Intervistiamo oggi Parliamo di Mafia, un esperimento divulgativo sui social che si è trasformato in un progetto con migliaia di seguaci
Cos’è Parliamo di Mafia, come nasce e per quali finalità?
«Parliamo Di Mafia è un esperimento divulgativo nato su instagam ed attualmente ancora in fase di sviluppo. Mentirei se vi dicessi che l’idea iniziale era quella di creare una community che conta oggi più di 25 mila followers. In verità l’idea di fondo è nata una calda sera d’estate di due anni fa e, come tutte le migliori intuizioni, intorno al tavolo di un bar tra amici. Seppur partì tutto come un gioco, come una mia scommessa personale, per dimostrare che anche una realtà come instagram poteva diventare una vetrina divulgativa riguardo fenomeni così complessi e così delicati, sin da subito notai il grande riscontro mediatico che Parliamo Di Mafia aveva giorno dopo giorno.
A gestire la pagina instagram ero solo io, Giuseppe, studente universitario ed aspirante giornalista. Qualche mese dopo conobbi Tommaso, studente di giurisprudenza con cui mi trovai subito in sintonia e che decisi di integrare in questa piccola avventura digitale. Insieme maturammo la decisione di organizzare live in cui discutere della tematica in maniera semplice e diretta, come è giusto che fosse visto il pubblico giovanissimo che ci guardava.
Tra una chiacchierata e l’altra capimmo che era arrivato il momento di alzare il livello della qualità e della professionalità delle discussioni; così, iniziammo ad invitare uomini e donne, professionisti del settore, giornalisti, magistrati, testimoni diretti, vittime, politici ed attivisti. Tutto questo accompagnato da uno studio costante e quotidiano di tutte le tematiche da noi trattate. Inutile dire quanto sia stato emozionante e formativo avere la possibilità di confrontarci con personaggi di elevata caratura morale e professionale come quelli da noi incontrati. Personalmente posso dire che resta tutt’ora l’esperienza più importante della mia vita.
Oggi ci troviamo in una fase di transizione. Abbiamo un sacco di idee da sviluppare. Sinteticamente posso dire che la finalità è quella di creare una piattaforma divulgativa di riferimento per tutti coloro che abbiano voglia di informarsi sugli argomenti da noi trattati. Stare al passo con i tempi e con i nuovi mezzi d’informazione, come per l’appunto i social network o le piattaforme multimediali dell’era digitale, risulta essere indispensabile per arrivare direttamente ai più giovani. Non è un caso che Parliamo Di Mafia sia nata su Instagram, il social più popolato e giovane».
Perché secondo Parliamo di Mafia è importante sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche di contrasto alla criminalità organizzata?
«Credo che ci sia un errore madornale fatto spesso nell’educare le nuove generazioni. Nascondere il male, tenerlo il più lontano possibile dalla vista e dall’ascolto dei più piccoli. Ahinoi, non viviamo in un mondo perfetto, il nostro è un mondo di contraddizioni, per niente in bianco e nero, piuttosto composto da vaste gradazioni di grigio.
Crescere un figlio senza mostrargli il male, il marcio, i paradossi e le ingiustizie dell’essere umano, significa prepararlo ad un mondo che non esiste. Come dice Pif nella sua meravigliosa opera cinematografica, La mafia uccide solo d’estate:
I genitori hanno due compiti fondamentali: il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del mondo; il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla
Noi cittadini europei non abbiamo scuse per questo. Viviamo anni in cui le informazioni e la conoscenza sono (letteralmente) a portata di mano e non conoscere “la malvagità del mondo” non può che essere una mancanza di coraggio nel riconoscere degli errori commessi da ognuno di noi. La conoscenza e l’educazione civile sono le armi più efficaci contro i fenomeni criminali.»
Le nuove generazioni secondo voi sono sufficientemente coscienti della storia recente del nostro paese, in riferimento al periodo delle stragi di Mafia? Diteci la vostra a riguardo.
«Purtroppo no, non hanno la coscienza giusta, a nostro parere. Stavolta non possiamo fare a meno di additare anche i programmi scolastici. Seppur qualsiasi manuale di storia dei licei tratti tematiche come il terrorismo e le stragi del ‘92-’93, in pochissimi vi diranno di esserci arrivati. Io stesso posso confermare di essermi fermato alla guerra fredda. Questo accade perché forse i programmi scolastici sono da aggiornare e svecchiare. Comunque sia, il tema mafia è talmente vasto che potrebbe essere inserito nei programmi di molte altre materie, non solo nel programma di storia.
Chiaramente le scuole si impegnano organizzando giornate della memoria, gite, conferenze e tanto altro per sensibilizzare e smuovere le coscienze sull’argomento ma restano tali, come fossero qualcosa che va fatto di tanto in tanto. Basterà? »
Parliamo di Mafia ha mai incontrato i parenti delle vittime delle Mafie? Se si, in quali occasioni e cosa vi hanno lasciato umanamente?
«Sì, ovviamente la nostra crescita ci ha portato a confrontarci con chi la criminalità organizzata l’ha vista, sentita e toccata con mano, scontrandosi con la barbarie e con la violenza delle cosche. Questi rapporti sono stati sicuramente i più importanti per noi, semplicemente perché conoscere attraverso i libri e conoscere attraverso testimonianze dirette sono due cose diverse.
