Pompei: l’inferno in cielo 

Pompei: la più grande tragedia dell’antichità in tre giorni

«Una nube si formava […], il cui aspetto e la cui forma nessun albero avrebbe meglio espresso di un pino. Giacché, protesasi verso l’alto come un altissimo tronco, si allargava poi a guisa di rami; perché, ritengo, sollevata dapprima sul nascere da una corrente d’aria e poi abbandonata a se stessa per il cessare di quella o cedendo al proprio peso, si allargava pigramente. A tratti bianca a tratti sporca e chiazzata, a cagione del terriccio o della cenere che trasportava.»

Con queste parole Plinio il Giovane descrive la terribile colonna eruttiva che in pochi minuti il 24 ottobre del 79 d.C. si leva dal Vesuvio, pronta ad abbattersi sul territorio circostante. L’eruzione era avvenuta qualche minuto prima, anticipata da piccole scosse di terremoto e annunciata da un fragoroso “bang” che aveva abbattuto il muro del suono per centinaia di chilometri. 

A Pompei qualcuno vorrebbe offrire dei sacrifici per placare la presunta ira del dio Vulcano; qualcun altro non reputa necessario ciò, perché si tratta solo di un innocuo sfogo passeggero. 

All’improvviso scompare la luce. La colonna eruttiva si è espansa e ha oscurato il sole; migliaia di persone, dopo quel giorno, non lo avrebbero più rivisto.

Pompei: una notte di morte

I flussi d’aria della colonna eruttiva diventano sempre meno densi man mano che si sale, favorendo un’apertura ad ombrello della colonna e il rilascio di piccole pietre, schegge di magma solidificato e pomici. Il vero problema non sono le dimensioni del materiale che precipita, ma l’altitudine dalla quale si rovesciano sulla terra.

Inizialmente su Pompei si abbattono una miriade di piccole pomici, sassolini leggeri che rimbalzano al suolo crepitando. Poco dopo il rumore cambia e si fa più minaccioso: sassi e pietre di dimensioni sempre maggiori prendono il posto delle piccole pomici e iniziano a mietere le prime vittime. 

Intorno alla colonna eruttiva iniziano le prime tempeste di fulmini, imperversano le piogge acide prodotte dalla grande quantità di vapore che irrompe all’improvviso nell’atmosfera e i venti impetuosi piegano la colonna direzionandola verso Pompei: se non vi fossero stati questi venti il materiale vulcanico si sarebbe riversato probabilmente in modo radiale e omogeneo; la sorte volle che, invece, la tragedia interessasse solo una direzione e un’area ben precisa. 

Il vero dramma, però, sono le finissime ceneri che iniziano a ricoprire Pompei come la neve ricopre le montagne in inverno. Respirare è diventato quasi impossibile, poiché le ceneri nascondono microscopici e taglienti frammenti vulcanici che feriscono le vie aeree. 

Gli occhi bruciano, senza riuscire a vedere il paesaggio intorno: Pompei scompare agli occhi dei suoi abitanti e delle zone circostanti. 

Pompei in trappola

Molti studiosi si sono domandati nel corso degli anni se i pompeiani si fossero potuti salvare o meno. Dalla ricostruzione degli eventi siamo in grado di affermare che se la popolazione avesse scelto la fuga entro le prime due ore dall’inizio dell’eruzione, avrebbe avuto una concreta possibilità di salvarsi. La differenza tra la vita e la morte, in questo racconto, risiede in dettagli perfino banali: la maggior parte degli abitanti di Pompei perse tempo prezioso per cercare i propri cari e stabilire con loro cosa fare; altri ancora pensarono di recarsi presso i templi a pregare gli dei. 

La situazione precipita nel momento in cui in città avvengono i primi crolli degli edifici sotto il peso delle ceneri accumulate e dei fitti strati di pomici e pietre. Solo a quel punto gli abitanti comprendono che stanno andando incontro a morte certa: occorre scappare.

