Vino nell’antichità: storia della bevanda più famosa

Usi e consumi del vino presso gli antichi Greci, Etruschi e Romani

Il vino ha rappresentato sin dai tempi antichi la bevanda per eccellenza. Nonostante con tutta probabilità non si tratti del primo alcolico inventato dall’uomo, ha rivestito da sempre un ruolo di primo piano sulle tavole. Il vino infatti ha rappresentato un fenomeno con numerose sfaccettature. Molto spesso con una coppa di vino tra le mani gli uomini hanno fatto filosofia, hanno preso decisioni importanti per la storia dell’umanità, il vino è stato poi protagonista di pagine di letteratura, è per il suo consumo che sono stati prodotti raffinati manufatti.

Cerchiamo, quindi, di analizzare la storia della sua produzione e il ruolo che ebbe nel mondo antico, concentrandoci in particolare sul mondo greco, etrusco e romano.

La nascita del vino

Non c’è attualmente accordo sulla data della scoperta del vino. Si parla di scoperta e non di invenzione, perché numerosi studiosi concordano nel ritenere che il primo “vino”, se così si può chiamare, deve essere nato quasi per caso, probabilmente come prodotto di una fermentazione naturale non programmata innescatasi in qualche contenitore in cui era stata dimenticata dell’uva raccolta per uso alimentare. L’area geografica in cui deve essersi sviluppato per la prima volta il vero e proprio processo di vinificazione è da ricercarsi nel Medio Oriente, nelle zone del Caucaso, dell’Anatolia e dell’attuale Iran.

In particolare in Georgia pare siano stati rinvenuti resti di epoca neolitica, cioè di circa 7000 anni fa, che testimoniano che in questa regione può essere stato prodotto il primo vino.

In Mesopotamia, invece, sono state riconosciute le prime tracce della vite euroasiatica utilizzata per la vinificazione, insieme alle tracce biologiche, databili a oltre 5000 anni, riferibili a un liquido riconoscibile come vino, rinvenute all’interno di orci per la conservazione del cibo.

La produzione nell’Occidente mediterraneo

Come ben noto il processo di vinificazione non è affatto un’operazione semplice, in quanto la vite selvatica da sola non basta a produrre il frutto adatto, ma necessita di essere domesticata. Artefice dell’esportazione in tutto il mondo antico occidentale di questa raffinata tecnologia fu, come spesso accadde anche per altre innovazioni culturali e tecnologiche, la Grecia. Già intorno alla fine del VII secolo a.C. fece conoscere ai popoli dell’Italia antica non solo il vino, ma anche e soprattutto il processo di coltivazione della vite e il metodo di creazione della famosa bevanda. Naturalmente il vino, proprio per il complesso meccanismo di produzione, rimase a lungo un prodotto riservato fondamentalmente alle classi nobili, che durante i propri banchetti facevano sfoggio di magnificenza con il suo consumo e tramite il vasellame apposito.

Il consumo del vino presso gli antichi

Il vino era trasportato e commercializzato per mezzo di grandi contenitori forniti di due anse, le anfore (il nome deriva dal greco amphì e phero che significa “portare da due parti”), prodotti non di particolare pregio, ma funzionali e pratici.

Anfore romane della fine del I secolo a.C.

Il consumo a banchetto del vino seguiva delle particolari regole e necessitava, invece, di un set appositamente concepito.

Il vino nel mondo antico non era mai consumato puro, anzi questa pratica era aborrita e ritenuta non degna di una persona di un certo rango in quanto portava con più facilità all’ebbrezza, anche se probabilmente era nata con l’intento di utilizzare con parsimonia un prodotto di alto costo.

La bevanda era allungata, quindi, in percentuali precise con acqua e aromatizzata con numerose spezie preziose, oltre che arricchita da prodotti quali il miele e il formaggio.

Per questo processo di preparazione erano necessari appositi e capienti contenitori, i crateri, dai quali i coppieri attingevano il vino tramite specie di mestoli, detti kyathoi, e lo versavano nelle coppe dei banchettanti, che a seconda della forma e della capienza avevano nomi diversi: abbiamo le profonde tazze chiamate skyphoi, o le coppe con grandi anse sormontanti dette kantharoi (tipiche del mondo etrusco), le coppe poco profonde chiamate kylikes e molte altre.

Skyphos attico a figure nere del Pittore di Teseo, 510-490 a.C. 

Oppure il vino poteva essere presente sulla mensa in apposite brocche, quali le oinochoai o le olpai, piuttosto che le lekythoi. La cosa ironica è che i nomi che gli archeologi utilizzano per i vasi, e non solo quelli per il vino, hanno quasi sempre etimologia greca, ma molte volte non sono i nomi utilizzati realmente dagli antichi, che preferivano piuttosto termini generici, senza distinguere in maniera tanto puntigliosa le diverse forme vascolari.

