ad essere centro del culto della dea Bastet. In realtà, nel volgere di pochi anni, Bubasti divenne ufficialmente la sede del culto del gatto.
Secondo quanto narrato dallo storico greco Erodoto, era presente un santuario di dimensioni enormi, dove ogni affluivano migliaia di adoratori, e una delle più grandi necropoli feline dell’intero Egitto. Le celebrazioni prevedevano una lunga processione di barche sacre accompagnate da musica e un banchetto finale, dove il vino scorreva in abbondanza.
Rousseau e l’elogio del gatto
A riprova della grande attrazione che un gatto può esercitare su un uomo, anche un pensatore illuminista come Rousseau riconosceva ai gatti quella stessa libertà e intelligenza che gli antichi Egizi, secoli prima, gli avevano attribuito. Desidero concludere l’articolo con questo piccolo estratto tratto da una discussione avvenuta tra l’illuminista e Boswell, poiché io stessa sono un’amante di questi piccoli felini e reputo che nelle parole di Rousseau si celi una verità eterna:
Rousseau: «Vi piacciono i gatti?»
Boswell: «No.»
Rousseau: «Ne ero sicuro. È un segno del carattere. In questo avete l’istinto umano del dispotismo. Agli uomini non piacciono i gatti perché il gatto è libero e non si adatterà mai a essere schiavo. Non fa nulla su vostro ordine, come fanno altri animali.»
Boswell: «Nemmeno una gallina obbedisce agli ordini.»
Rousseau: «Vi obbedirebbe, se sapeste farvi capire da essa. Un gatto vi capisce benissimo, ma non vi obbedisce.»
Maria Rita Gigliottino per Questione Civile
Bibliografia
Lesley Jackson, Sekhmet & Bastet. The feline powers of Ancient Egypt, 202