Robert Eggers è il protagonista del secondo articolo dedicato al cinema espressionista contemporaneo: un regista visionario, amante della mitologica orrorifica e delle atmosfere seducentemente macabre
L’opera prima del regista americano Robert Eggers sfiora la perfezione, a detta della critica. Non a caso, The Witch (2015) è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival, dove ha vinto il premio al miglior regista. Un titolo classico, quasi banale, per una pellicola accattivante, intensa, di spessore, che riesce a sorprendere e a lasciare il segno con poco.
Anche in questo caso, come Refn, Eggers compie un’operazione delicata, minuziosa e affatto scontata nel modellare l’estetica del film: un’atmosfera conturbante e onirica trova alleanze preziose nella perfezione della fotografia e nella riproduzione di scenari cupi. In The Witch predominano la luce delle candele e il cielo plumbeo, sempre sulle gradazioni del color seppia e una saturazione ridotta al minimo. Alcune sequenze sono vere e proprie opere caravaggesche, un elemento che ritroveremo in maniera costante in tutti i lungometraggi di Eggers.
Eppure, l’elemento che salta più all’occhio nel film d’esordio del regista, è l’uso intelligente e conturbante della visione. Nella pellicola, le visioni (della protagonista e di molti altri personaggi) ricoprono un ruolo fondamentale nel trattare temi che da sempre affascinano e spaventano l’uomo: la frantumazione dell’io, le false apparenze, le colpe dei padri che ricadono sui figli, la divisione netta tra Bene e Male, Dio e Diavolo, Noi e Voi.
Il film si ispira a vecchi racconti di stregoneria e alcuni dialoghi sono fedeli a quelli ritrovati in alcuni testi antichi. Tale caratteristica rende possibile un evidente accostamento con il più recente e meno noto Gretel e Hansel (2020) di Oz Perkins. The Witch è anche pieno di simboli propri dell’iconografia classica, che rappresenta o rimanda a streghe e diavoli, inseriti in un contesto suggestionante e mai banale.
Il film più “allucinante” di Eggers: l’orrore in bianco e nero di The Lighthouse
Con il suo secondo lungometraggio, Eggers raggiunge l’apice della sua affermazione creativa e stilistica, grazie ad un impressionante salto qualitativo. Candidato agli Oscar, a Cannes e ai BAFTA, The Lighthouse (2019), horror d’autore in bianco e nero, è una straordinaria esperienza cinefila adatta ai palati più raffinati. Colmo di suggestioni prese dalle leggende marinaresche, l’opera è ricca di spunti di riflessione ed eccelle nel creare un evocativo crescendo di paranoia e tensione.
Come in The Witch, Eggers inserisce elementi fantastici in una messinscena incredibilmente realistica, facendo scaturire, da tale contrasto, la forte risposta emotiva dello spettatore. Colori macabri sulla tavolozza del regista, usati per traslare su un piano altro un contesto storicamente attendibile, sono elementi iconici della mitologia marina: sirene, divinità marittime, viscidi tentacoli, anime tormentate con sembianze di animali e spettri.
«Non può succedere niente di buono quando due uomini sono intrappolati da soli in un fallo gigante»
– Robert Eggers su The Lighthouse
Un omaggio alla grande letteratura e alla mitologia classica
The Lighthouse è un film sfuggente, allucinante, un caleidoscopio di simboli, citazioni e archetipi. L’idea di ambientare una ghost story in un faro ha dato modo al regista di creare un’estetica molto particolare: in bianco e nero, ostile, sporca, arrugginita, proprio come un racconto di Edgar Allan Poe. Non a caso, vi è un racconto di Poe di un paio di pagine, sotto forma di diario, noto con il titolo postumo di The Light-House: un uomo alla ricerca di solitudine scrive di essersi stabilito in un faro dalla struttura fatiscente. Degno di menzione è anche un ulteriore racconto del noto scrittore, Il Cuore Rivelatore.
