L’uovo cosmico all’interno dei miti cosmogonici

uovo cosmico

Aspetti strutturali dell’archetipo dell’uovo cosmico

Per comprendere i caratteri propri dell’archetipo dell’uovo cosmico, ciò che risiede nel nucleo del mitologema, dobbiamo cominciare – chiedo perdono per il motto di spirito, imbarazzante ma forse inevitabile – ab ovo, ovvero dai miti cosmogonici che lo hanno avuto come protagonista.

Trattare minuziosamente ogni cosmogonia fondata sull’archetipo dell’uovo cosmico sarebbe impossibile, data l’estrema diffusione; allo stesso modo, tracciare un elenco delle sue ricorrenze risulterebbe limitante e sterile. Procedo dunque ad indicare sei caratteri essenziali del mitologema, quelli che considero gli aspetti strutturali e perciò più facilmente ereditati dai discorsi che hanno fatto uso di quest’immagine topica, citando alcuni dei maggiori miti cosmogonici in qualità di campioni testuali.

Simbiosi delle differenze: l’uovo cosmico come armonia

Nella Chāndogya Upaniṣad, uno dei più antichi testi del corpus mitologico vedico, il Non-essere – ovvero lo stato originale dell’universo – diventa all’improvviso un uovo. Dopo un anno tale uovo si schiude in due parti: una d’argento, che costituisce la terra; una d’oro, che costituisce il cielo. Tale dualismo recupera la più classica delle opposizioni binarie della mitologia antica, quella tra maschile e femminile, dove il primo elemento viene simboleggiato dal cielo e il secondo dalla terra.

Nel San-wu li-chi, testo fondamentale della cosmogonia cinese, la compresenza di opposti si fa più incisiva ed eterogenea. All’interno dell’uovo coesistono in una massa amorfa e caotica lo ying e lo yang, il passivo e l’attivo, il caldo e il freddo, la luce e l’oscurità, l’asciutto e il bagnato e, ovviamente, il maschile e il femminile.

La cosmogonia Dogon, popolazione africana del Mali, insiste sull’attributo androgino dell’uovo. Esso viene diviso in due sacche embrionali, ciascuna contenente una coppia di gemelli al cui interno convivono sia un’essenza maschile che un’essenza femminile.

Figura androgina è Phanes, il dio aureo che nasce dall’uovo cosmico dell’orfismo.

Il primo carattere da attribuire all’archetipo dell’uovo cosmico è perciò l’idea di una sintesi totale delle differenze, di un annullamento del maschile e del femminile in vista di un’entità congrua e compiuta. L’uovo cosmico esiste da prima che la diversità abitasse il mondo, è retaggio di un tempo primordiale nel quale le esistenze tentavano di liberarsi dalle restrizioni del dualismo, alla ricerca piuttosto di un’assoluta perfezione. L’archetipo comunica perciò il senso di una pienezza e purezza originaria che non conosce pluralità di sessi, etiche, stati della materia.

Gestazione e femminilità: l’uovo primigenio come mito materno

Il secondo aspetto strutturale dell’uovo cosmico è quello forse più immediato e riconoscibile: l’analogia tra la creazione universale e la nascita organica. Le similitudini tra l’uovo cosmico e il grembo materno sono fin troppo ovvie.

Nella Chāndogya Upaniṣad già citata, ad esempio, la schiusa dell’uovo impiega esattamente un anno a compiersi, come fosse una vera e propria gestazione.

All’interno delle rovine delle prime popolazioni italiche sono state rinvenute centinaia di tombe dall’aspetto ovale, costruite con l’intento di evocare un ritorno alla Dea Madre e alla terra che ella rappresenta, in una sorta di riproduzione della vita prenatale.

