La Redazione di Questione Civile ha il piacere di intervistare Andrea Colaiacomo, Presidente di Orizzonti Politici, un think tank composto da giovani studenti e professionisti, con una grande passione per l’analisi politica. Orizzonti Politici è una realtà molto seguita sui social networks, nonostante sia una realtà nata da pochi anni.
Di seguito, l’intervista completa.
Che cos’è “Orizzonti Politici”, come nasce e per quali finalità?
«Orizzonti Politici è un think tank giovanile italiano impegnato nell’analisi di politica internazionale, politiche pubbliche ed economia. Nato nel 2018 dall’idea di quattro studenti dell’Università Bocconi, Orizzonti Politici conta oggi più di 70 membri, studenti di oltre 20 università italiane ed europee e giovani professionisti provenienti da tutta Italia. Il nostro obiettivo è affrontare e spiegare argomenti complessi attraverso strumenti e format innovativi e interattivi, adottando un linguaggio semplice e inclusivo. In qualità di “think tank della generazione Z” intendiamo essere anche luogo di formazione, crescita, confronto e sviluppo di nuove idee e proposte di politiche che riguardano e interessano i giovani e non solo.»
Quali sono le vostre principali attività?
«Ci occupiamo prevalentemente di divulgazione e ricerca. Per quanto riguarda la divulgazione, sul nostro sito proponiamo articoli di analisi e report che approfondiscono i vari argomenti legati alla politica e all’economia. Sui nostri canali social pubblichiamo infografiche e contenuti con l’obiettivo di avvicinare il grande pubblico, attraverso i nuovi strumenti narrativi, a temi spesso considerati complessi o distanti: cerchiamo di fornire una piattaforma attraverso cui informarsi, approfondire, discutere e proporre nuove idee. Con la stessa finalità organizziamo incontri, eventi e dibattiti online e in presenza, dove diamo la possibilità di approfondire questi argomenti con esponenti del mondo politico, accademico ed economico italiano.
Sotto il profilo della ricerca, invece, cerchiamo di proporre nuovi punti di vista e soluzioni ai problemi del Paese, attraverso la stesura di policy paper, utilizzando metodi quantitativi e strumenti tipici del policy-making. Rientrano in questa area lavori come Italia a Misura di Gen Z, un report realizzato ad aprile 2021 che evidenzia le aree prioritarie su cui investire per andare incontro alle esigenze delle nuove generazioni, la proposta sul welfare aziendale e occupazione femminile e il più recente Mafia male Comune, incentrato sulle iniziative di contrasto alle infiltrazioni mafiose nelle pubbliche amministrazioni.
In tutto questo raccontiamo le nostre idee anche attraverso analisi o interventi su altre testate: tra quelle con cui abbiamo collaborato ci sono Il Sole 24 Ore, YouTrend e RTL 102.5 News.»
Secondo voi, la politica italiana è sufficientemente preparata per affrontare le sfide attuali e future?
«Il problema della preparazione per le sfide attuali e future è legato a una serie di fattori. Il primo è sicuramente legato al tema della competenza politica. Negli ultimi anni abbiamo spesso assistito a una bassa preparazione della classe politica sia dal punto vista tecnico che politico: spesso molti politici e leader si sono dimostrati poco preparati su questioni fondamentali e imprescindibili per definire una strategia a lungo termine. Questo è dovuto anche al fatto che, in un certo momento, la competenza è stata vista dai cittadini come una caratteristica accessoria rispetto ad altre virtù considerate più importanti. Un secondo problema è legato alla mancanza di visione. La classe politica guarda più spesso all’immediato e al contingente, proponendo e adottando misure che soddisfano l’elettorato in quel dato momento, talvolta con impatti negativi sulle future generazioni.