La matrice letteraria dietro The Lighthouse continua con influenze persino più immediate. Una è quella del racconto breve Il Tempio di H.P. Lovecraft: alcuni marinai trovano una scultura d’avorio e impazziscono, finché l’unico superstite non cede al tremendo richiamo di una luce, proveniente dalle rovine di un tempio sommerso. Inoltre, vi sono ovvi collegamenti con le divinità tentacolari lovecraftiane e con il poema La Ballata del Vecchio Marinaio di Samuel Taylor Coleridge: l’uccisione di un albatro da parte di un lupo di mare rompe il patto tra uomo e natura, scatenando forze metafisiche quali spiriti, mostri marini e angeli.
The Lighthouse è un’esperienza visiva dalla dirompente forza iconografica. La famelica vocazione di Eggers nel terreno delle belle arti d’epoca, fagocita stimoli su stimoli. Il regista, difatti, replica esplicitamente diversi famosi dipinti: Ipnosi di Sascha Schneider (1904), ma anche la sirena e il suo doppelgänger in Le Sirene di Arnold Böcklin (1887) e Il postino Joseph Roulin di Van Gogh (1888). Per concludere con la carrellata di citazioni colte, The Lighthouse è anche una moderna rilettura del mito di Prometeo, come affermato dallo stesso Eggers.
La necessità di ancorare il fantastico al realismo
Con The Lighthouse Eggers si affida a una ricostruzione perfetta di costumi e ambientazioni del XIX secolo. Il regista arriva persino a far edificare dal nulla il faro e la casa del guardiano, in Canada, su una scogliera sferzata dalle impietose intemperie. L’effetto di realismo che appare allo spettatore è immediato: la troupe non ha avuto bisogno di ricreare artificialmente la pioggia e il vento incessanti, in quanto hanno davvero combattuto con esse. Persino i suoni del film somigliano alla realtà, dato che il perturbante tappeto di fiati e di archi destrutturati è costantemente scosso dall’assordante suono del nautofono.
Per concludere, ad avere un peso nello script non sono state solo le suggestioni letterarie di Poe, Lovecraft e Coleridge: The Lighthouse è tratto anche da una storia vera avvenuta a inizio XIX secolo. Difatti, nel 1801, a guardia del faro a largo della penisola di Marloes, vivevano due uomini noti per avere un rapporto burrascoso: Thomas Howell e Thomas Griffith. Dopo che Griffith morì in uno strano incidente, Howell, temette che, se si fosse liberato del corpo in mare, sarebbe stato accusato di omicidio.
A ciò, decise di chiudere la salma in una cassa da lui costruita, e di riporla all’aperto, tenuta ferma dalla recinzione che circondava il faro. Giorni dopo, forti venti iniziarono a far saltare le assi della bara improvvisata, e il braccio consumato del cadavere si protese verso l’esterno. Mosso ritmicamente dalle folate, iniziò per giorni a puntare verso la finestra di Howell, come ad accusarlo dell’accaduto.
Dopo mesi di solitudine, finì il periodo di guardia al faro, e i colleghi andarono a recuperare il sopravvissuto, trovandolo in preda a una follia insanabile. Fu da allora che in Inghilterra venne introdotta la regola di assegnare la guardia dei fari a gruppi di tre uomini, anziché di due.
Robert Eggers e il climax della simbologia mitologica e letteraria: The Northman
The Northman (2022) è l’ultimo lungometraggio di Eggers. Questa terza opera rappresenta un allontanamento dall’horror, padrone di tutti i film precedenti del regista. Nonostante ciò, le visioni ritornano e sono ancora più importanti e centrali in The Northman. Non a caso, all’inizio del film, è presente persino una scena rituale in cui il giovane protagonista partecipa ad un rito d’iniziazione onirico e visionario.
