Dai valori all’azione: la flessibilità psicologica
La flessibilità psicologica è un concetto che nasce nell’ambito delle terapie cognitivo comportamentali di terza generazione. Essa è definita come “la capacità di essere aperti, consapevoli e in contatto con il momento presente”, ed è il costrutto chiave dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT).
Basi teoriche: l’acceptance and commitment therapy
L’ACT nasce nel 1982 ad opera di Steven Hayes, ed è dunque una terapia di diffusione molto recente. Nasce in America, nelle prestigiose Università della California che dopo la Seconda guerra mondiale sono diventate il cuore della psicologia, ma ben presto si diffonde anche in Europa e in Italia.
Lo scopo delle terapie basate sull’ACT è quello di potenziare la flessibilità psicologica, rendendo la persona maggiormente consapevole di sé stessa e dei suoi valori.
I valori costituiscono una parte fondamentale nell’ACT, in quanto rappresentano il motore dei nostri comportamenti e solo agendo su di essi è possibile modificare il proprio comportamento. Accettazione ed impegno sono alla base di questo approccio: l’accettazione costituisce infatti il primo dogma nell’ACT ed è un’alternativa all’evitamento esperienziale.
Il processo di accettazione include l’accoglienza, attiva e consapevole, degli eventi di vita privata del soggetto, senza cercare di cambiare la loro forma o frequenza, specialmente se questo produce dolore psicologico. L’azione impegnata invece costituisce in un certo senso il “punto di arrivo” dell’ACT e indica dei comportamenti, delle azioni, ispirate e mosse dai valori dell’individuo. L’acronimo ACT, che in inglese significa agire, si riferisce proprio a questo e riassume i concetti-chiave di questa teoria.
L’ACT si colloca nell’ampio gruppo di psicoterapie cognitivo-comportamentali di terza generazione. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è considerata tra gli approcci più efficaci nel trattamento di vari disturbi psicologici, da quelli di ansia ai disturbi alimentari (DCA) e al disturbo ossessivo-compulsivo (DOC).
È inoltre la psicoterapia che presenta maggiori prove di efficacia nella ricerca (evidence-based), questo grazie alle sue caratteristiche che la rendono facilmente esaminabile e adatta a programmi di ricerca scientifica.
Delle terapie cognitivo-comportamentali di terza generazione fanno parte: la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), la Dialectical Behavior Therapy (DBT) e la Functional Analytic Psychotherapy (FAP). L’ACT integra alcune delle componenti di questi approcci.
Tuttavia, l’ACT trae anche delle basi dalle teorie della psicologia della comunicazione. Tra queste, la Relational Frame Theory (RFT), è una teoria che ha studiato l’evoluzione e l’espressione del linguaggio e della cognizione nella specie umana.
La flessibilità psicologica alla base delle psicopatologie
L’idea dell’ACT è che alla base della psicopatologia ci siano due processi. Il primo si inquadra nell’ambito dei modelli della comunicazione e dall’assenza di abilità relazionali, il secondo ha a che fare con l’evitamento esperenziale, concetto più tipico della tradizione cognitivo-comportamentale. Secondo l’ACT vi è un intreccio tra linguaggio e cognizione, ovvero ciò che diciamo e ciò che pensiamo.
Più nello specifico, c’è un legame tra i nostri pensieri e come noi li interpretiamo: spesso è il contesto intorno a noi che crea una distorsione nella percezione del linguaggio, sia esso interno (i nostri pensieri) o esterno (ciò che ci viene detto dagli altri).
A causa di questa distorsione, i pensieri diventano più opprimenti e bloccano il nostro potenziale. Il pensiero che non siamo bravi in qualcosa può avere sul nostro comportamento un effetto più catastrofico di quello che dovrebbe. Ad esempio precludendoci delle esperienze che desidereremo provare e che potrebbero portarci verso una crescita personale e/o professionale.
L’evitamento esperenziale è invece un comportamento per cui si evitano situazioni e pensieri che possono potenzialmente danneggiarci. L’evitamento è stato ampiamente studiato nella teoria cognitivo-comportamentale ed instaura un circolo vizioso che, nell’ottica dell’ACT, contribuisce alla genesi di disturbi psichici.
Per esempio, chi soffre di claustrofia potrebbe trovarsi ad evitare di prendere l’ascensore o di trovarsi in spazi chiusi. Attraverso l’evitamento, l’individuo si ritrova in uno stato di sollievo che andrà a rinforzare l’evitamento stesso facendo in modo che esso si ripeta per rimanere nello stato di calma.
Tuttavia, la persona claustrofobica in questo modo potrebbe perdere una serie di occasioni sociali (o anche lavorative) e venire emarginata.
L’emarginazione sociale è tra i più noti fattori di rischio per disturbi come quelli di ansia o dell’umore. In questo modo, il circolo vizioso dell’evitamento contribuisce ulteriormente a peggiorare la salute psicologica di chi lo mette in atto.
I concetti della flessibilità psicologica
Nel 2010, Russ Harris nel suo libro “La trappola della felicità” approfondisce i concetti dell’ACT andando contro i vari libri di auto-aiuto che si sono diffusi negli anni precedenti. Egli afferma che la ricerca della felicità non è altro che una battaglia con i nostri pensieri e le nostre emozioni negative. Secondo Harris, gli obiettivi che ci poniamo sono spesso irrealistici e per questo non otterremo mai la serenità che cerchiamo.
Qui entra in gioco l’ACT che, attraverso il suo focus sull’accettazione e sulla consapevolezza ci permette di identificare i valori alla base del nostro comportamento. L’ACT agisce attraverso 6 concetti-pilastro tra cui l’accettazione e alcuni elementi derivati dalla Mindfulness.
Sono praticati anche esercizi di questo approccio, il cui obiettivo è quello di rendere maggiormente consapevole il soggetto dei suoi pensieri e dei suoi valori. Ad esempio, studiare per ottenere un titolo di studio prestigioso spesso non soddisfa e rende felici gli individui.
Questo perché ottenere un diploma o una laurea non sempre riflette i valori della persona, al contrario a volte ci si ritrova a studiare solo per convenzione sociale. Lo stesso soggetto insoddisfatto della sua vita accademica potrebbe trovare maggiore gioia in un’altra attività che rispecchia i suoi valori. Solo ciò in cui crediamo e che rappresenta qualcosa per noi ha il potere di produrre un cambiamento nel nostro comportamento e renderci liberi e più felici.
Verso il cambiamento: le applicazioni della flessibilità
L’ACT si presta bene ad interventi sia lunghi che brevi, in contesti clinici ma anche attraverso siti web ed applicazioni per smartphone e pc. Questo li rende particolarmente fruibili e facilmente avvicinabili agli individui interessati.
Interventi focalizzati sul potenziamento della flessibilità psicologica sono stati utilizzati per la prevenzione del disagio e dell’abbandono scolastico, ma anche per aiutare le persone a smettere di bere o di fumare. Inoltre, un buon livello di flessibilità psicologica ci aiuta ad affrontare meglio la vita quotidiana.
Chiara Manna per Questione Civile
Sitografia
www.stateofmind.it
www.act-italia.org