Questione della lingua: gli albori, breve excursus

Questione della lingua

Breve excursus sulla nascita e il primo sviluppo della questione della lingua italiana

Le formule “questione della lingua”, o “questione linguistica”, indicano l’insieme delle discussioni, aventi come tema la lingua italiana, svoltesi da Dante ai nostri giorni. 

La questione della lingua: da Dante agli Umanisti

Il primo protagonista della questione della lingua è da collocare nel XIII secolo. Sicuramente Dante non fu il primo autore a utilizzare la lingua volgare per la sua produzione, ma fu il primo a rivolgerle un trattato teorico. Nel De Vulgari Eloquentia, Dante spiega il perché si dovrebbe preferire il volgare al latino e come innalzare il volgare a pari dignità di quello. 

Un ruolo importante in un secondo momento nella questione della lingua rivestirono gli Umanisti. Inizialmente, infatti, la questione sollevata nel trattato dantesco rimase senza un seguito, ma con loro si origina un dibattito sempre più animoso sull’origine del volgare. L’attenzione al volgare si genera collateralmente ai dibattiti nati sulla lingua dell’antica Roma. Gli Umanisti, appassionati del mondo classico, ricercavano le cause del crollo della civiltà romana, e una delle discussioni vedeva protagonisti Leonardo Bruni e Flavio Biondo. I due studiosi dibattevano sulle condizioni linguistiche dei parlanti di Roma. Infatti, si interrogavano se la lingua allora parlata fosse davvero latino o un qualcosa che si avvicinasse alle parlate volgari a loro contemporanee. Bruni sosteneva che non tutti i parlanti di Roma avessero utilizzato il latino letterario, ma soltanto i dotti. Biondo, invece, sosteneva l’omogeneità della lingua latina in tutti gli strati della popolazione, pur riconoscendo delle peculiarità linguistiche.

Da cosa, dunque, muoveva l’attenzione al volgare? Interrogarsi sulla lingua latina e ipotizzare la coesistenza di due lingue voleva dire aver acquisito consapevolezza del tramonto della lingua latina e dell’avanzare della volgare. Le teorie di Bruni e Biondo, tra l’altro, in qualche modo, nobilitavano il volgare. Bruni faceva risiedere la differenza principale tra latino e nell’invariabilità del primo, data da leggi grammaticali canonizzate, e nella variabilità del secondo, parlato dal popolo. Allo stesso modo, la tesi di Biondo riconosceva il volgare come figlio, seppur meno degno, del latino e delle contaminazioni barbariche. 

Il dibattito si anima

Da quel momento l’attenzione rivolta al volgare si intensificò e crebbero le discussioni afferenti alla sfera della questione della lingua italiana. Si sviluppò un dibattito che aveva al suo centro la lingua e la produzione volgari fino allora esistenti. Inoltre, ci si interrogava sulla possibile produzione di opere in volgare che eguagliassero il prestigio delle latine. Nel dibattito si fronteggiarono gli oppositori all’utilizzo del volgare come lingua letteraria e coloro che riconoscevano a quella un prestigio pari alla latina. 

Di fatti, con l’adozione di un punto di vista classicista vi fu una vera e proprio “riscoperta” del latino. Per cui la lingua di produzione letteraria veniva intesa come lingua di imitazione dei classici, da ciò derivò la marginalizzazione dell’utilizzo del volgare. Questo fu inteso come una lingua non atta alle grandi produzioni, tanto da far considerare Dante come passibile di rimozione dalla «schiera dei letterati». E le produzioni volgari dantesca e petrarchesca furono considerate canzoncine per il popolo non dotto[1]

Leon Battista Alberti e la questione della lingua

Tra gli assertori della lingua volgare, fautori anche di alcune iniziative volte alla sua difesa e al suo sviluppo, si annovera sicuramente Leon Battista Alberti. Nella Grammatica della lingua toscana[2] Alberti voleva dotare la lingua viva di una grammatica e sottolineare come anche la lingua volgare fosse una lingua regolata. Con ciò la lingua viva sarebbe stata canonizzata, dunque equiparabile alle altre lingue regolarizzate grammaticalmente e di conseguenza utilizzabile anche a scopi retorici e letterari. 

