La fine del dibattito pubblico, l’inizio di qualcosa che è altro dalla politica
Fin dalle prime forme di democrazia che noi conosciamo, che iniziano nella Grecia di età classica, l’elemento fondante il dibattito pubblico. Infatti, solo partendo da una pluralità di punti di vista si può provare a tracciare una strada verso il bene comune.
Dalla Grecia di Clistene al dibattito nell’Italia repubblicana
Il periodo storico che stiamo vivendo è indescrivibile, privo di punti di riferimento: siamo immersi in un continuo presente. L’unica distinzione tra i giorni è data dal calendario. Manca una visione d’insieme della società e del mondo che oggi è divenuto complesso. Infatti, abbiamo sotto i nostri occhi una serie ‘ di avvenimenti apparentemente scollegati tra loro. Purtroppo, non ci consentono di tracciare una linea temporale con le coordinate di causa ed effetto. È come se ogni giorno fosse uguale a quello precedente senza possibilità di discernimento.
Il fenomeno è osservabile in tutto il mondo occidentale. Il discrimine tra un giorno e un altro è una diversa polemica giornaliera che dura al massimo 24 ore come una storia su Instagram. Se accediamo a qualunque social network, ci imbattiamo in uno scandalo mediatico che sembra diventare una questione di interesse nazionale. Una questione che scavalca per priorità la guerra in Ucraina, quella nello Yemen, la guerra civile in Iran, Afganistan, Libia, le migrazioni. Per non parlare del Global Warming, della pandemia di Covid-19 e del PNRR.
Prodromi della crisi del dibattito pubblico
L’Italia è il paese del melodramma e della commedia. Un giorno si trova sull’orlo del baratro causa inflazione, emigrazione giovanile e dissesti idrogeologici. Mentre il giorno dopo è il migliore dei mondi possibili perché vince gli europei di calcio maschile. Quello che manca in questo paese è il dibattito pubblico che permetta ai cittadini di comprendere le vere necessità del Paese. Mark Thompson, ceo del New York Times, nel suo libro La fine del dibattito pubblico: come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia, vede nel populismo e nell’antipolitica le cause prime della degenerazione democratica. Per tracciare una breve sinossi diacronica, possiamo provare ad individuare il giorno dell’inizio della crisi del rapporto classe politica-elettorato in Italia: il 9 maggio 1978. In quello stesso giorno furono ritrovati i corpi dell’onorevole Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, e il corpo di Peppino Impastato, ucciso dalla Mafia siciliana.
In quel giorno, qualcosa si è rotto: il partito perno della struttura politica italiana, la DC, si è ritrovato nell’occhio del ciclone. Inizia a cedere lo scettro prima a Spadolini, primo presidente del consiglio non democristiano della storia della Repubblica, poi a Craxi. Da qui, si passa per la caduta del muro di Berlino, la riforma elettorale di stampo maggioritario, la discesa in campo del Caimano. Poi l’ingresso nella sala dei bottoni dei neofascisti di Fini, la stagione dello scontro tra Prodi e Berlusconi, fino alla crisi del 2008 negli Usa. Infine, la formazione e la velocissima ascesa di un partito dichiaratamente antisistema come il Movimento 5 stelle fondato dal comico Beppe Grillo. Questo partito arriva ad ottenere quasi il 33% dei voti alle elezioni politiche del 2018 proprio perché si proponeva una palingenesi della classe politica.
Manifestazione estrema della fine del dibattito pubblico
Uno dei punti più importanti proposto dai deputati e senatori dei 5 stelle è stata la riforma del numero dei parlamentari. Il risultato è che si è passati da 945 parlamentari a 600: ad oggi siamo il penultimo Paese in Europa per rappresentatività. Un parlamento che decide di eliminare una parte di sé è un manifesto di auto delegittimazione evidentissimo. Ma la riduzione del numero dei parlamentari doveva essere accompagnata da una riforma generale del sistema elettorale, del funzionamento delle camere e delle commissioni parlamentari. La repubblica italiana è di tipo parlamentare, quindi è il parlamento l’asse portante del sistema democratico nostrano. Se viene a mancare il dibattito pubblico su questo argomento, vuol dire che si è acuito lo scollamento tra i cittadini e le istituzioni.
Alessandro Villari per Questione Civile
Bibiliografia
Umberto Gentiloni Silveri, Storia dell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2019.
Piero Ignazi, I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Il Mulino, Bologna, 2018.
Mark Thompson, La fine del dibattito pubblico: come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia, Feltrinelli, Milano, 2017.
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