Arte e trauma: la guerra tra espressionismo e oggettività

Arte e trauma: la risposta degli artisti al trauma della Prima guerra mondiale

Le guerre fanno parte della storia di tutte le civiltà e immancabilmente sono state anche tra i soggetti più diffusi di molte committenze artistiche. La rappresentazione di una battaglia e quindi di una vittoria rappresentava il culmine della grandezza di un casato o di uno Stato. Anche solo guardando al Rinascimento fiorentino sono tanti gli artisti che si misurarono con questo tema – come Paolo Uccello o Giorgio Vasari – ma il carattere celebrativo prevale sempre sulle atrocità degli scontri. In questo articolo si pone in analisi il rapporto tra arte e trauma da guerra.

Il tema delle battaglie divenne un vero e proprio soggetto iconografico nel corso del Seicento, tanto che in ogni collezione non ne mancavano alcuni esemplari. Bisognerà attendere l’Ottocento per assistere alla reazione critica degli artisti nei confronti della guerra e dei suoi orrori. Uno dei primi a scegliere di rappresentare l’aspetto più cruento della guerra fu Francesco Goya che, nella serie I disastri della guerra,racconta, con un occhio quasi fotografico i supplizi e le difficoltà vissute dal popolo spagnolo durante la guerra d’indipendenza.

Ma fu la Prima guerra mondiale a segnare per sempre un punto di rottura con la canonica rappresentazione del campo di battaglia. Le atrocità che poterono essere documentate anche attraverso la fotografia cambiarono l’immaginario trionfale della guerra, toccando non solo la produzione artistica ma anche quella letteraria e filosofica. Tra i soldati spediti al fronte, a vivere in bilico barricati nelle trincee, vi erano anche numerosi artisti. Come per chiunque questa guerra lasciò segni indelebili nella mente, veri e propri traumi, che attraverso l’arte alcuni cercarono di esorcizzare.

“Shell shock: guerra e trauma”
-N. 5
Questo è il quarto numero della Rubrica di Rivista dal titolo “Shell shock: guerra e trauma”. La Rubrica vede la collaborazione tra le Aree di Scienze Umane, Sociologia, Lettere, Affari Esteri, Cinema, Storia Moderna e Contemporanea, Arte e Archeologia

Arte e trauma: la guerra nell’arte tedesca

La Prima guerra mondiale rappresenta un punto di cesura fondamentale nello sviluppo dell’arte occidentale. Sino a prima dello scoppio del conflitto, infatti, Parigi era stata al centro dello scenario artistico, vera e propria capitale delle arti che aveva promosso lo sviluppo di importanti fenomeni artistici. A cavallo tra le due guerre invece la regione europea che ebbe un ruolo primario fu la Germania. Nel corso di tutta la durata della repubblica di Weimar, vari artisti elaborarono nuovi linguaggi, scaturiti proprio dall’atroce trauma della guerra. Se da un lato si rinnegavano tutte le forme d’arte precedenti tra cui le stesse avanguardie di primo Novecento, dall’altra gli artisti tornavano a misurarsi con la rappresentazione “oggettiva” della realtà.

Le parole dello storico dell’arte Mario De Micheli fanno comprendere a pieno le ragioni di questa risposta brutale dell’arte tedesca: “la guerra […] fu un richiamo drastico alla verità dei fatti, un invito violento a guardare in faccia le cose, a considerarle come senza fumi dell’eloquenza o l’ebbrezza di un’esaltazione misticheggiante”.

In risposta a questo rinnovato e dissacrato punto di vista, nel 1920 a Berlino viene organizzata la prima mostra del movimento Dada, che infrange ogni regola, rompendo totalmente con ogni forma artistica del passato. Mentre cinque anni dopo è la volta della mostra della Nuova Oggettività che porta sulla scena gli ultimi esiti dell’arte di Otto Dix e George Grosz.  Proprio le opere di questi due artisti esprimono al meglio la dirompenza del trauma della guerra.

Otto dix e la rappresentazione senza filtri della guerra

Il contributo di Otto Dix al rapporto tra arte e trauma da guerra è stato di fondamentale importanza. Otto Dix fu tra gli artisti che solcarono in prima linea il campo di guerra e per bene quattro lunghi anni. Finiti i combattimenti e tornato all’arte si concentrò molto spesso sulla rappresentazione della guerra anche a molti anni di distanza. Dagli storpi di guerra alla tematica politica la pittura per Dix diventa un mezzo per denunciare gli orrori e le ingiustizie vissute in quegli anni. Il dipinto Gli invalidi di guerra (1920) è tra i primi risultati di questa riflessione. Le vittime della guerra sono proprio loro, i reduci che hanno pagato un caro prezzo.

Il ritorno alla vita di tutti i giorni, a una partita a carte, è comunque segnato dalla perenne sofferenza fisica e mentale. I tre uomini hanno perso la loro umanità, e sono raffigurati a metà tra una bambola di pezza e un manichino. Dix si serve della geometria di ricordo cubista per fissare le forme tremanti dei tre paralitici.

