I momenti finali della storia delle BR
Nel raccontare la fase finale della storia brigatista è interessante guardare ad alcuni casi e momenti ben specifici.
Si tratta di situazioni che mostrano nella loro interezza i problemi interni alle BR, la perdita di controllo dell’organizzazione, ma non solo; c’è anche il potere dello Stato, il proseguo della lotta antiterroristica.
Sono gli ultimi spari di un decennio di fuoco.
Uccidere un comunista. Le BR e Guido Rossa
Sono passati meno di sei mesi dalla morte di Aldo Moro quando a Genova la fabbrica Italsider di Cornigliano viene scossa dalle BR.
La presenza dei terroristi non è una novità; lo è l’azione di Guido Rossa, sindacalista della CGIL e militante del PCI, che denuncia un collega colto nell’atto di lasciare in giro volantini.
Il collega è Francesco Berardi, militante non clandestino delle Brigate Rosse genovesi.
Rossa non è solo quando scopre il fatto, ma lo è quando denuncia. Unico comunista a denunciare un compagno alle autorità.
Tre mesi più tardi, il 24 gennaio 1979, un commando di terroristi aspetta Guido Rossa per punirlo.
È una gelida mattina d’inverno, prima dell’alba. Un colpo esplode nel silenzio che separa notte e giorno, colpendo Rossa alle gambe. Poi, pochi minuti dopo, un secondo sparo che uccide. Doveva essere un ferimento, monito per chiunque pensasse di fare il delatore, ma andò diversamente. Perché questa scelta? Perché uccidere?
A più di quarant’anni dall’attentato la morte di Guido Rossa rimane un mistero.
Si sa che i due colpi furono esplosi da due persone diverse. Il primo da Vincenzo Guagliardo, che era effettivamente l’uomo scelto dalle BR per far fuoco sul delatore e ferirlo.
Il secondo da Riccardo Dura, che nell’azione doveva avere il ruolo di semplice spalla, intervenire in caso di problemi.
Eppure problemi non ve ne erano stati, Guagliardo aveva colpito ciò che doveva colpire, lasciando la vittima ferita e inerme nella sua auto. Il comportamento di Dura sembrò fin da subito incomprensibile, andare in autonomia davanti a Rossa per sparare ancora non era previsto. Qualcosa, o forse qualcuno, lo aveva spinto a sparare per uccidere, andando oltre gli ordini ricevuti. O, si pensa, rispettando gli ordini impartiti da altri, dentro o fuori le BR.
In ogni caso non poté mai spiegarlo.
La risposta dello Stato, la notte di Via Fracchia
Gli anni ’80 si aprono con una promessa di futuro.
L’epoca del terrorismo sta finendo, la contestazione sociale è diversa, si ci aspetta un decennio migliore.
Nei primi mesi dell’anno l’azione antiterroristica colpisce potente, in particolare contro le BR.
A metà febbraio alcuni arresti sconvolgono il gruppo torinese, portando in carcere alcuni importanti nomi della base brigatista. In particolare Rocco Micaletto, in clandestinità da oltre quattro era,anni e a capo della colonna Torinese, responsabile di azioni come l’omicidio di Fulvio Croce.
Insieme a lui venne consegnato alla giustizia Patrizio Peci, anch’egli clandestino e militante nel capoluogo piemontese.
Patrizio Peci è riconosciuto come il primo brigatista pentito. L’idea era portare gli ex terroristi a collaborare con le forze dell’ordine in cambio di sconti in termini di condanna. Al momento del suo arresto Micaletto aveva con sé un mazzo di chiavi, e fu Peci a confessare agli inquirenti che porta aprissero.
Il 28 Marzo 1980, nel cuore della notte, gli agenti dell’antiterrorismo fecero irruzione in un appartamento di Genova.
Via Umberto Fracchia, civico 12. Era questa la porta che si apriva grazie alle chiavi trovate a Rocco Micaletto.
Una base brigatista, a pochi passi da dove quattordici mesi prima era stato ucciso Guido Rossa.
