La Commedia com’è
Se volessimo stilare un canone letterario italiano tutti saremmo disposti a inserire come opera la Commedia. L’opera, la conosciamo bene, è un poema di Dante Alighieri, scritto presumibilmente durante il primo ventennio del XIV secolo.
La Commedia è in terzine: tre cantiche per cento canti totali. Essa, per la sua vastità può, anche solo quantitativamente, trattare una fetta di argomenti piuttosto ampia: l’amore, la politica, la giustizia, l’amicizia, il viaggio, la riflessione scientifica, quella filosofica, la religione.
Il focus interpretativo
Riuscire a comprendere cosa sia centrale in un’opera di questa portata non solo è quasi impossibile, ma ci pare riduttivo trovare un singolo concetto che possa tirarne le fila. Perciò, in questo articolo vi proponiamo una prospettiva diversa: se la Commedia nella sua totalità non può essere analizzata, possiamo limitarci a singoli punti dell’opera, scelti arbitrariamente.
Prima di far ciò, sarà necessario capire cos’è il focus interpretativo.
L’etichetta che qui usiamo va pensata come il momento precedente all’esegesi vera e propria. Facciamo un esempio che possa chiarire meglio: nella «Parabola del figliol prodigo» il messaggio conclusivo è che una richiesta di perdono, se sentita come vera, può sanare il dolore che si è causato. Per dire ciò il nostro focus interpretativo risiede nella scena conclusiva della parabola, prima dell’epilogo: il momento in cui il figliol prodigo si offre come schiavo in casa del padre pur di ritornare al suo fianco.
Insomma, il focus interpretativo è il luogo testuale dove si deve soffermare la nostra attenzione per permetterci una comprensione del racconto tutto.
Il focus interpretativo nella resa artistica
La Commedia per la sua potenza immaginifica ha fatto sì che essa venisse molte volte rappresentata nelle arti figurative.
Un testo letterario non è però un’immagine immobile come potrebbe esserlo un’opera pittorica (non si intenda con questo una svalutazione qualitativa della pittura sulla scrittura): questo vuol dire che qualunque artista voglia rappresentare figurativamente un testo letterario sarà costretto a scegliere.
Egli deve interpretare l’opera alla luce di un nuovo medium, nel senso proprio del termine.
L’Inferno di Benedetto Robazza: il focus del fregio
Come avrete già avuto modo di vedere, Questione Civile per il VII centenario dantesco ha collaborato con il museo «Benedetto Robazza» di Rocca Prioria (RM). L’opera centrale del museo è evidentemente il grande fregio realizzato dall’omonimo artista ed esposto nel cortile interno. Esso ha per oggetto i trentaquattro canti dell’Inferno.
Dopo questa lunga e necessaria premessa, cerchiamo di capire «cosa ha guardato» Benedetto Robazza, dove è andata la sua attenzione all’interno dei singoli canti, qual è stato il suo focus.
Abbiamo per questo scelto due canti e confronteremo da un lato cosa la critica letteraria ha potuto osservare, in particolare affidandoci al commento di Giorgio Inglese e alle valutazioni proposte in un saggio di Marco Grimaldi; dall’altro lato, con uno sguardo assolutamente da spettatori e non da critici d’arte, guarderemo cosa ha posto al centro della sua opera Robazza, provando a ragionare sui motivi di letterarietà (e non di resa artistica) che lo hanno spinto a concentrarsi ora su questo elemento, ora su quest’altro.
Commedia, Inferno, VI
Il primo canto che prendiamo in esame è il sesto.
Come è stato ampiamente notato, tutti e tre i sesti canti della Commedia sono dedicati alla politica dell’Italia e di Firenze. Nel tempo questa valutazione numerologica si è andata attenuando, notando – a rigore – che anche altri canti all’interno dell’opera hanno un argomento politico. Resta però il fatto che i sesti canti ripercorrono continuamente questa strada.
Su 115 versi, il canto ne dedica circa sessanta – la metà – al personaggio di Ciacco. Egli è un fiorentino non meglio identificato, qui punito come goloso: «ciacco» in fiorentino aureo vale ‘maiale’, con una connotazione bassa.
Ma Ciacco non è qui per parlare del suo peccato o della sua pena come altri dannati. Egli profetizza post eventum (nel senso che il racconto è “profetico” solo nel tempo della storia) una «lunga tencione» (v.64) dove le fazioni di Firenze «verranno al sangue, e la parte selvaggia / caccerà l’altra» (vv. 65-66). Questo perché «superbia, invidia e avarizia sono / le tre faville c’hanno i cuori accessi» (vv.74-75).
Per intenderci, Ciacco sta profetizzando gli scontri tra le famiglie di Cerchi e Donati, o più in generale tra guelfi bianchi e guelfi neri.
Si ponga l’attenzione sulla figura centrale: Cerbero.