Otto Dix, Invalidi di guerra giocano a carte, 1920, olio su tela con collage, Berlino, Neue Nationalgalerie

La riflessione sulla guerra non si limita alla produzione pittorica, Dix infatti sceglie anche il mezzo dell’incisione che assicura certamente un pubblico più ampio. Tra il 1923 e il 1924 egli lavora alla serie La Guerra cimentandosi con diverse tecniche incisorie a dimostrazione dell’alto grado professionale raggiunto alla fine della sua formazione come artista. Cinquanta immagini che hanno l’obbiettivo di documentare gli orrori della guerra, quel trauma che l’artista porta dentro di sé come un grande fardello. Il linguaggio espressionista si piega quindi all’esigenza di riportare all’attenzione dell’osservatore un dato oggettivo: ovvero i campi di battaglia, i morti e i sopravvissuti deumanizzati. Un modus operandi questo che alimenterà la nascita della Nuova Oggettività verso la fine degli anni Venti.

Il trittico della guerra

L’opera che più di tutte mette l’osservatore di fronte alla tragedia della guerra e che ben rappresenta il rapporto tra arte e trauma di guerra è Il trittico della guerra (1929-1932). La scelta di questo formato imponente non è casuale, anzi pone in dialogo aperto la brutalità del soggetto con la storia dell’arte tedesca. I trittici erano infatti molto diffusi nella produzione sacra a cavallo tra XV e XVI secolo, di cui l’esito più drammatico è la Crocefissione di Matthias Grünewald. Costruendo il dipinto in questo modo Dix crea un manifesto senza filtri degli orrori della guerra.

La grandezza del trittico comportò una lunga gestazione creativa, che nell’arco di quattro anni vide la traduzione dei disegni preparatori all’opera finita. La narrazione che procede da sinistra verso destra racconta l’inizio e la fine della guerra. Nel pannello di sinistra i soldati, ancora indenni e ignari, si avviano verso il campo di battaglia. La scena centrale rappresenta proprio il campo dopo gli scontri, i cadaveri putrefatti sono resi senza filtri.

Dix sceglie di dipingere quello che i suoi occhi hanno visto in molte occasioni e che la sua mente probabilmente non può più dimenticare. La descrizione della realtà della guerra corrisponde all’assenza quasi totale di vita. Lo scheletro penzolante da una trave funge da memento mori universale, non solo per l’uomo ma anche per la natura che è completamente azzerata dalla forza distruttiva dei combattimenti. A destra invece emerge l’unico aspetto ancora umano della guerra, un soldato trascina lontano dagli spari il corpo di un compagno.

Otto Dix, Il trittico della guerra, 1929-1932, olio su legno, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen

L’attenzione meticolosa a ogni particolare anche macabro deve essere considerata nell’ottica del movimento della Nuova Oggettività, di cui Dix è uno dei principali esponenti. Per lui: «è l’oggetto che rimane il fatto primario. La forma è plasmata soltanto dall’oggetto. […] Più importante, infatti, del “come” per me è la “cosa”! Soltanto dalla “cosa” si sviluppa il “come”!» (1927).

Arte e trauma: la città esplosa di George Grosz

Un’altra chiave di lettura del trauma della guerra viene dalle opere di George Grosz. L’orrore e la violenza della guerra sono infatti trasportati in scenari urbani. La guerra arriva a Berlino e Grosz la rappresenta nel frastuono di un’esplosione. Nel dipinto Esplosione (1917) appunto l’artista ci mostra la città in subbuglio, illuminata dalle fiamme e in un vortice distruttivo in cui i palazzi implodono. Solo alcune figure umane si distinguono nella notte infuocata. Il linguaggio usato da Grosz riprende la scomposizione tipica del cubismo, ma soprattutto in questo caso del futurismo.

L’intensità dei colori insieme alle facce multiple e mutilate degli edifici trasmettono la paura e il pericolo che i tanti soldati della Prima guerra mondiale dovettero fronteggiare. Una paura che però è tornata a casa con loro e che non smette di perseguitarli. L’immagine creata da Grosz sembra quasi premonire i bombardamenti sulle città durante il secondo conflitto mondiale.

L’esperienza della guerra e i risvolti politici successivi hanno portato l’artista a vedere la realtà con occhi disillusi. Come egli stesso scrive “per ottenere uno stile corrispondente alla bruttezza e alla crudeltà dei miei modelli, ho copiato il folclore degli orinatoi, che mi sembrava l’espressione più immediata, la traduzione più diretta dei sentimenti forti”.

George Grosz, Esplosione, 1917, olio su tela, New York, MoMA

Ilaria Arcangeli per Questione Civile

Bibliografia e sitografia

Heather Hess, German Expressionist Digital Archive Project, in German Expressionism: Works from the Collection, 2011.

Mario De Micheli, L’arte di opposizione d’ispirazione politica e sociale in Germania dal 1900 al secondo conflitto mondiale, in Arte Moderna, 1967, pp. 201-240.

A.Negri, L’arte in Mostra Una Storia Delle Esposizioni, 2011, pp.

https://skd-online-collection.skd.museum/Details/Index/173961

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