L’Umanesimo come momento di svolta e ripensamento della cultura europea e mondiale
Torniamo alla nostra data: 1492. Torniamo ai suoi lati oscuri che avevamo preso in considerazione: la cacciata degli Ebrei di Spagna, la Reconquista, l’inizio della parabola razzista nei confronti dei «selvaggi» Indios. Ma il 1492 è anche la data di morte di Lorenzo Magnifico, figura chiave dell’Umanesimo. L’Umanesimo, come abbiamo studiato e ripetuto a pappagallo a scuola «ha trasformato una concezione teocentrica in una concezione antropocentrica dell’universo», e con questa operazione ha fornito i presupposti per le inquietudini – e le relative tragedie, perché di tragedie si tratta – della Modernità. Ma quali sono queste inquietudini? In che senso sono legate all’Umanesimo?
Fake news sull’Umanesimo
Anzitutto dobbiamo sgombrare il campo da una fake news sull’Umanesimo che si è imposta con l’Illuminismo: quella dell’Umanesimo come età radiosa e felice dopo il buio Medioevo. Michele Ciliberto, celebre filosofo specialista proprio dell’età umanistico-rinascimentale, definisce l’Umanesimo come «età della crisi». Una crisi manifestatasi certamente a livello letterario-filosofico fra gli intellettuali (e per questo si rinvia alle notevoli sintesi e analisi del Ciliberto), ma come riflesso degli avvenimenti storici che hanno coinvolto le grandi masse. Pensiamo a come si apre l’Umanesimo: con una grande, grandissima tragedia: il 1348, la Morte Nera (che per uno storico importantissimo come Prosperi dovrebbe essere considerato l’anno spartiacque fra Medioevo e Modernità). Un avvenimento di questa portata – che falcidiò la popolazione europea di circa un terzo – non poté lasciare immutati i rapporti economici, sociali e la cultura dell’epoca.
Proprio come oggi, a livello culturale oltre che sanitario, possiamo affermare che vi è stato un pre-covid e che vi sarà un dopo-covid, allora la Morte Nera segnò una demarcazione fortissima di natura economico-sociale e, a livello sovrastrutturale, religiosa e culturale. Mi azzardo a dire che se ne può parlare in termini analoghi al dopo-Auschwitz di Jonas. Si badi a non travisare: Auschwitz fu una tragedia infinitamente più immane in quanto frutto della volontà umana, ma negli effetti i due eventi sono comparabili. L’uomo sopravvissuto alla Morte Nera ha visto crollare coi propri occhi ogni pretesa di spiegazione razionale del Mondo e dell’Universo in termini cristiani. Egli non ha potuto, davanti agli orrori della peste e della «pubblica follia» scaturita da essa, non dubitare della benevolenza divina alla base del Creato o, per dirla in altro modo, dell’armonia cosmica garantita dalla Divinità.
Dante: un uomo medievale
E di questo cambio di atteggiamento abbiamo le prove. Massimo Viglione ci invita a fare un paragone fra una delle ultime opere propriamente medievali (pre-Morte Nera) e una delle prime opere umanistiche – o pre-umanistiche, ma questa è una questione oziosa – consegnateci dalla nostra tradizione letteraria: la Commedia dantesca e il Decameron di Boccaccio. È cambiato tutto. L’opera di Boccaccio tratteggia un ruolo dell’intellettuale diversissimo da quello che Dante aveva pensato per sé, e lo stesso Boccaccio come autore e come uomo (di cui abbiamo notizia grazie al Prologo) si pone in maniera quasi speculare a Dante.
Entrambi, infatti, iniziano il loro percorso narrativo con un’ammissione di disorientamento: Dante ha smarrito la via e si ritrova «per una selva oscura», immagine (probabilmente, in riferimento all’allusione a Inf. XIII) di un tentato suicidio; Boccaccio è stato rapito da un amore tanto – oggi diremmo – «tossico» da spingerlo a pensare all’atto estremo. In principio, dunque, era la disperazione. Ma come risolvono i loro dissidi Dante e Boccaccio?
Il primo, uomo medievale, intraprende un cammino: un cammino che, si badi, inizialmente lo porta letteralmente all’Inferno; all’Inferno sì, ma per poi salire fino al Paradiso. E poi, e questo va sottolineato, in un Inferno preciso, regolato, «giustizialista» (Cittadini), pensato in ogni particolare acciocché concorra anch’esso al disegno divino secondo cui il Bene sarà premiato e il Male sarà condannato.