In generale l’archetipo dell’uovo cosmico possiede un forte attributo femminile. La schiusa è sovente raccontata in qualità di vero e proprio parto, come dimostra – una su tutti – la mitologia pelasgica, diffusa in Grecia ben prima del culto olimpico di stampo patriarcale. La cosmogonia dei Pelasgi, difatti, è votata al femminile secondo un’impronta incisivamente matriarcale: all’origine dei tempi la grande dea Eurinome, dopo aver diviso gli oceani dal cielo e aver creato il vento attraverso la danza, viene sedotta dal serpente Ofione e partorisce l’uovo del mondo, dalla cui apertura scaturiscono tutte le creature viventi e gli elementi naturali. È perciò interessante notare che non sempre l’uovo si genera autonomamente dal nulla, bensì in molte occasioni è la conseguenza di un rapporto sessuale e di una successiva incubazione, durante la quale la componente femminile riveste un ovvio protagonismo.

Una creazione insufficiente: l’uovo cosmico come feto da fecondare

Attraverso la derivazione metaforica dal parto siamo condotti verso una terza fisionomia basilare del mitologema, ovvero la necessità di un elemento di supporto, di un’entità capace di aiutare l’uovo nella sua apparizione o nella sua schiusa. In altre parole, in molti miti la creazione tramite uovo cosmico è di per sé insufficiente, e occorre l’inserimento di un ulteriore mitologema cosmogonico.

Nell’orfismo, l’uovo cosmico deposto da Nyx viene fecondato da un soffio di Borea, il vento del nord qui interpellato in veste di identità maschile.

Nel Mānava-Dharmaśāstra, uno dei trattati giuridici hindu che raccolgono le norme sociali dettate dal dharma, l’autogeneratosi Brahman avvia un processo cosmogonico per mezzo del suo pensiero: immagina degli oceani ed essi compaiono, e dalle stesse acque si feconda in un secondo momento l’uovo d’oro contenente l’universo. In altre versioni, Brahma manifesta direttamente l’uovo per mezzo dell’Aum, una sillaba votata all’emissione respiratoria che corrisponde al soffio vitale originario.

Che sia un soffio, una parola o un liquido seminale divino, l’uovo cosmico necessita in alcune circostanze di un intermediario cosmogonico, perdendo quell’identità autosufficiente e autogeneratasi che comunque conserva nella maggior parte delle ricorrenze.

Un dio lucente: l’uovo cosmico come metafora natale

C’è da chiedersi anche cosa accada nel dettaglio una volta che l’uovo si schiude, poiché non sempre la creazione del mondo è immediatamente successiva alla rottura dell’involucro. Spesso, al contrario, dal grembo materno-uovo nasce una figura divina, una sorta di Puer aeternus a cui spetta in prima persona la cosmogonia, il compito di creare il mondo.

Nella mitologia cinese, una volta che lo ying e lo yang riescono a bilanciarsi perfettamente all’interno dell’uovo, dalla schiusa emerge Pangu, un gigante villoso e cornuto che procede subito a distruggere l’involucro ovale all’interno del quale era stato generato al fine di separare le due estremità e di creare il cielo e la terra.

Il Satapatha Brahmana ci racconta che dall’uovo intento a galleggiare nei mari primordiale nasce Prajapati, il quale è costretto a restare sul guscio per un intero anno prima di riuscire a parlare e, attraverso il suono delle sue parole, a creare il cielo, la terra, le stagioni.

Ma il riferimento più celebre è per certo quello di Phanes, il dio androgino dell’orfismo già citato, i cui aspetti più peculiari sono la luce abbagliante che emana costantemente – e dalla quale deriva il suo nome – e le immense ali dorate. L’elemento lucente e dorato è condiviso da Vishnu, il quale viene tradizionalmente rappresentato con attorno una densa nube d’oro.

Ecco allora che l’uovo cosmico perde definitivamente la sua autonomia e la sua responsabilità cosmogonica, diventando piuttosto il contenitore, l’involucro, il grembo materno all’interno del quale il Deus Faber riposa in attesa del termine della propria gestazione; è la luce scaturita dalla sua schiusa a dare origine al mondo.