Il vino come fenomeno sociale

Abbiamo già detto che il vino non era unicamente un fenomeno “alimentare”, ma anche e soprattutto uno status symbol e un prodotto dalla forte connotazione sociale. Il suo consumo, infatti, non era riservato unicamente al banchetto, alle taverne e alle osterie, ma era previsto e regolamentato in maniera simbolica e rituale in diversi aspetti della vita.

Il più importante, dal punto di vista sociale, culturale e politico era sicuramente il simposio, una pratica nettamente distinta dal banchetto, anche da quello di rappresentanza. Il simposio nel mondo antico era una riunione di cittadini maschi che consumavano vino e ivi discutevano, almeno finché l’ebbrezza non prendeva il sopravvento, di questioni civili e culturali.

Non a caso uno dei dialoghi più famosi di Platone porta proprio il nome di questa riunione. Durante il simposio vi erano musicanti che suonavano, danze e giochi, il più famoso dei quali era detto kottabos, che consisteva nel lanciare l’ultima goccia di vino rimasta nella kylix tenendo la coppa per un’ansa, con l’intento di colpire un bersaglio.

Vino
Scena di kottabos su una delle lastre della Tomba del tuffatore di Paestum, 480-470 a.C.

Le donne non erano ammesse eccezion fatta per le etere (etairai in greco), sorta di prostitute di alto rango che intrattenevano gli ospiti con colte conversazioni, canti e danze.

Un discorso a parte merita il mondo etrusco, presso il quale il consumo del vino e la partecipazione ai banchetti e alle occasioni conviviali erano concessi anche alle donne di rango. Questo era un fenomeno che faceva aborrire Greci e Romani e che venne utilizzato in diverse occasioni di scontro politico come argomento di denigrazione da parte di questi ultimi nei confronti degli Etruschi. Lungi dal significare una situazione di parità di genere, che sarebbe quantomeno anacronistico ipotizzare, è comunque una delle diverse situazioni in cui emerge quanto il mondo etrusco fosse comunque molto meno chiuso nei confronti della partecipazione femminile alla vita attiva della comunità.

Vino e religione

Un ruolo importantissimo era ricoperto dal vino anche in ambito religioso. Si potrebbe scrivere molto riguardo alle figure sacre legate a questo prodotto, ci basti ricordare che la vite e il vino avevano una divinità protettrice, Dioniso per i Greci, Fufluns per gli Etruschi e Bacco per i Romani, il dio dell’ebbrezza, ma anche colui che aveva donato la vite e il suo nettare agli uomini. Dioniso inoltre aveva con sé un lungo corteggio di seguaci mitici, come i satiri e le menadi, anch’essi assidui consumatori di questa bevanda.

Vino
Kylix attica con raffigurazione di satiri e menadi, 490-480 a.C. 

Ma il vino era utilizzato materialmente anche in numerose cerimonie religiose proprio come offerta agli dèi, tramite le cosiddette libagioni. Queste consistevano in un’offerta di vino e di altre bevande, quali il latte, versate da un’apposita coppa detta phiale o patera, sovente fornita di un ombelico rilevato al centro (da cui il nome di patera umbilicata) che serviva all’alloggiamento delle dita dell’offerente. Le libagioni potevano avvenire in luoghi sacri, per esempio sugli altari e nei santuari, ma avvenivano spesso anche in ambito domestico, nei campi di battaglia o presso le sepolture.

Il mondo funerario

Il mondo funerario, strettamente collegato a quello religioso, è tra i più ricchi di testimonianze sul consumo del vino in antichità. Oltre al vasellame utilizzato durante le cerimonie funebri rinvenuto nelle necropoli, i sepolcri, soprattutto di personaggi di rango elevato, hanno restituito numerosissimi vasi atti alla preparazione e al consumo del vino, proprio per la sua forte connotazione sociale ed economica. Abbiamo quindi crateri o altri grandi vasi per la conservazione e la preparazione utilizzati come urne cinerarie e una profusione di coppe di ogni tipo, più o meno decorate, con iscritti i nomi dei proprietari, come parte del corredo funerario. Per non parlare delle scene dipinte sulle pareti di numerose tombe a camera, sulle quali sono raffigurati banchetti e cerimonie conviviali di ogni tipo nelle quali il vino, tanto per cambiare, era sempre il protagonista indiscusso.

Abbiamo ripercorso, seppur rapidamente, il fenomeno-vino nel mondo antico e ci si auspica che queste poche righe siano sufficienti a farci comprendere come ancora oggi questa bevanda, per la sua lunga e affascinante storia, oltre che per tutti i connotati culturali che porta con sé, meriti il posto d’onore che ha sulle tavole.

Carmine De Mizio per Questione Civile 

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1 commento su “Vino nell’antichità: storia della bevanda più famosa

  1. Maurizio Di Paola Rispondi

    Buongiorno dottor Carmine Di Mizio, molto interessante cio` che lei scrive ma ha dimenticato di dire che un certo Gesu` Cristo ha introdotto il vino a ricordo del suo sacrificio nel rituale della Santa Messa. Capisco che un ragionamento del genere sia lapalissiano nel senso di ovvio ma forse cio` che e` religioso rientra in un altro contesto, forse non alla moda ?

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