Il potere della narrazione in psicologia
Prima ancora della nascita della psicologia, la narrazione è stata un elemento fondamentale per il suo affermarsi come disciplina e per la sua evoluzione. La narrazione è stata qualcosa di intrinseco all’esperienza umana, già gli antichi scrivevano delle loro memorie ma non dimentichiamo degli svariati romanzi autobiografici presenti nella letteratura internazionale.
Le lettere di Jacopo Ortis, l’Ulisse di James Joyce affrontano tutti temi analoghi alla psicologia e non è un caso che si collochino nello stesso periodo storico in cui Freud ha permesso il passaggio dalla filosofia alla psicologia. Del resto, cos’è la stessa filosofia se non una ricerca dell’essere?
La narrazione come metodo culturale
In realtà la narrazione pone le sue più profonde radici nei popoli antichi e nei loro racconti. Siamo ancora testimoni di questo fenomeno grazie alle storie che possiamo ascoltare dai nonni, dalle generazioni precedenti alle nostre. Tante storie, credenze sono giunte ai giorni nostri grazie il tramandare di questi racconti.
La creazione di storie diventava necessaria per le popolazioni antiche dal momento che la realtà che essi vivevano non era del tutto comprensibile, era frammentata e si tentava di darle un senso, di costruirla attraverso la generazione di storie.
Nel corso del tempo, la narrazione è stata studiata come metodo per conoscere sé stessi tuttavia alcuni autori, tra cui Bruner, hanno sempre sottolineato il valore della narrazione come strumento per conoscere sé stessi, ma anche gli altri e per definire il contesto in cui viviamo. Attraverso la narrazione, e la creazione di storie costruiamo il contesto culturale condiviso con gli altri che ne fanno parte.
In questo senso, il ruolo della narrazione si può ascrivere a tre categorie: costruzione della propria identità, costruzione di senso e costruzione della realtà.
Il rapporto con le discipline filosofiche e letterarie
Le domande che tormentavano gli antichi ben presto si estesero ai filosofi, che a loro volta diedero origine ai simposi. Questi potrebbero essere considerati una forma di narrazione in quanto creavano una serie di connessioni, di spiegazioni che inevitabilmente portavano colui che scriveva a mettere qualcosa di sé, nel testo.
Inoltre, continuavano a rispondere ad uno degli scopi della narrazione: la costruzione di senso. Questo mostra ancora una volta il forte legame tra le discipline filosofiche e i temi della psicologia, primo fra tutti la necessità di dare un senso a quello che ci succede, anche ciò che ad un primo sguardo ci sembra inspiegabile.
Ciò accade anche in letteratura, non solo nei già citati romanzi autobiografici o di diari ma anche in svariate opere precedenti alla nascita della psicologia in cui gli autori creavano storie e personaggi sulla base di ciò che accadeva loro, oppure quando costruivano personaggi cercando di attribuire loro le caratteristiche che avrebbero desiderato avere nella loro vita reale.
In questo senso, la narrazione risponde ad un secondo scopo, quello di costruzione e conferma della propria identità.
La narrazione in psicologia
In psicologia il tema della narrazione costituisce il fulcro fondamentale della terapia. Essa permette di entrare in contatto con noi stessi, di organizzare e di elaborare al meglio le nostre esperienze.
Nella più tradizionale psicoterapia, la narrazione avveniva prevalentemente per via orale. La narrazione orale permette il flusso del discorso.
Favorisce inoltre l’esperienza delle libere associazioni, ampiamente studiata da Freud. Parlando, narrando infatti a mano a mano più aspetti vengono alla mente, si generano delle associazioni e così facendo si verifica una rielaborazione del fenomeno raccontato.
I nostri stessi sogni, rimanendo in tema del lavoro di Freud, sono narrazioni e nascondono dei significati. Riuscire a ricostruire questi significati è un fenomeno in parte spontaneo, in parte che necessita una forte consapevolezza. Qui vi è l’aiuto e il supporto del professionista psicologo.
Nel corso del tempo, si sono diffusi anche metodi di narrazione scritta, ugualmente utili in terapia. Nella narrazione scritta si generano le stesse dinamiche delle libere associazioni presenti nella classica forma orale della terapia.
Un metodo recente di narrazione scritta è stato messo a punto da James Pennebaker.
Il metodo Pennebaker
Nel suo libro “Il potere della scrittura”, il sociologo Pennebaker sostiene che scrivere di un evento particolarmente rilevante o che ci tormenta abbia un notevole effetto sul benessere di chi scrive. In questo testo, Pennebaker espone i risultati di una serie di esperimenti che aveva condotto insieme al suo team.
In particolare, questi riguardavano l’uso della scrittura espressiva: un metodo che chiedeva ai partecipanti di impegnarsi a scrivere ogni giorno per 3-4 giorni, e per la durata di 15-20 minuti, di un evento traumatico. L’idea alla base di questa tecnica è che scrivere frequentemente lo stesso evento richiede una rielaborazione e di conseguenza un cambio di prospettiva sullo stesso, fino ad allontanarsi completamente.
I risultati degli esperimenti furono incoraggianti: non migliorò solo il benessere psichico dei partecipanti, ma in molti casi anche la salute fisica e i sintomi di ansia, depressione e diversi sintomi post-traumatici (quando presenti) furono ridotti.
In questo caso, la narrazione favorirebbe quello che Pennebaker definisce come “Esperienza del letting go”: si tratta di un’esperienza simile alla catarsi o alla più moderna consapevolezza e indica un rilascio delle emozioni associate all’evento, e non dell’esperienza dell’evento in sé.
Pennebaker aveva fondato i suoi studi nell’ambito della medicina narrativa, un approccio molto attuale che richiede una co-costruzione dell’esperienza di malattia e della successiva cura da parte del medico e del paziente. Soprattutto con il diffondersi di sempre più patologie croniche, l’attenzione a come il paziente concepisce la sua nuova condizione è fondamentale.
Il potere della narrazione in questi casi, ci permette di analizzare le esperienze di chi si ritrova a vivere un’esperienza unica o rara e aiuta a costruire interventi fatti sempre più su misura dei pazienti.
La narrazione nella pratica
Il metodo della narrazione, sia in forma orale sia in forma scritta, è uno strumento molto vantaggioso sia dal punto di vista clinico che nella ricerca psicologica, in particolare se si vanno a studiare fenomeni poco conosciuti. Questo perché apre una finestra su un mondo fenomenologico e interno dell’altro, che è in grado di darci molte informazioni sui vissuti dell’individuo. Inoltre, la narrazione è ampiamente usata nella ricerca sugli adolescenti visto che essi si ritrovano in una fase della loro vita dove stanno costruendo la loro identità.
Data la sua natura, la narrazione è largamente usata nell’ambito clinico in cui si è dimostrata efficace nel trattamento di diverse condizioni. In particolare, vi è un ampio impiego di questa tecnica nell’ambito delle patologie croniche in cui si cerca di aiutare il paziente ad accettare la malattia e, se possibile, una nuova condizione. Le proprietà della narrazione permettono di elaborare emozioni e vissuti che possono trovarsi ad uno stato più profondo della coscienza.
Ma la narrazione non ha soltanto applicazioni in ambito clinico. Infatti, come detto è un metodo ampiamente usato nella ricerca, anche in settori lavorativi e organizzativi ad esempio nelle ricerche di mercato o per valutare la soddisfazione dei lavoratori nelle grandi aziende. In particolare, di recente la narrazione ha acquisito un ruolo importante nel dar voce alle categorie più marginali, meno viste e che possono costituire una minoranza nei luoghi di lavoro: come le donne.
Chiara Manna per Questione Civile
Sitografia
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www.stateofmind.it