La storia segue le gesta di Amleth, un principe vichingo esiliato e ripudiato, in cerca di vendetta nei confronti dell’assassino del padre, e ossessionato dal proprio destino. Già da questa prima infarinatura di trama, si possono notare le palesi somiglianze con l’Amleto di Saxo e di Shakespeare. Eggers, in tal caso, si fa portatore della tendenza del cinema contemporaneo americano, di porre di nuovo la lente su uno story telling dalle tinte primordiali: che racconta la natura umana nel suo substrato più ancestrale, attraverso allegorie, archetipi, miti, racconti folkloristici, leggende pagane e cristiane o testi sacri. Una riappropriazione di un antico modo di parlare, scrivere e di guardare all’evoluzione dell’uomo dal punto di vista sociale e culturale.
The Northman è un film con una storia essenziale, più dei suoi precedenti, che si distacca da quell’ermetismo colto, seducente ed estremo. La pellicola manifesta una linea più chiara, in cui le ambiguità sono per lo più accessorie. Eggers sfoggia ancora le sue qualità tecniche, il suo cinema potentissimo improntato sullo scontro tra uomo e natura, sulla ferocia primordiale dell’estetica, sulla cura maniacale dei dettagli.
Con The Northman, il regista descrive una lotta tra il destino e l’uomo, in cui i due possono dialogare per trovare un punto d’incontro, moderno e comprensibile. La violenta, sanguinosa e spettacolare marcia funebre di un’era, che trova i suoi espedienti più importanti nei marchi sulla pelle, nelle visioni apocalittiche e negli scenari mozzafiato.
La bestialità elaborata da Robert Eggers
Il cinema di Robert Eggers è un cinema di attese, di momenti preparatori per un climax intensamente emotivo. Eggers è un maestro nel condurre lo spettatore ad essere attratto dal flusso sinuoso che culmina in una visione inaspettata e in grado di ripagare l’attesa. Le sue opere sono conturbanti, sconvolgenti, appaganti, capaci di raggiungere l’essenza stessa del cinema: mostrare qualcosa di lontano dalla realtà, ed al tempo stesso insito in un angolo mentale ed emotivo dello spettatore.
Una delle caratteristiche più distintive e più interessanti del cinema di Eggers, è la rappresentazione della bestialità. Nel ritrarre il lato più animalesco dell’individuo, sua musa per eccellenza è sicuramente Willem Dafoe. Difatti, il rinomato e camaleontico attore, sia in The Lighthouse che in The Northman, interpreta due ruoli che hanno in sé un lato mostruoso e aberrante. Eggers sfrutta la mimica facciale molto espressiva e notoriamente inquietante di Dafoe per creare le sue “bestie”, rendendole degli oracoli, dei profeti, quasi dèi in terra. A loro sono affidate parole profetiche, verità innegabili, rivelazioni ultraterrene, quasi come se solo lo stato brado di belva permetta all’uomo di avvicinarsi al mondo non sensibile. Come se, avvicinandosi alla terra (nel vero senso della parola), amalgamandosi ad essa, l’essere umano riesca ad unirsi a Dio, o per meglio dire, al Diavolo.
Per concludere, l’impatto estetico e la cifra stilistica di Eggers sono del tutto diversi da quelli di Refn, trattato in precedenza. Eppure, anche nel caso di Eggers, la conclusione di matrice verghiana è sempre la medesima: non esistono vinti, non esistono vincitori.
Alice Gaglio per Questione Civile
Bibliografia
- Robert Eggers, The Witch, Parts and Labour, 2015.
- Robert Eggers, The Lighthouse, RT Features, Parts & Labor, 2019.
- Robert Eggers, The Northman, Regency Enterprises, 2022.
Sitografia
- http://www.anonimacinefili.it/2016/08/29/witch-film-recensione-horror/
- http://www.anonimacinefili.it/2020/07/29/the-lighthouse-spiegazione-significato-finale-trama/