Il canto VI in Robazza
Allora, se è vero che il sesto canto è un canto politico, vorrà dire che proprio sull’incontro con Ciacco va il focus interpretativo utile a comprendere il canto dei golosi.
A questo punto, Benedetto Robazza cosa ha rappresentato?
Non Ciacco che discute con Dante, e neanche lo scontro tra le fazioni fiorentine, con uno sguardo alla profezia. Il centro del canto VI nel fregio non è politico. Al contrario, Robazza ha scelto come focus l’elemento di più cruda e violenta potenza che il canto propone: il guardiano del terzo cerchio, il mastino Cerbero.
Egli è «fiera (‘bestia’) crudele e diversa (‘mai vista’) / con tre gole caninamente latra / sovra la gente che quivi è sommersa» (vv.13-15); ha il «ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti ed iscoia ed isquatra (‘squarta’)» (vv.17-18).
Commedia, Inferno, XXX
Chiediamoci ora cosa succede in un canto in cui manca un centro tematico, dove nessuna figura risalta né narrativamente come Ciacco né visivamente come Cerbero.
Un «centro tematico» è diverso dal focus interpretativo, anche se questi possono coincidere. Il centro tematico non pertiene all’esegesi, non è uno strumento arbitrario come il focus. Un centro tematico è tutto sommato la porzione di narrazione che occupa più spazio. Se torniamo al «figliol prodigo», il centro tematico è la parte centrale della parabola in cui il figlio scialacqua i beni paterni.
Un canto come il trentesimo non ha un centro tematico: ci troviamo nella bolgia decima, all’interno dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i falsari (o ‘falsificatori’). Questi dannati sono stati introdotti nel canto precedente e possono essere suddivisi in falsari di metalli, di persone e di parole. Le tre forme di falsificazione conoscono come pena l’abbruttimento del dannato attraverso diverse forme di malattia.
Nel canto XXX sono tre i falsari che Dante incontra e su cui si sofferma: il «folletto» (‘demone’, v.32) Gianni Schicchi, fattosi passare per il ricco Buoso Donati sul letto di morte e lasciando a lui stesso, Gianni Schicchi, i beni del banchiere; «Mirra scellerata» (v.38) che, come racconta Ovidio, per congiungersi incestuosamente al padre Cinira si fa passare per sua madre; infine, Dante guarda alla «miseria del maestro Adamo» (v.61), falsificatore di monete fiorentino.
Ora, da un lato il narratore cerca di descrivere minuziosamente, in linea con il registro che la Commedia prende negli ultimi canti infernali, le aberrazioni della malattia dei falsari: febbre, idropisia, rabbia.
Sui significati allegorici di queste menomazioni spesso l’esegesi si è soffermata, con pochi successi e poca coerenza nel quadro totale di un canto che tutto sommato rimane secondario.
Si presti attenzione alle figure che coprono la parte sinistra e centrale di questa zona del fregio
Il canto XXX in Robazza
Da tal punto di vista Robazza coglie la necessità di uno sguardo d’insieme in un canto sì fatto.
Nel fregio, la zona corrispondente al canto XXX, di per sé spazialmente più piccola di altri canti adiacenti, non ha un focus su alcuno dei dannati.
Sì, in primo piano si trova una figura che sembra mordere un altro dannato, come Gianni Schicchi, ma d’altra parte una figura sullo sfondo ha la medesima posa; sì, si vede chiaramente una figura femminile che potrebbe essere Mirra, ma di fianco ad essa se ne scorge un’altra; nessuna figura, poi, sembra avere il ventre gonfio per «la grave idropesì» (v.52) come è invece chiaramente descritto maestro Adamo.
Ne dobbiamo dedurre che la pur minima centralità di alcune figure nel canto si perde nel fregio di Robazza, il quale ci dà uno sguardo d’insieme sugli aberranti falsari.
La liceità del vedere
Il confronto tra l’esegesi letteraria e l’interpretazione artistica di Robazza potrebbe continuare per tutto l’Inferno.
In questa breve conclusione, non esaustiva e tanto meno categorica, ci limitiamo a ricordare come Dante, come ogni autore, cerca di porre un percorso di briciole perché vengano seguite dal lettore-modello che si è prefigurato.
Un lettore-modello però non esiste: siamo tutti lettori critici in modo diverso e in modo imperfetto, tantopiù lo siamo noi, con Robazza, che abbiamo letto l’opera dantesca a secoli di distanza.
Salvo Lo Magno per Questione Civile
Bibliografia
Per le valutazioni di carattere narratologico:
Bernardelli e Cesarani, Il testo narrativo: istruzioni per la lettura e l’interpretazione, Il Mulino, Bologna, 2005
Umberto Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, La Nave di Teseo, Milano, 2020
Riferimenti alla critica e al testo della Commedia
Marco Grimaldi, Filologia dantesca. Un’introduzione, Carocci, Roma, 2021
Giorgio Inglese (a cura di), Dante Alighieri, Commedia, Inferno, Carocci, Roma, 2016