Sisifo, l’uomo che sfidò gli dèi
Sisifo, l’uomo che, trovatosi al cospetto della propria morte, riuscì ad eluderla, preservando la propria vita per molti anni, malgrado il verdetto degli dèi.
Quella di Sisifo è una leggenda che affonda le proprie radici nella mitologia della Grecia Antica. Narra di un uomo scaltro, il più astuto del suo tempo. Un uomo in grado d’ingannare persino gli dèi. Sono diverse le imprese a danno delle divinità del pantheon greco attribuite alla sua figura. Eppure, nonostante la sua intelligenza e malgrado fosse riuscito a incatenare la morte stessa, un giorno anche per Sisifo giunse la fine. E più di tutte le sue gesta, fu la punizione che nell’Ade gli venne inferta a renderlo eternamente e tristemente celebre.
La storia di Sisifo, sebbene figlia della leggenda, non può che ricondurci ad un’atavica riflessione. Qual è il senso dell’esistenza di fronte alla morte? Potrà mai l’uomo scampare al proprio annullamento?
Sisifo, il più astuto fra gli uomini
Il nome Sisifo si riconduce etimologicamente al greco antico, in particolare dall’aggettivo “sophòs”, che significa “sapiente”, “astuto”.
Alcune fonti riportano che Sisifo, divenuto amante di Anticlea, sposa di Laerte, fosse il vero padre di Ulisse. Da lui, allora, l’eroe omerico avrebbe ereditato la sua celebre intelligenza e l’abilità nell’inganno che avrebbero permesso l’espugnazione di Troia dopo il lunghissimo assedio. In effetti, le prime attestazioni della storia di Sisifo si riscontrano all’interno dei poemi omerici: nel libro VI dell’Iliade, e nel libro XI dell’Odissea, quando Ulisse ne scorge l’ombra fra i dannati.
Figlio di Eolo, a Sisifo è attribuita anche la fondazione della città di Efira, che poi prenderà nome Corinto, di cui sarebbe divenuto il sovrano. Proprio a beneficio della sua città, Sisifo ordì il più celebre dei suoi stratagemmi ai danni delle divinità olimpiche.
Il mito: Sisifo incatena la morte
Secondo il mito, Zeus, invaghitosi della bella Egina, figlia della divinità fluviale Asopo, la rapì. Asopo, disperato, la cercò in lungo e in largo, finché non giunse presso Efira. Sisifo, che era a conoscenza dei fatti, rivelò il rapimento a condizione che Asopo facesse scorrere una fonte d’acqua perenne all’interno della sua cittadella. Questa, infatti, non disponeva di un bacino d’acqua potabile nelle sue immediate vicinanze, e ne soffriva. Così avvenne, e Sisifo accrebbe la sua fama ed il prestigio del suo regno.
Zeus, tuttavia, non avrebbe lasciato impunito chi aveva rivelato la verità ad Asopo sul ratto di Egina: decretò che Sisifo fosse punito con la morte. Così, il padre degli dèi inviò Thanatos, cioè la divinità che incarna la morte stessa, a mietere la sua vita.
Sisifo, però, nella sua scaltrezza, lo aveva previsto e attese che Thanatos giungesse presso la sua soglia. Al suo arrivo non oppose resistenza, ma accolse la divinità con lusinghe e adulazioni, lodandone il portamento e la maestà. Quali segni della sua ammirazione, le offrì in dono dei bracciali e una collana, sostenendo che a lui non sarebbero serviti nel Tartaro. Ma quando Thanatos li indossò, essi si rivelarono essere un collare e delle catene. Sisifo aveva reso la morte sua prigioniera.
Il tempo passò, e il mondo sprofondò nel caos a causa della scomparsa della morte: nessuno, infatti, poteva più morire. Ade, dio degli inferi, non riceveva più nuovi sudditi, né Caronte aveva più anime da traghettare oltre lo Stige. Ares, dio della guerra, divenne furioso, poiché non traeva più alcuna gioia dalla battaglia, dato che nessuno poteva essere ucciso.
Zeus, allora, mandò Ares a liberare Thanatos dalla sua prigionia. Sisifo, ancora una volta, prevedendo l’imminente ritorno della morte, ordì un nuovo sotterfugio.
Il mito: Sisifo inganna il signore degli inferi
Sisifo chiese allora a sua moglie, qualora fosse morto prematuramente, di non compiere per lui alcuna onoranza funebre. Poi si consegnò spontaneamente a Thanatos, che lo condusse negli inferi, al cospetto di Ade e Persefone, signori dell’oltretomba.
Sisifo, ammettendo le proprie colpe a danno degli dèi e degli uomini, domandò loro un’ultima concessione. Sua moglie non lo aveva onorato degnamente dopo la sua morte, come si sarebbe convenuto a un marito e a un sovrano del suo rango. Sisifo supplicò, allora, di poter tornare fra i mortali per un tempo limitato. Il tempo esclusivamente necessario a vendicarsi di sua moglie e a organizzare per sé stesso gli adeguati onori funebri.
Persefone, mossa a pietà da una simile preghiera, gli accordò questa richiesta. Così Sisifo mise in atto le sue trame e potè tornare alla vita. Una volta raggiunta la moglie, non rispettò la parola data alle divinità e per molti anni visse nascondendosi alla loro vista.
Tuttavia, alla fine, anche il più astuto fra i mortali dovette arrendersi alla morte.
