La storia delle Brigate Rosse attraversa tutti gli anni ’70, partendo dal triangolo industriale ed espandendosi verso il centro Italia
Se Aldo Moro è la sua vittima più famosa c’è comunque un lungo pregresso necessario da capire e importante per non dimenticare.
Tra il 1975 e il 1977 l’azione Brigatista si intensificò. Le Brigate Rosse cominciarono a sparare per uccidere, scegliendo obiettivi ben determinati e con un forte carico simbolico.
È quella che oggi chiameremmo “escalation di violenza”, che partendo dal nord riuscì a raggiungere anche la Capitale, città perfetta per colpire il cuore dello Stato.
Dopo il 1974, le Brigate Rosse di Mario Moretti
La fine della prima fase delle Brigate Rosse coincide con il periodo tra il febbraio del 1975 e il gennaio 1976.
Si tratta degli undici mesi di libertà di Renato Curcio, tra il suo primo arresto e il secondo ed ultimo, che l’avrebbe tenuto in carcere per oltre vent’anni.
In questo periodo si verifica, per il gruppo terroristico, un’altra forte perdita.
Nel giugno 1975 le Brigate Rosse rapiscono Vittorio Vallarino Gancia, erede della omonima casa vitivinicola in provincia di Alessandria.
Lo scopo del sequestro era più economico che politico, avendo l’organizzazione bisogno di denaro, e l’azione sembrava funzionare.
Fu solo un caso quello che portò una pattuglia dell’arma alla Cascina Spiotta, dove era tenuto il prigioniero.
Ne seguì uno scontro a fuoco che lasciò a terra due corpi; quello dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e quello di Margherita “Mara” Cagol, tra i fondatori delle BR e moglie di Curcio.
La morte della terrorista fu l’ennesimo colpo al gruppo fondativo delle Brigate Rosse. Sette mesi più tardi il padre dell’organizzazione tornò in carcere.
Si trattò, non fu la prima né l’ultima volta, dell’arresto in un covo delle BR.
I covi altro non erano che appartamenti, spesso all’interno delle grandi città industriali.
Molte fasi della storia delle Brigate Rosse riguardano i covi.
Per gli investigatori la scoperta di un appartamento, anche se non portava a un arresto, era un passo avanti.
Non era infatti raro che lì si trovassero armi, munizioni, volantini, ma anche informazioni logistiche.
Un esempio erano le liste di possibili obiettivi, che permettevano di giocare d’anticipo e poter proteggere gli interessati.
Il 1975 pone quindi fine alla storia delle prime Brigate Rosse, preparando il terreno alla violenza degli anni successivi.
Il 1976 delle Brigate Rosse: il processo e l’omicidio Coco
L’arresto dei vertici delle Brigate Rosse si stava preparando a diventare processo a Torino.
In oltre mezzo decennio di azioni il gruppo terroristico si era macchiato di crimini di diversa natura.
Tuttavia il capo d’imputazione principale era diverso. Gli imputati presenti in aula erano chiamati a rispondere
«Per aver organizzato una banda armata denominata Brigate Rosse avente per fine la soppressione violenta degli ordinamenti politici, economici e sociali dello stato Italiano, elaborando un programma generale politico di attacco al cuore dello stato».
Era chiaro quindi che fosse qualcosa in più del semplice mix di rapine, ferimenti e omicidi.
In un paese in costante fermento le Brigate Rosse rappresentavano il rischio di una rivoluzione, di un cambiamento armato della vita dello Stato.
L’organizzazione rispose con un comunicato letto in aula con cui sconfessavano il valore delle istituzioni, avvocati difensori compresi.
La vicenda giudiziaria delle Brigate Rosse iniziava tutta in salita.
I compagni ancora in libertà non si erano fermati davanti a quanto accadeva nel capoluogo piemontese.
Quelli che consideravano i diritti e i valori degli imputati erano rivendicati tramite i volantini che seguivano le altre azioni delittuose.
La più importante ha luogo l’otto giugno 1976, circa un anno dopo la morte di Mara Cagol.
In questa occasione le Brigate Rosse compiono il loro primo omicidio organizzato, dopo l’imprevista uccisione dei due missini nel 1974.
La città in cui le BR sparano per uccidere è Genova, una delle prime in cui hanno cominciato ad operare.
A cadere vittima dei terroristi è il procuratore Francesco Coco, un obiettivo non casuale.
Procuratore generale del capoluogo ligure, Coco due anni prima, nei giorni del sequestro Sossi, aveva risposto fermamente alle richieste dei terroristi non firmando le scarcerazioni.
Con quell’omicidio le Brigate Rosse iniziavano ufficialmente a sparare per uccidere.
1977: le Brigate Rosse arrivano a Roma
Torino, Milano, Genova.
Il nord-ovest stava sentendo forte il colpo dei terroristi, brigatisti e non solo.
Nel clima infervorato del periodo le organizzazioni criminali di stampo politico, rosso e nero, nascevano e morivano in un giorno.
Il centro sud del Paese, al contrario, era in parte distante da questi fenomeni per ragioni di diversa natura; ad esempio il rapporto differente col mondo delle fabbriche, al nord fertilissimo terreno per brigatisti e affini.
Anche la presenza di una criminalità organizzata di diverso tipo giocava un fattore determinante, e le BR lo avrebbero scoperto più avanti.
Roma restava però la capitale, il luogo delle istituzioni.
Era lì soltanto che si poteva alzare il livello dello scontro per arrivare al ben noto “Attacco al cuore dello Stato”.
Iniziò così la discesa delle Brigate Rosse verso Roma, la città dove avrà luogo il più grande atto della loro storia.