E proprio lì, tra gli altri, dormiva Dura, l’uomo che gli aveva sparato.
Dell’irruzione di via Fracchia si sa e si capisce poco, restando una pagina grigia della lotta al terrorismo.
Quel che restò nell’appartamento dopo quella notte di Marzo furono i cadaveri di quattro brigatisti.
Oltre a Riccardo Dura morirono nello scontro a fuoco Lorenzo Betassa, Pietro Panciarelli e Annamaria Ludmann, la proprietaria del covo. Rimase inoltre ferito Rinaldo Benà, facente parte del nucleo delle forze dell’ordine che fece irruzione. La verità sul caso Rossa morì con Riccardo Dura, come anche diverse informazioni sulla colonna genovese.
L’estate dei tre sequestri, il 1981
Poco dopo il primo anniversario di Via Fracchia, nei primi giorni dell’aprile 1981, venne arrestato Mario Moretti.
Era l’ennesimo colpo pesante alle BR, al nucleo storico sempre più ridotto.
Alla fine dello stesso mese il gruppo terroristico raggiunse Napoli, dove rapì Ciro Cirillo, assessore regionale alla ricostruzione post terremoto.
Un mese più tardi un’altra colonna brigatista attaccò nel nord est, rapendo il direttore del Petrolchimico di Porto Marghera Giuseppe Taliercio.
A questi due sequestri si aggiunse, a Milano, quello del dirigente Alfa Romeo Renzo Sandrucci. In questo caso l’azione era gestita dalla colonna “Walter Alasia”, già in rotta di collisione ed espulsa dall’organizzazione principale.
Tre sequestri in contemporanea erano un sintomo non sottovalutabile.
La comunione di intenti e l’attenzione organizzativa erano state alla base delle Brigate Rosse, che ora sembravano cani sciolti. Più faglie minavano la compattezza delle BR dei primi anni ottanta, un periodo stava finendo.
I tre sequestri della primavera 1981 terminarono tutti nel mese di luglio.
Il 5 luglio, dopo oltre quaranta giorni di prigionia, il corpo senza vita di Giuseppe Taliercio fu ritrovato nel bagagliaio di una FIAT 128. Ucciso a colpi di pistola e restituito alla famiglia nello stesso modo in cui era avvenuto con Aldo Moro due anni prima. La sorte di Sandrucci e Cirillo furono diverse. Il 23 luglio il primo, e il giorno seguente il secondo, vennero liberati e tornarono alle proprie famiglie vivi.
Una discussione puntuale merita la vicenda Cirillo. Consigliere regionale Democristiano, dietro alla sua liberazione restano poco chiari alcuni dettagli. Ha però trovato conferma la teoria di una trattativa per giungere a un accordo, trattativa che potrebbe aver coinvolto anche Camorra e Servizi Segreti.
La linea della fermezza, tanto cara ai tempi di Aldo Moro, fu meno rigida davanti al rapimento di Ciro Cirillo.
Colpire per vendetta, il rapimento di Roberto Peci
L’irruzione di via Fracchia aveva aperto nuovi problemi all’interno delle Brigate Rosse.
Non era solo il dolore, umano e politico, della morte dei compagni, c’era soprattutto la consapevolezza della delazione.
Patrizio Peci, il collaboratore.
Patrizio Peci, l’infame.
Se tre sequestri in contemporanea erano un peso e un problema, la fine della primavera 1981 non portò con sé un cambiamento. Anzi, tra giugno e luglio, quando i casi Cirillo, Taliercio e Sandrucci già erano in svolgimento, un’altra azione impegnò i terroristi. Sulla costa est dello stivale, nelle Marche, l’azione di Peci andava vendicata.
Impossibilitati a colpirlo in carcere, dove restava in attesa del processo, e delle misure migliori garantite dal pentimento, fu scelta quindi un’altra strada. Le Brigate Rosse da sempre attente ai loro obiettivi, impegnate a colpire simboli e personalità scelte con un folle criterio, andarono oltre.