Il mito: la punizione di Sisifo
Quando, infine, ormai anziano, Sisifo spirò, venne ricondotto nel Tartaro. Come punizione per le sue molteplici malefatte, fu condannato dagli dèi ad un terribile tormento. Per l’eternità sarebbe stato costretto a farsi carico di un pesante macigno e a trasportarlo fino alla sommità di un’impervia montagna. A frustrazione del suo perenne sforzo, avrebbe poi dovuto vederlo rotolare di nuovo tragicamente a valle, dove se ne sarebbe fatto carico ancora, e ancora.
Una fatica ripetuta in eterno e, quel che è peggio, completamente inutile e insensata, priva di uno scopo in sé. Esattamente come gli sforzi che, in vita, Sisifo aveva compiuto per eludere la volontà divina, nonché la propria morte, destinazione ultima e ineluttabile di ogni uomo.
Il titanismo di Sisifo
Sisifo, come Prometeo, viene dunque punito per la propria “hybris”, cioè per l’orgogliosa tracotanza mostrata nel ribellarsi agli dèi, al suo destino, all’ordine costituito. Egli, riconoscendosi scaltro più d’ogni altra creatura, adopera la sua intelligenza allo scopo di perseguire l’immortalità con le proprie forze. Immortalità che, tuttavia, non può competere agli uomini, nati mortali. Il titanismo di Sisifo, l’uomo che si erge contro il proprio destino, non può, quindi, trovare successo, ma egli persevera ugualmente nella sua ribellione. Ed in questo modo, Sisifo forgia la propria tragedia.
Un simile mito non può che indurre a profonde riflessioni esistenziali. Se l’uomo, come Sisifo, nonostante le sue abilità e la sua intelligenza, non può sfuggire al proprio annullamento, in cosa risiede il senso della vita?
Albert Camus: il filosofo dell’assurdo
In seno alla corrente filosofica dell’Esistenzialismo, il filosofo novecentesco Albert Camus (1913-1960) compone un’opera ispirata proprio alla figura di Sisifo. Camus, in particolare, prende come riferimento il mito greco per meglio rappresentare la sua concezione dell’assurdo.
Per Camus, l’universo resta sordo, indifferente alla ricerca umana di un significato alla propria esistenza. Questo dà luogo, dunque, all’assurdo: la sua evidenza, infatti, è data, secondo il filosofo, dall’inscindibile separazione fra l’uomo e l’universo che abita.
Nel saggio “Il mito di Sisifo”, Camus chiarisce subito che per lui il quesito più urgente e fondamentale della filosofia è uno solo. “La vita vale la pena di essere vissuta?”. Tutte le altre domande non possono che esservi subordinate. Ogni cosa ruota attorno alla risposta che si dà a tale quesito, e alla coerenza con cui ci si attiene alla stessa.
Se la risposta è “no”, allora, secondo Camus, la via più coerente per il filosofo sarebbe quella del suicidio. Perché mai affrontare tutte le prove e le sofferenze dell’esistenza, se questa, alla fine, non ha alcun significato?
Tutto il saggio, in effetti, risulta incentrato su questo tema: quanto il suicidio possa rappresentare una soluzione all’assurdo. Eppure, nella sua speculazione, Camus asserisce che “Uccidersi, in un certo senso, è come confessare che si è superati dalla vita, che non la si è compresa”. Per il filosofo algerino, dunque, il suicidio non può rappresentare la giusta soluzione.
La risposta di Camus, invece, si riflette nel personaggio stesso di Sisifo, cui è dedicata l’opera. Egli rappresenta per il filosofo l’uomo che ha accettato di confrontarsi con la dimensione dell’assurdo, senza alcun velo o compromesso. Un uomo che assume come un fatto l’insensatezza della propria esistenza ma, in qualche modo, riesce ad accettarla e a “riderne”.
Conclusioni
La storia di Sisifo, in fondo, rivela l’atteggiamento che ogni uomo istintivamente mostra quando posto di fronte all’evidenza dell’assurdo, alla prospettiva del proprio annullamento.
La stessa tendenza all’evasione dalla prospettiva e dalla realtà della morte, così tipica dell’uomo di ogni tempo, si riflette, a ben guardare, nell’ostinata fuga di Sisifo da Thanatos. Una fuga che, sebbene assurda in sé, perché di fatto impossibile, Sisifo progetta con ogni mezzo della sua ragione e umanità.
Quel che è certo, è che l’uomo, posto d’innanzi alla comprensione dell’assurdo, non potrà mai più tornare indietro. L’assurdo desta inevitabilmente chi lo scruta dal torpore della sua distratta inconsapevolezza e gli infonde un turbamento che riporta con urgenza a una domanda. La vita ha un senso?
Si può allora concludere che non lo abbia, che la vita non valga la pena d’essere vissuta. Oppure, si può scegliere di convivere con il suo apparente non-senso, di accettarne l’assurdità, come l’uomo-Sisifo di Camus.
Oppure, ancora, si può scegliere di non commettere affatto la colpa di Sisifo e di deporre il macigno della tracotanza. Di abbandonare una vana ribellione, onde imparare ad accogliere, con umiltà, il ruolo che ci è stato offerto. Forse, dopo tutto, la ragione umana, per quanto arguta, non basta da sola a conseguire tutte le risposte.
Gabriele Todaro per Questione Civile
Sitografia
- https://www.treccani.it/enciclopedia/sisifo_%28Enciclopedia-Italiana%29/
Bibliografia
- A. Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani