La mobilità di linguaggi figurativi in Europa medievale

L’importanza del cantiere di Assisi e le botteghe orafe senesi per la diffusione del linguaggio
gotico in Italia e la sua mobilità

Il Medioevo era davvero così oscuro, terribile e immobile? In realtà dovremmo sciogliere tali pregiudizi. L’età di mezzo fu periodo florido per le scoperte, per l’arte e la letteratura e, soprattutto, dobbiamo immaginare che tutto ciò “correva”. Gli artisti, i poeti, gli studiosi si muovevano di regione in regione. Ergo: le loro idee e la loro arte viaggiava con loro. La mobilità era ciò che finiva per dominare questo periodo. Non bisogna dimenticare, infatti, il potere degli imperatori: spostandosi portavano con loro il proprio entourage: è così che Nicola Pisano “de Apulia”, con il suo rivoluzionario linguaggio artistico, giunse in toscana al seguito di Federico II di Svevia.

La mobilità: un concetto fondamentale

È grazie al poter viaggiare che molti artisti, lavorando di bottega in bottega, potevano acquisire nuovi linguaggi artistici e diffondere i propri; in un rapporto di osmosi.

In questa visione “mobile” del mondo medioevale, non bisogna dimenticare il grande ruolo che ebbero, nell’ottica della diffusione di linguaggi artistici, i manufatti di piccole dimensioni; basti pensare agli altaroli, calici, tavolette e così via.

È in questo contesto che potremmo intravedere uno dei tramiti di diffusione in Italia del linguaggio gotico. Le stoffe inglesi ricamate in opus anglicanum erano famose e diffuse in tutta Europa, e in Italia se ne conservano esempi magnifici[1] come il piviale della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, donato da papa Niccolò IV nel 1288.

L’importanza dei commerci e le fiere della Champagne

Certi oggetti d’arte potevano anche essere commerciati e i mercanti senesi, che frequentavano assiduamente le fiere della Champagne, potevano ritornare in patria con piccoli dipinti, avori squisitamente intagliati, libri miniati, preziosi smalti e così via[2].

Mobilità: il ruolo fondamentale della Basilica di Assisi

Come sottolineò già Luciano Bellosi a suo tempo, vi fu un edificio nella nostra Penisola che svolse un ruolo fondamentale: diffondere il linguaggio gotico d’oltralpe in Italia. Parliamo della Basilica di San Francesco ad Assisi, centro dal quale si irradiano tali linguaggi[3].

La Basilica è da intendersi non solo come una semplice chiesa, ma come una “chiesa europea”, la chiesa-madre di un ordine, ormai, internazionale che vedeva flussi ininterrotti di pellegrini, non solo dall’Italia bensì dall’Europa intera, ogni giorno.

Il gotico francese della Basilica

La porzione superiore aveva già accolto, da un punto di vista architettonico, un linguaggio gotico simile a quello diffuso nell’Ile-de-France. Tale linguaggio venne adottato anche per la realizzazione delle vetrate, opera di artisti gotici «oltralpini».[4]

Questa linea di tendenza raggiunse il suo apice con l’inizio della decorazione ad affresco della stessa Basilica superiore, nella parete alta del transetto destro. Il fatto che il resto della decorazione sia costituito da cicli pittorici come quelli di Cimabue e di Giotto (e bottega), che segnano le tappe fondamentali nella storia dell’arte italiana, ha relegato in posizione marginale il problema degli inizi di questa decorazione e, soprattutto, il significato che può aver avuto l’attività delle maestranze gotiche impegnate in essa.

Gli studi circa la mobilità

Lo rilevò già l’Aubert nel 1907, successivamente bisognerà aspettare qualche rapida notazione del Brandi nel 1951 per trovare qualche sottolineatura su tali aspetti da parte dell’Oertel.[5]

Carlo Volpe ebbe il merito di studiare più attentamente queste pitture, mettendole in rapporto con l’arte inglese del secondo Duecento.[6]

Irene Hueck sottolineò la collaborazione di un pittore romano[7], le cui caratteristiche indirizzavano verso lo stile di Jacopo Torriti[8]. Ma fu soprattutto Hans Belting, nel suo studio circa le pitture di Assisi, a considerare questi affreschi sotto le molteplici angolazioni con cui si presentano, spingendosi tuttavia solo fino alle soglie del discorso sull’importanza che essi devono aver avuto non solo per il seguito della decorazione della Basilica superiore, ma anche per il grande rinnovamento della pittura italiana di fine Duecento.

Che ruolo ebbero le Storie di San Francesco nel definire la mobilità figurativa?

Se è vero che il ciclo con le Storie è la risposta più mediata alle nuove esigenze di illusionismo prospettico-architettonico suggerite dalle pitture nel transetto nord – di cui parlavamo prima – ci si renderà conto di quale spinta essi abbiano rappresentato in direzione di quella concezione della pittura come rappresentazione dello spazio, caratteristica essenziale della pittura italiana della fine del Duecento al pieno Cinquecento.

In questo caso gli “stimoli gotici” sono da intendersi in direzione di una nuova funzione dell’affresco, piuttosto che in direzione del nuovo linguaggio figurativo. Con le architetture dipinte che completano ed integrano l’architettura reale – trifori, parete di fondo, transetti – si fa strada la nuova concezione dell’affresco come finta articolazione tridimensionale di una parete.

Le Storie di San Francesco rappresentano, perciò, una risposta geniale a quelle sollecitazioni; tuttavia una risposta che rigetta come estraneo ed alieno il linguaggio figurativo e i suoi caratteri di stile. Perfino lo stile architettonico delle strutture dipinte dalle botteghe, che il Belting metteva in rapporto con le architetture dell’ Ile-de-France, venne rifiutato nelle Storie assisiati. Qui invece venne accolto il suggerimento di rompere con la tradizionali formule architettoniche di origine bizantina per accogliere il linguaggio contemporaneo.

Bisogna, in ultimo, intendere la Basilica francescana come l’impresa artistica più importante dell’Italia intera dove confluirono artisti da tutta Europa.

Rapporto osmotico tra arti minori e arti maggiori nel segno della mobilità

Partendo dal presupposto che la Basilica fu un centro propulsore per l’arte gotica europea, bisogna scardinare quel pregiudizio protrattosi per secoli di una divisione fra “arti maggiori” e “arti minori”. Nel medioevo, infatti, non esisteva tale divisione e ciò si può vedere, nel nostro caso, nella ripresa di certe tecniche o certe iconografie che i pittori assimilarono direttamente dalle botteghe orafe.

La mobilità alle corti inglesi, francesi e attività orafa senese

Come ha sottolineato Bellosi[9], è possibile segnalare a riguardo una circolazione di cultura figurativa che lega strettamente gli affreschi di Assisi, la pittura e la miniatura inglese e francese di fine Duecento e gli smalti traslucidi senesi.

Ma soprattutto mi sembra ormai assodato il fatto che le pitture degli artisti oltremontani di Assisi abbiano costituito il più importante tramite per la diffusione del linguaggio gotico d’oltralpe nell’ambito artistico senese. Essi non erano come piccoli oggetti d’arte che arrivavano sporadicamente, gli affreschi di Assisi dei pittori oltremontani erano stati realizzati nella chiesa-madre di un ordine internazionale che, come abbiamo detto poc’anzi, radunava un infinito numero di pellegrini ed artisti provenienti da tutta Europa. Tutto ciò fece di Assisi la cittadella gotica d’Italia.

L’attività del giovane Simone Martini e la mobilità

Quando, nel primo decennio del Trecento, il giovane Martini comparve, la temperie gotica senese era fortemente cresciuta rispetto ai tempi di Duccio, e questa crescita si deve all’attività delle botteghe orafe e alla nuova tecnica dello smalto traslucido. La loro disponibilità nei confronti di un linguaggio figurativo gotico li mise in una posizione d’avanguardia anche nei confronti della pittura di Duccio; e il Martini, nello sforzo di rinnovamento, tenne sicuramente presenti i grandi risultati raggiunti dagli orafi senesi.

Il rapporto tra Simone Martini e l’oreficeria senese

I rapporti tra di Simone Martini con le tecniche orafe emergono soprattutto nell’invenzione della cosiddetta “punzonatura”, che sembra attribuirsi a lui.[10] Egli utilizzò tale tecnica sia nelle pitture murali, sia nei dipinti su tavola. Per quanto riguarda l’affresco, tale idea sembra prendere vita nella Maestà di Palazzo Pubblico a Siena,

dove svariate forme di punzoni in diverse combinazioni fra loro hanno una utilizzazione crescente dall’alto verso il basso, ovvero via via che si procedeva con la realizzazione dell’opera. Così, le aureole nelle figure della fascia in alto sono semplicemente rilevate e raggiate, mentre quelle della figure in basso sono arricchite di tali meravigliose stampigliature che s’imprimono sull’intonaco come un sigillo sulla ceralacca. Perfino i fondi dorati sono completamente animati da brulicanti fantasie di punzoni, proprio come la granatura realizzata nello stesso tempo dagli orafi.

Greta Cingolani per Questione Civile

Bibliografia

La pittura dell’Italia centrale nell’età gotica, I maestri del colore, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1968

La pittura Tardogotica in Toscana, I Maestri del colore, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1968

Buffalmacco e il Trionfo della morte, Einaudi Editore, Torino, 1974

Il Museo dello Spedale degli innocenti a Firenze, a cura di L. Bellosi, Electa, Milano, 1977

Il pittore oltremontano di Assisi, Siena, 1998

Il Maestro del Sancta Sanctorum, in Scritti in onore di Giuliano Briganti, Longanesi, Milano, 1990

Il paesaggio nella pittura senese del Trecento, Edifir, Firenze, 1991


[1] Sulla diffusione di stoffe ricamate inglesi si veda A.G.I. CHRISTIE, English Mediaeval Embroidery, Oxford, 1938; M. RICKERT, Painting in Britain, The Middle Ages, Penguin Books, 1954. Per il piviale di Ascoli Piceno si veda W. R. LETHABY, English Primitives: The Ascoli Cope and London Artists, in “The Burlington Magazine”, LIV, 1929.

[2] Rispetto alla circolazione e diffusione di oggetti e linguaggi artistici si veda B. TOSATTI SOLDANO, Miniatura e vetrate senesi dal secolo XIII, Genova, 1978.

[3] L. BELLOSI, Il pittore oltremontano di Assisi. Il gotico a Siena e la formazione di Simone Martini, 2004.

[4] G. MARCHINI, Corpus Vitrearum Medii Aevi. Italia, I Umbria, Roma, 1973

[5] A. AUBERT, Die Malerische Dekoration der San Francesco in Assisi. Ein Beitrag zur Losung der Cimabue-Frage, Leipzig, 1907; C. BRANDI, Duccio, Firenze, 1951; R. OERTEL, Die Fruhzeit der italienischen Malerei, 1953.

[6] AA.VV., Giotto e i giotteschi in Assisi, Roma. 1969, pp. 15-59. Il Volpa parla di un grande pittore nordico che, accompagnato da alcuni aiuti, dipinse nel transetto settentrionale della chiesa superiore della brillanti pitture.

[7] I. HUECK, Der Maler der Apostelszenen im Atrium von Alt-St. Peter, 1969-70.

[8] Si veda M. BOSKOVITS, Gli affreschi della Sala dei Notai di Perugia e la pittura in Umbria alla fine del XIII secolo, in Bollettino d’arte, VI, LXVI, 1981, pp. 1-41, L. BELLOSI, La decorazione della Basilica Superiore di Assisi e la pittura romana di fine Duecento, in Roma 1300, Roma, 1983, pp. 127-33.

[9] L. BELLOSI, op. cit. p. 11.

[10] È quanto emerge dalle recenti ricerche sulla decorazione a punzone ad opera di studiosi come il Frinta, lo Skaug e il Polzer. M.S. FRINTA, 1976; E. SKAUG, 1981; J. POLZER, 1981.

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