Anche per questo lo spessore del dibattito politico risulta scarso. Un terzo problema, che è poi una peculiarità del sistema politico italiano, è dato dalla mancanza di stabilità dei governi. La frammentazione del panorama politico, con i suoi numerosi partiti, accorcia la durata delle legislature e non garantisce ai governi la stabilità necessaria per portare avanti politiche con risultati tangibili. Infine, c’è un tema che riguarda l’opinione pubblica: siamo noi a scegliere i nostri rappresentanti politici e la responsabilità della qualità è anche nostra.
Pertanto: siamo noi in grado di gestire, processare e comprendere le informazioni che i politici ci danno in campagna elettorale? Siamo in grado di stabilire se quanto ci viene promesso è realistico e di conseguenza fare scelte consapevoli? Si torna, quindi, al tema iniziale della competenza che a questo punto diventa il centro nevralgico della riflessione.»
L’arrivo dei social network ha cambiato il modo di fare politica nel bene o nel male? A tal proposito, come si presenta qualitativamente la dialettica e la narrazione politica attuale, vista la facilità di diffusione delle fake-news in rete?
«I social network hanno rivoluzionato il modo di fare, vivere e comunicare la politica. Il fatto che parte del dibattito politico si sia spostato sui social ha portato alla nascita di una nuova sede di discussione per l’opinione pubblica, un luogo dove tenersi informati e dove tutti possono condividere con milioni di persone le proprie idee e le proprie battaglie. Anche il rapporto con i politici è mutato: la comunicazione è più rapida, più diretta, più personale e personalizzata. Non c’è discussione politica che non sia raggiungibile da tutti, ma allo stesso tempo la qualità della discussione appare minore, senza freni, esasperata: valgono più i titoli e gli slogan piuttosto che i contenuti.
Contemporaneamente, i social hanno generato fenomeni tanto insidiosi quanto pericolosi come la diffusione delle fake news. Si tratta di un tema che, come abbiamo visto, è stato al centro di un lungo e ampio dibattito a seguito delle elezioni americane, e ha spinto a interrogarci sul ruolo dei social nelle democrazie. Per tutti questi motivi Orizzonti Politici intende promuovere un dibattito basato su dati affidabili e analisi puntuali, con la consapevolezza che un’opinione informata possa nascere solo dall’interazione tra diversi punti di vista e da un dialogo tra competenze ed esperienze variegate.»
Secondo voi, qual è il livello di coinvolgimento delle nuove generazioni per l’attualità politica e, nel caso, quali sarebbero secondo voi le motivazioni?
«Partendo dalla constatazione che i social hanno cambiato il modo di interagire e informarsi e raggiungono ampie fette dell’opinione pubblica, anche oltre i canali tradizionali che sono più in disuso, possiamo dire che i giovani sono coinvolti in maniera del tutto nuova nel dibattito politico. Per questo ci sono anche nuove realtà che decidono di raccontare la politica a questo target, sfruttando linguaggi e strumenti inediti, lontani dal modo di fare politica tradizionale. In un’epoca come quella che stiamo vivendo oggi, la piazza si è spostata in gran parte sui social. Ma se da un lato manca il coinvolgimento diretto che caratterizzava l’epoca dei grandi partiti di massa e che ha permesso lo sviluppo di una classe politica, dall’altro assistiamo a un maggiore coinvolgimento dei giovani su certe battaglie globali, nelle quali i giovani sono attivisti politici.
Il caso più noto e rappresentativo è quello di Greta Thunberg che ha trascinato nelle piazze delle città del mondo migliaia di giovani decisi a chiedere un cambio di paradigma nella gestione del cambiamento climatico. Quello dell’ambiente è sicuramente il tema più “giovanile” in questa fase, soprattutto perché legato a una dimensione generazionale. Ma ci sono anche altre battaglie importanti, perlopiù legate ai diritti civili, che i giovani sentono vicine.»
Qual è il ruolo del nostro paese ad oggi, a livello internazionale e geopolitico? Siamo ancora un valido decisore economico e politico in seno al G7 e all’Unione Europea oppure negli anni abbiamo perso il peso internazionale che contraddistingue l’Italia della seconda metà del Novecento?