Boccaccio: un uomo moderno
Dante, dunque, si mette in cammino; Boccaccio invece sta fermo e narra. Risolve anch’egli la propria disperazione, ma in tutt’altro modo: in un modo esemplificato perfettamente dai personaggi della brigata, che fuggono dal mondo e si rifugiano nella narrazione. Essi sono Boccaccio e sono l’uomo dopo-Morte Nera. Si presti attenzione: non è un uomo abbattuto, privo di speranze, tutt’altro. È però un uomo che, non certo per sua scelta, si ritrova, come dicono i manuali, «al centro del mondo».
Si ritrova solo. A quest’uomo urge ridefinirsi, indagarsi, ripensare al proprio rapporto con la Divinità: è in questo clima che viene concepita l’Orazione sulla dignità dell’uomo del Pico; è in questo clima che si riscopre la magia come arte umana in grado di conferire all’uomo, e non più a Dio, il potere sul mondo; è in questo clima che nascono le premesse per la grande svolta della Riforma, che porta a concepire un Dio, certo cristiano, ma sempre meno «interventista» (qui non posso dilungarmi su tali questioni, e rimando a Weber).
Umanesimo e religione
Questo è l’Umanesimo. Pensiamo a un simbolo dell’Umanesimo, anzi forse al suo emblema: l’Uomo vitruviano di Leonardo, che si data più o meno al 1492. L’Uomo vitruviano è emblema di una società e di una cultura, quella europea, che in quegli anni, attraverso la riscoperta di un passato glorioso (basti ricordare che Vitruvio, cui s’ispira Leonardo, era d’epoca augustea), tenta di definire perfettamente e precisamente l’uomo; tenta di indagarne la natura di svelarne ogni segreto (e qui il consiglio di lettura va al primo «psicologo» della storia, Machiavelli). Se tutto ciò ha portato indubbi progressi nella scienza e nelle tecniche – oserei dire anche alle arti –, nondimeno si stava giocando con il fuoco (e ci si è bruciati, letteralmente in molti casi).
Umanesimo e persecuzioni religiose
Perché si ipotizza questo legame fra Umanesimo e tragedie della prima età moderna (mi riferisco di roghi di ebrei, eretici, streghe)? Perché è venuta meno, con la grande crisi post-1348, la legittimazione naturale della Christianitas: poiché non si può parlare di benevolenza divina dopo la Morte Nera (qui appare chiaro il legame con la riflessione di Jonas sul dopo-Auschwitz), e dunque il Potere non può essere motivata da detta benevolenza. Non abbiamo più dunque il sovrano come emanazione provvidenziale di Dio (l’Arrigo VII dantesco), ma come detentore di un potere religioso concepito come instrumentum regni (il Principe di Machiavelli).
Così la religione – e in specie quella messa più in crisi da questo grande sommovimento sociale e culturale, quella cattolica – si arrocca e si trasforma in tribunale inquisitorio, e il suo compito diviene politico: bersagli, come abbiamo visto, ne saranno i Saracini, gli Ebrei, pretesi stregoni e streghe, e ovviamente i «selvaggi» del Nuovo Mondo.
Questa è la storia moderna: una storia fatta di crisi, di contraddizioni, di mali, diciamolo. Ma anche una storia di infiniti tentativi di risoluzione a questi mali. Tentativi talora falliti, talora degenerati, talora persino riusciti.
Andrea Monti per Questione Civile
Bibliografia
Oltre a quella indicata nel precedente articolo:
G. Boccaccio, Decameron, varie edizioni
M. Ciliberto, Pensare per contrari. Disincanto e utopia nel rinascimento, Roma, Edizioni Storia e Letteratura, 2005
M. Ciliberto, Biblioteca laica. Il pensiero libero dell’età moderna, Roma-Bari, Laterza, 2012
M. Ciliberto, Rinascimento, Pisa, Edizioni della Normale, 2016
M. Cittadini, Tutto è Paradiso. Lezioncine dantesche, Aporema Edizioni, 2021
Dante, Commedia, varie edizioni
H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Genova, Il nuovo melangolo, 2005
N. Machiavelli, Il principe, varie edizioni
G. Pico della Mirandola, La dignità dell’uomo, Torino, Einaudi, 2021
A. Prosperi & P. Viola, Storia del mondo moderno e contemporaneo, 6 voll, Torino, Einaudi, 2004
M. Weber, Le origini del capitalismo moderno, Roma, Donzelli, 2009
M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Milano, BUR, 1991