La vendetta contro Patrizio Peci doveva passare attraverso il fratello Roberto.
Il quarto sequestro che occupava le Brigate Rosse nell’estate 1981 aveva un sapore diverso.
Non c’era un movente politico, era il disfacimento interno che si riversava all’esterno.
La delazione che veniva da fuori, come quella che due anni prima era costata la vita a Guido Rossa, era una cosa.
La delazione interna, il pentimento, la collaborazione con la giustizia un’altra.
Le Brigate Rosse si erano trovate davanti a un fenomeno nuovo con Patrizio Peci. Una novità sintomatica di tempi che cambiavano anche per la giustizia dello Stato. Roberto Peci fu sequestrato e tenuto prigioniero per cinquantacinque giorni, esattamente come Aldo Moro. Nella calda estate italiana le BR lo processavano in luogo del fratello, messo a processo da un’autorità vera.
Il 3 agosto 1981, circa un anno dopo la strage di Bologna, Roberto Peci fu ucciso. Undici colpi di mitra in provincia di Roma, dov’era prigioniero.
La vendetta brigatista era compiuta.
Il nuovo millennio e le nuove BR
I fuochi del terrorismo, della rivoluzione, si spensero poco per volta.
Lasciarono il posto ai processi, alle discussioni del dopo, e al dolore delle vittime che diventava sempre più intimo che pubblico. Finirono gli anni ’80 e finì la Guerra Fredda, seguita da Mani Pulite e da un mondo che cambiava.
La Democrazia Cristiana, il PCI, la lotta armata, iniziarono ad essere concetti antichi, passati.
Il terrorismo intero lasciava spazio a quello estero, alla paura dell’Undici Settembre.
Ed è a cavallo della data che cambiò il mondo occidentale che si fecero sentire le Nuove Brigate Rosse.
Il 20 Maggio 1999 l’Italia ebbe un momento di panico, come il riacuirsi di una malattia che sembrava sconfitta.
Massimo d’Antona, professore di diritto del lavoro e consulente dell’omonimo ministero, venne ucciso davanti casa sua con nove colpi di pistola. È il passato che torna, un’azione che sembra ferma a oltre vent’anni prima.
Tre anni più tardi, il 19 Marzo 2002, la storia si ripeté ancora in tutta la sua drammaticità.
Marco Biagi, giuslavorista come d’Antona, cadde sulla vita del ritorno a casa, colpito dalla stessa arma usata per il collega. Le Nuove Brigate Rosse rivendicano l’omicidio con un lungo comunicato che viene inviato per mail ad agenzie e quotidiani. Niente più buste lasciate sulle cabine telefoniche, niente più chiamate dai telefoni pubblici.
Gli ideali del passato, gli strumenti del presente. Forse un mix letale per chi si voleva erede di un’organizzazione ormai definibile antica, superata.
Certo, il male restava.
L’Italia del duemila era l’Italia dei figli delle vittime ormai cresciuti, e dei feriti sopravvissuti che invecchiavano.
Ma non era più l’Italia di una rivoluzione mancata.
A vent’anni dall’omicidio Biagi, ogni tanto, in qualche file o documento stampato, la stella a cinque punte appare ancora.
Bisogna vigilare ed educare per proteggere il futuro.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Bibliografia
Guido Rossa mio padre – Sabina Rossa, Giovanni Fasanella, Biblioteca Universale Rizzoli
Il Brigatista e l’operaio – Giovanni Bianconi, Einaudi
Brigate rosse. Una storia italiana – Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda a Mario Moretti, Mondadori.
Figli della notte – Giovanni Bianconi, Dalai editore
16 Marzo 1978 – Giovanni Bianconi, Editori LaTerza
Un’azalea in Via Fani – Angelo Picariello, Ed. San Paolo
Il caso Moro e la prima Repubblica – Walter Veltroni, ed . Solferino
La notte della Repubblica – Sergio Zavoli, Mondadori