Scissione di un’unità primordiale: l’uomo primordiale come perdita originaria

Il penultimo carattere è una diretta conseguenza del primo. Come detto, l’uovo – specie nella sua simbiosi indifferenziata tra maschile e femminile – è una rappresentazione della compiutezza, un’entità del tutto organica dotata di un’omogeneità originaria che non conosce fratture e diversità. Nel momento in cui l’uovo si schiude, tuttavia, ciò che consegue è una frammentazione di quell’unità ormai perduta; la creazione e l’esistenza sono esiti di un’imprescindibile rottura dell’ordine.

All’origine di tutto il Nulla era in armonia, e la vita poteva zampillare solo dai resti di quella pienezza irripetibile. La frammentazione dell’unità può avvenire in due modi: o è il dio lucente nato dall’uovo a disperdersi in pezzi, come avviene con Pangu – sulla falsariga di quanto accade al gigante Ymir, dalla ben più celebre mitologia norrena –, o sono direttamente le schegge del guscio dell’uovo a costituire le porzioni del mondo, come racconta la cosmogonia delle Isole Samoa.

In ogni caso, è importante sottolineare come ancora una volta l’uovo simboleggi una completezza uniforme e perciò statica, un’immagine della totalità destinata però a demolirsi al prezzo di una nuova ed effettiva esistenza.

Nascite e ri-nascite: l’uovo cosmico come rito

Un ultimo aspetto strutturale dell’archetipo – forse il più importante – ci viene suggerito da Mircea Eliade a partire dalla sua componente rituale:

La virtù rituale dell’uovo non si spiega con una valorizzazione empirico-razionalistica dell’uovo come germe; si giustifica invece col simbolo che l’uovo incarna, riferibile non tanto alla nascita come alla rinascita, ripetuta secondo il modello cosmogonico. Se fosse diversamente, non si capirebbe la parte importante che hanno le uova nella celebrazione dell’Anno Nuovo e delle feste dei Morti. […] Si prenda uno qualsiasi di tali complessi mitico-rituali, la sua idea fondamentale non è la “nascita”, è invece la ripetizione della nascita esemplare del Cosmo, l’imitazione della Cosmogonia. […] l’uovo conferma e promuove la risurrezione che, ripetiamo, non è nascita, ma “ritorno”, “ripetizione”[1].

Il rito che consegue dal mito trasforma così quella che era la nascita per eccellenza – la cosmogonia, la creazione del mondo, la prima nascita in assoluto – in una continua rinascita, in una resurrezione ciclica. L’archetipo dell’uovo cosmico comunica così un rinnovamento, una svolta rispetto ad una situazione negativa o statica, una riemersione da un mare primordiale e oscuro. L’uovo può schiudersi anche all’inizio del nuovo anno, ai primi calori di una nuova stagione primaverile – non è un caso che la Pasqua sia sempre celebrata verso l’inizio della primavera –, ogni qualvolta che una vita e una coscienza umane necessitano di un cambiamento radicale. Come in centinaia di altri casi, il rito si appropria del mito e lo umanizza, lo rende esperienza fruibile storicamente e socialmente.

Aldo Baratta per Questione Civile

Bibliografia

BRUNEL Pierre, Dictionnaire des Myths Lettéraires, Édition du Rocher, Parigi, 1988.

ELIADE Mircea, Traité d’histoire des religions (1948), trad. it. Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino, 2007.

FERRARI Anna, Dizionario di Mitologia, UTET, Torino, 1999.

LEEMING David, LEEMING Margaret, A Dictionary of Creation Myths, Oxford University Press, New York, 1994.

MOREL Corinne, Dictionnaire des symboles, mythes et croyances (2004), trad. it. Dizionario dei Simboli, dei Miti e delle Credenze, Giunti Editore, Firenze, 2006. 


[1] Mircea Eliade, Traité d’histoire des religions (1948), trad. it. Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 376-377.

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