La fuga disperata di tutti coloro che rimasero in città si arresta poco fuori le mura di Pompei, dove gli archeologi hanno rinvenuto centinaia di scheletri accalcati. 

La morte di pompei

«Frattanto dal monte Vesuvius in parecchi punti risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi, il cui chiarore e la cui luce erano resi più vivi dalle tenebre notturne.»

All’improvviso la colonna eruttiva collassa: è l’inizio della fine. Il collasso è dovuto alla fuoriuscita di materiale sempre più denso e pesante che appesantiscono la colonna e le impediscono di spingersi verso l’alto. Questo materiale inizia a scivolare silenziosamente lungo i pendii del Vesuvio, creando letali valanghe ustionanti che presto sommergeranno il territorio limitrofo ad una velocità di circa 100 km/h e con temperature di circa 500-600 °C. 

Ad attraversare Pompei impiega circa 2-3 secondi, ma non ha la capacità di travolgere e trascinare ciò che incontra: gli oggetti, le case e gli abitanti vengono semplicemente sommersi, rimanendo nello stesso luogo in cui dopo oltre duemila anni saranno rinvenuti. 

Chi era corso sulle spiagge per fuggire via mare è stato bruciato vivo; chi era rimasto in città aveva trovato la morte per shock termico: sono stati rinvenuti crani anneriti che testimoniano il processo di cottura del cervello e della conseguente esplosione del cranio. 

Un’eterna pompei

Molti turisti visitando gli scavi archeologici di Pompei restano stupiti dalle posizioni in cui i corpi sono stati rinvenuti, poiché una volta persi i sensi per asfissia si dovrebbe semplicemente cadere esanimi. I corpi dei pompeiani, invece, sembrano avere ancora i muscoli in tensione: risulta evidente che queste persone siano state travolte dalla furia omicida del Vesuvio mentre ancora, incredibilmente, erano vive e lottavano per restarlo. 

Le finissime ceneri hanno poi compattato e sigillato il tutto, un po’ come le sabbia mobili che attuano una fortissima presa e pressione. 

Plinio il Giovane ci informa del fatto che ci vollero ben tre giorni prima che la situazione si stabilizzasse e si potesse nuovamente pensare di mettere piede nel territorio di Pompei. 

Il Vesuvio aveva liberato oltre dieci miliardi di tonnellate di magma e centinaia di milioni di tonnellate di vapori e di altri gas che avvolgevano silenziosamente la terra. Ignoriamo ancora oggi il numero esatto delle vittime, poiché gli scavi sono ancora in corso e parte dell’antico sito di Pompei è oggi abitato. 

La vera data dell’eruzione

Erroneamente ancora oggi molti reputano che l’eruzione sia avvenuta il 24 agosto del 79 d.C., ma da nuovi e recenti studi sembra che la data esatta sia il 24 ottobre del 79 d.C.. 

In effetti presso Pompei sono stati rinvenuti intatti diversi alimenti tipici della stagione autunnale, come le noci e i fichi. L’errore di datazione sembra da attribuire ai monaci amanuensi medievali, che per secoli avvolti nel silenzio dei monasteri hanno ricopiato i testi antichi per impedirne la dispersione. Visionando la prima copia realizzata della lettera di Plinio il Giovane in cui è descritta l’eruzione del Vesuvio, è possibile leggere chiaramente: “[…] Kl. Nove(m)bris […]”. 

Dunque, la lettera non è datata alle calende di settembre, ma alle calende di novembre. Contando poi nove giorni indietro – poiché Plinio il Giovane colloca temporalmente l’eruzione nove giorni prima della stesura della lettera in questione – la data corretta dell’eruzione risulta essere il 24 ottobre del 79 d.C.. 

Maria Rita Gigliottino per Questione Civile

Bibliografia:

Alberto Angela, I tre giorni di Pompei. 23-25 ottobre 79 d.C.: ora per ora, la più grande tragedia dell’antichità, Milano, BUR Rizzoli, 2016.

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