«Nel dopoguerra, l’Italia ha vissuto un periodo di crescita economica importante, con il boom che ha portato benessere nelle vite degli italiani. Allo stesso tempo il nostro paese è riuscito a ritagliarsi un peso internazionale sempre maggiore, figurando fra i paesi fondatori dell’Unione europea e posizionandosi in maniera decisa nei sistemi di alleanze internazionali. Negli anni ’70 la crescita si arresta, inizia ad accumularsi debito pubblico e, di decennio in decennio, crisi dopo crisi, emergono le fragilità del paese. Parallelamente crescono paesi come India e Cina che si impongono progressivamente come potenze sul piano economico e geopolitico.
Sul fronte interazionale l’assenza di continuità e il cambio rapido di capi di governo negli anni hanno fatto dell’Italia un paese instabile con cui è talvolta difficile interfacciarsi. Si pensi al caso opposto rappresentato dalla Germania che, con Angela Merkel al governo per sedici anni, è riuscita a porsi come nazione centrale all’interno dell’Unione europea. Altro fattore di instabilità, registratosi in particolare negli ultimi anni, è rappresentato dalle differenze di posizionamento dei vari governi verso il progetto di integrazione europeo o nei confronti di potenze quali Russia e Cina. Una posizione che implica difficoltà nel presentarsi come paese con una chiara visione del ruolo che vuole avere nello scacchiere globale.
Nonostante queste considerazioni, ricordiamoci che comunque oggi siamo l’ottava economia del mondo, siamo tra i tre Paesi più rilevanti nell’Ue, facciamo parte del G7 e del G20, vertice che nel 2021 l’Italia ha presieduto per la prima volta. Proprio il G20 ha rappresentato un’opportunità per riflettere sul futuro e sulle sfide che ci attendono in un mondo sempre più interconnesso, nel quale il nostro ruolo dipenderà dalla capacità di rilanciare il paese dopo le crisi che si sono succedute in questi anni e di posizionarci a livello geopolitico. Su questo sarà determinante la visione sul lungo termine della politica e dei partiti. Non dimentichiamoci che, con le elezioni del prossimo anno alle porte, i cittadini avranno un ruolo importante: attraverso il loro voto verrà premiato anche il progetto di alleanze e posizionamento che più li convince.»
Secondo lo studio Democracy Index 2021 pubblicato da “The Economist”, l’Italia è considerata una “democrazia imperfetta” attestandosi al 31° posto. Inoltre, si registra un calo della democrazia pari allo 0,9% a livello globale. Cosa ne pensate a riguardo e quali sono i rischi per le istituzioni democratiche del nostro Paese?
«Occorre innanzitutto specificare cosa si intende per “democrazia imperfetta”. Secondo il Democracy Index le democrazie imperfette sono nazioni che garantiscono elezioni libere e le libertà civili di base, ma presentano alcuni problemi nel campo della libertà d’informazione, una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione nella vita politica, e problemi nel funzionamento del governo. Dei cinque indicatori misurati dall’indice – il processo elettorale e pluralismo, le libertà civili, la funzione del governo, la partecipazione politica e la cultura politica – l’Italia risulta carente soprattutto sulla parte di governo.
Con un punteggio di 9,58 il nostro Paese supera la media dell’Europa occidentale nella categoria “Processo elettorale e pluralismo”, mentre registra una performance inferiore con un punteggio di 6,43 (contro il 7,69 della media europea) nella categoria “Funzionamento del governo”. Questo dato si ricollega a quanto abbiamo detto prima in merito all’instabilità dei governi e alla durata delle legislature che rappresentano quindi due ostacoli significativi al funzionamento della nostra democrazia e alla tenuta delle istituzioni.»
La Redazione di Questione Civile
Ringraziamo Orizzonti Politici per l’intervista concessa. Per saperne di più, vi invitiamo a seguire la loro pagina Instagram @orizzontipolitici