Sempre sotto iniziativa dell’Alberti fu indetto il Certame Coronario. Una spettacolare esibizione, svoltasi la domenica del 22 ottobre 1441 su un palchetto a Santa Maria del Fiore[3], con il patrocinio di Piero de’ Medici. La gara prevedeva che diversi poeti gareggiassero con dei componimenti scritti in volgare, finalizzati a celebrare la vera amicizia. Lo svolgimento di una gara che prevedesse venissero declamati dei versi in volgare segnava una svolta irreversibile: il volgare stava acquisendo sempre più importanza. 

La corte medicea e la questione della lingua

Esempio lampante ne è la Raccolta aragonese, una crestomazia mandata in omaggio da Lorenzo de’ Medici a Federico d’Aragona, re di Napoli. Ad apertura del florilegio, dei quali testi denominatore comune era il volgare, vi era una lettera, attribuita al Poliziano. Il dono si configurava come una sottile operazione politica e culturale. La raccolta, infatti, aveva come scopo principale, apertamente esposto nella lettera d’apertura, quella di nobilitare il volgare toscano, che così assurgeva a una funzione patriottica. L’Ambrogini innalzava il volgare toscano ad assurgere al ruolo che era stato proprio del latino, capace e perfettamente adatto, anch’esso, a trattare molteplici argomenti. La predisposizione del Magnifico per le trattazioni in volgare fu di sostanziale importanza. Alla corte medicea nacquero prodotti redatti in volgare toscano[4], destinati a circolare per tutta la penisola e a influenzarne letterati e parlanti.

Un ruolo importante giocarono la trattazione romanzesca e la letteratura religiosa, entrambe redatte in volgare. Quest’ultima, soprattutto, vedeva il popolo incolto come principale utente. Grazie a queste vi fu la penetrazione del volgare negli strati più umili della popolazione, generalmente avvezzi al dialetto[5].

Da quel momento le speculazioni sul volgare si infittirono e le dispute divennero sempre più animose. Se inizialmente le discussioni valutavano il volgare in relazione al latino, con l’avanzare degli anni le discussioni si spostano su un altro piano.

Rosita Castelluzzo per Questione Civile 


[1] Cfr. C. MARAZZINI, La lingua italiana, Profilo storico, Bologna, Il Mulino, 2002, 232-33.

[2] Maggiormente conosciuta come Grammatichetta vaticana, sia per la sveltezza della trattazione, sia perché pervenuta in un codice della Biblioteca Vaticana.

[3] L. BERTOLINI, Il certame Coronario in E. MALATO-A. MAZZUCCHI (a cura di) Antologie d’autore, La tradizione dei florilegi nella letteratura italianaAtti del Convegno internazionale di Roma 27-29 ottobre 2014, Roma, Salerno Editrice, 103-117.

[4] Si pensi alla traduzione in volgare della Naturalis Historia di Plinio del Landino. Nella traduzione il letterato ammise termini propri del volgare toscano; al poliedrico Poliziano, scrittore delle incompiute Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici; infine, al Pulci, autore non solo del Morgante, ma anche compilatore del Vocabolista. Questo si configura quasi come un antecedente di un vocabolario della lingua italiana, nel quale aveva raccolto svariati latinismi, tradotti poi con termini toscani. Si rimanda a C. MARAZZINI, La lingua italiana. Profilo storico, Bologna, Il Mulino, 2002.  

[5] Si rimanda a F. ROSSI (a cura di), Generi letterari e costruzione di una lingua comune tra Cinque e Seicento, Roma, Artemide Edizioni, 2017.

Bibliografia e sitografia

L. BERTOLINI, Il certame Coronario in E. MALATO-A. MAZZUCCHI (a cura di) Antologie d’autore, La tradizione dei florilegi nella letteratura italianaAtti del Convegno internazionale di Roma 27-29 ottobre 2014, Roma, Salerno Editrice.

C. MARAZZINI, La lingua italiana, Profilo storico, Bologna, Il Mulino, 2002.

F. ROSSI (a cura di), Generi letterari e costruzione di una lingua comune tra Cinque e Seicento, Roma, Artemide Edizioni, 2017.

M. Vitale (a cura di), La questione della lingua in «Storia della critica», Palermo, Palumbo editore, 1967.

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