L’arrivo nella capitale fu anticipato nel 1975 da Mario Moretti, all’epoca già ricercato e in clandestinità.
Moretti girava con un’identità fittizia “ingegner Mario Borghi, originario di Genova”, grazie alla quale aveva preso in affitto un appartamento.
Al momento del suo arrivo, dunque, tutti gli altri brigatisti erano “militanti irregolari”; con questa locuzione si descrivono i militanti ancora non ricercati, che girano con i loro documenti e senza bisogno di camuffarsi.
Gli irregolari per l’organizzazione sono regolari per lo Stato e viceversa, un mondo capovolto.
Il 1977 diventa l’anno di svolta per la colonna romana, che già a inizio febbraio compie la sua prima azione.
Il ferimento del dirigente del Ministero della Giustizia Valerio Traversi inaugura la stagione di sangue delle BR per le strade della città, destinata a protrarsi fino ai primi anni ’80.
Il 1977, anno di nuove contestazioni studentesche e violenza politica, prepara la strada al momento più cruento.
Necessità economiche: il sequestro Costa
L’ampliamento della base di militanti, regolari e irregolari, e l’aumento dell’attività criminosa poneva le Brigate Rosse davanti a un problema: la necessità di soldi.
Inizialmente a questa si era ovviato con le rapine.
Venivano ribattezzati espropri proletari, cercando una qualche coerenza ideologica, ma non erano altro che furti di diversa natura.
Sono le primissime fasi della storia brigatista, alla fine degli anni ’60, prima della più violenta svolta armata.Al crescere del bisogno economico si rispose con un’azione che non avrebbe riguardato solo beni materiali.
Fu scelto di effettuare un rapimento per ottenere un riscatto.
Di nuovo un sequestro privo di natura politica, quindi, come nel caso di Vallarino Gancia due anni prima.
La scelta dell’obiettivo ha sempre un sottotesto ideologico, si punta a imprenditori, ma lo scopo principale è altro.
Si torna a Genova, la città del sequestro Sossi, dove il radicamento dei terroristi è sempre più forte.
Pietro Costa è la persona designata, l’uomo dal cui riscatto le Brigate Rosse dovranno guadagnare.
È il discendente degli armatori Costa, la famiglia che ha dato vita alla Costa Crociere.
Il sequestro fu parecchio lungo, quasi tre mesi, tra il gennaio 1977 e i primi di aprile dello stesso anno.
L’armatore venne rapito nella sua città, il capoluogo ligure, e lì restò per tutto il tempo della sua prigionia.
La “cella” dove veniva tenuto era una tenda da campeggio montata nel salotto di un appartamento, dentro al quale l’armatore era legato ad un letto.
La situazione di Costa era dunque diversa da quella in cui si trovò Aldo Moro appena un anno più tardi durante la sua prigionia.
Eppure le due sono quantomai legate: l’organizzazione del sequestro Moro dipese infatti moltissimo dal riscatto che fu pagato per Costa.
L’operazione portò nelle casse brigatiste un miliardo e mezzo di lire.
Prima di Aldo Moro: tra il 1977 e il 1978
L’organizzazione di un’operazione imponente come il rapimento di Aldo Moro non fu freno per i terroristi.
Nei mesi precedenti via Fani, al contrario, le azioni riuscirono addirittura ad aumentare.
Dall’altro lato diveniva maggiore anche la repressione dello Stato, che si preparava ad affrontare il pericolo terroristico con armi migliori.
Non era solo l’azione di ricerca e arresto dei terroristi che subiva modifiche.
Il 1977 fu l’anno dell’inasprimento delle pene detentive per i brigatisti.
L’intero sistema giudiziario veniva stravolto per far fronte alla minaccia terroristica, e la risposta delle BR non si fece attendere.
Dopo i magistrati e gli imprenditori anche agenti delle forze dell’ordine e avvocati entrarono nelle mire dei terroristi. Si ricorda, nella primavera 1977, l’omicidio di Fulvio Croce, presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati di Torino.
Fu uno dei tanti atti che portarono all’interruzione del famoso processo al Nucleo Storico delle BR, che fece molta fatica a celebrarsi.
Sempre al processo di Torino è legato uno degli ultimi colpi messi in atto dalle Brigate Rosse prima del rapimento Moro.
Il 10 Marzo 1978, sempre nel capoluogo Piemontese, cadde sotto i colpi dei terroristi il maresciallo Rosario Berardi.
L’attentato era una vendetta per l’ennesima riapertura del processo, che si sarebbe concluso pochi mesi più tardi.
Il fuoco brigatista era generalmente imprevedibile, non era raro che le Br colpissero per vendicare morti o arresti tra le loro fila.
Vi sono tutta via casi differenti, come quello di Guido Rossa, in cui l’omicidio era connesso direttamente a un fatto legato alla vittima.
Nella visione Brigatista, così come raccontata successivamente, anche il rapimento di Aldo Moro rientra nei casi di vittima scelta per quel che rappresenta.
L’attacco al cuore dello Stato non riguardava nomi, volti, profili.
Era colpire le istituzioni in quanto tali, come se fossero semplicemente di ruoli e non persone.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Bibliografia
Brigate rosse. Una storia italiana – Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda a Mario Moretti, Mondadori.
Figli della notte – Giovanni Bianconi, Dalai editoreIL PROCESSO DI TORINO AL NUCLEO STORICO DELLE BRIGATE ROSSE COME RIVOLTA NARRATIVA – Michele Cogo Università di Siena
Il Brigatista e l’operaio – Giovanni Bianconi, Einaudi.