Spesso ci si dimentica che dietro le storie di mafia si celano essere umani che soffrono, che hanno paura, che chiedono giustizia e che spesso sono sviliti dalle lente macchine statali, burocratiche e giudiziarie che hanno il compito di tutelare e proteggere chi viene attaccato dal crimine organizzato. Abbiamo avuto modo di conoscere chi ha rifiutato di pagare il pizzo e che ora si ritrova in bilico per arrivare a fine mese, abbiamo conosciuto chi è stato delegittimato per aver denunciato persone prestigiose considerate in odor di mafia ed abbiamo conosciuto chi ha perso un caro per la lotta alla mafia. Avere la testimonianza di ognuna di queste persone è stato per noi come aprire un baule del tesoro, dove il carico più prezioso era quel bagaglio culturale contraddistinto non solo dal coraggio ma sopratutto da un’enorme correttezza morale.
D’altro canto questi confronti ci hanno anche permesso di aprire gli occhi su questioni spinose che ancora remano contro chi sceglie la legalità al compromesso con le mafie. Sappiamo tutti di vivere in un mondo che si trasforma continuamente, le mafie si trasformano con esso. Di pari passo e magari con due o tre passi d’anticipo dovrebbero trasformarsi anche le strategie di contrasto alla criminalità, nonché il supporto a chi decide di opporsi da comune cittadino».
Cosa pensate della trattativa Stato-Mafia?
«Pensiamo che sia stato uno dei processi più importanti degli ultimi anni e che non abbia avuto l’epilogo che ci aspettavamo, seppur si attendono ancora le motivazioni della sentenza d’appello. Diciamo solo questo: le carte attestano che una trattativa ci sia effettivamente stata ma che quest’ultima non costituisca reato. Non c’è scritto “il fatto non sussiste”, c’è scritto che è comprovata una interlocuzione ma che non ha rilevanza penale».
Cosa pensate degli scandali che hanno colpito il Consiglio Superiore della Magistratura?
«I magistrati, prima di essere servitori dello Stato, sono uomini: persone che falliscono, sbagliano, tendono al carrierismo ma anche persone di grande caratura morale, con enorme senso dello Stato e che si battono con le contraddizioni e le ingiustizie del sistema. Non si può mai fare di tutta l’erba un fascio: ci sono ancora elementi estremamente validi come il Dottor Sebastiano Ardita ed il Dottor Nino Di Matteo, entrambi nel CSM, per esempio. Dovrà esserci sicuramente un cambiamento all’interno del consiglio superiore della magistratura e siamo convinti che i due sopracitati, ma anche altri, contribuiranno in tal senso. Le generazioni future, ed i giovani magistrati entrati con il mito di Falcone e Borsellino, sapranno onorarli a dovere. Confidiamo nel fatto che chi di dovere intervenga dove ci sia da intervenire e di conseguenza, da riformare».
Secondo Parliamo di Mafia, a che punto è lo sviluppo dell’educazione alla legalità, dentro e fuori le istituzioni del nostro paese?
«Come abbiamo già detto c’è ancora tanto da fare per quanto concerne l’educazione alla legalità, specie nelle scuole. Tuttavia c’è anche da dire che rispetto a contesti al di fuori del nostro paese possiamo definirci all’avanguardia, sia per quanto concerne l’educazione alla legalità, sia per quanto riguarda lemisure di contrasto e repressione del fenomeno.
L’opinione pubblica italiana ha sofferto la violenza della mafia, ci sono uomini e donne che sono state uccise semplicemente per non aver accettato di sottostare al volere delle mafie ed alla piaga della corruzione. Dal Piemonte alla Sicilia è lunghissima la lista delle vittime di mafia ed è lunga la lista dei delitti rimasti impuniti. Tutto questa violenza e tutta questa impunità ha inevitabilmente generato rancore da parte dei cittadini verso chi ha sempre sostenuto di essere uomini d’onore, causando la nascita di movimenti cittadini antimafia. Per questo motivo, seppur la nostra nazione sia spesso definita Il Paese delle mafie, possiamo orgogliosamente definirci anche il Paese dell’Antimafia, normativa e sociale.
Un problema rilevante è la mancanza di presidi fissi di legalità in contesti particolarmente delicati, laddove la forza delle cosche è più soffocante e radicata. In realtà di questo tipo capita che vengano organizzati comizi, manifestazioni, conferenze pubbliche, a cui spesso partecipano anche uomini illustri delle istituzioni. Gesti meritevolissimi senza ombra di dubbio, ma alla fine di ognuna di queste iniziative, si torna nel giro dipochi giorni all’aria pesante di sempre. Insieme ai comizi, alle conferenze ed alle manifestazioni servirebbero interventi urgenti e mirati di riqualifica e sviluppo delle aree periferiche e delle zone più interessate dal fenomeno mafioso. Se così non fosse si rischia di apparire come se si stesse facendo finta di combattere l’illegalità».
Organizzerete delle attività per il trentennale dalle stragi di Capaci e di via d’Amelio?
«Sicuramente faremo memoria, come abbiamo sempre fatto. Ricordare ciò che accadde in Sicilia trenta anni fa è fondamentale per comprendere come e perché oggi le mafie si muovono in un determinato modo. Capaci e Via D’Amelio segnarono uno spartiacque e tutti videro in mondovisione cosa fosse realmente la mafia. Ricordare ciò che è stato è un dovere tanto quanto dovrebbe essere un dovere la ricerca della verità su quelle stragi. Peccato che, dopo 30 anni, sono ancora tanti i punti oscuri su cui non si riesce a far luce, primo fra tutti quello che fa riferimento all’agenda rossa del Dottor Borsellino, sottratta dal luogo della strage e mai più ritrovata. Faremo memoria sulle stragi e su chi diede la vita per il paese in cui oggi viviamo ma faremo anche memoria sulla necessità di capire davvero perché accadde quel che accadde trenta anni fa».
La Redazione di Questione Civile
Ringraziamo Parliamo di Mafia per l’intervista concessa. Per saperne di più, vi invitiamo a seguire la pagina Instagram @parliamodimafia