Come l’Olocausto ha danneggiato la psicologia
L’Olocausto è una delle pagine più tristi nella storia dell’umanità. Ha ormai posto un sigillo oscuro sugli anni che ha attraversato, cancellando quanto di buono e positivo è accaduto.
Purtroppo, questo triste periodo storico ha messo in pausa (se non ha fermato) le vite di chi ha avuto la sfortuna di trovarsi nel mondo sbagliato al momento sbagliato.
Ciò ha avuto effetti anche nelle scienze, nelle arti e nella letteratura che si sono dovute fermare a causa della guerra, ma anche a causa delle persecuzioni. Anche la psicologia ha purtroppo risentito di questo periodo. Vi erano, infatti, varie personalità di spicco nel panorama scientifico che avevano la “sfortuna” di essere ebrei o di famiglie di origini ebraiche e che si sono viste costrette, per questo motivo, ad abbandonare il loro lavoro.
Il rapporto di Freud con la fede
Lo stesso Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, non era una persona religiosa. Al contrario, nelle sue opere si era posto il problema della religiosità e della spiritualità, sviscerandola a criticandola. Egli arrivò ad affermare che la religione è solo un’illusione. Tuttavia, la famiglia di Freud era strettamente legata alla tradizione ebraica, e per questo il padre della psicoanalisi venne sottoposto ai più celebri riti di questa religione: fu circonciso da bambino, partecipò alla cerimonia bar mitzvah (evento di consacrazione, una sorta di battesimo per gli ebrei).
Sigmund non si riconobbe mai né nella regione dell’ebraismo né in altre, tuttavia, sposò sua moglie Martha con una cerimonia ebraica e partecipò al funerale del padre. Freud si definì sempre agnostico, una spiritualità che combacia con il suo profilo di medico e studioso della mente umana. Egli era un ricercatore, e per “cedere” alla religione aveva bisogno di prove tangibili. Tuttavia, Freud si descrisse sempre come una persona legata in qualche modo alla spiritualità. Vi era dunque una sorta di attrazione verso la religione, probabilmente legata sempre alla sua necessità di conoscere e spiegare, ma senza la presenza di un vero e proprio sentimento di fede.
Del resto, la personalità di Freud è stata tra le più lungimiranti della storia e probabilmente egli aveva già compreso in quegli anni bui come la fede e la religione potessero condizionare la vita e i comportamenti altrui.
Il ruolo dell’Olocausto nella scienza
Freud subì discriminazioni per le sue origini sin da quando era all’Università. La facoltà di Medicina gli fu sempre ostile, fino all’incontro con Charcot che gli cambiò la vita. In quegli anni sviluppò un forte senso critico che ha caratterizzato la sua carriera.
Oltre a Freud e alla psicologia, non possiamo dimenticare un’altra personalità forte e di spicco nel panorama scientifico ha dovuto subire le persecuzioni dell’olocausto: Albert Einstein. Il celebre scienziato fu assalito pubblicamente durante una sua lezione e tutte le sue teorie furono criticate in quegli anni solo per le sue origini ebraiche. Come nel caso di Freud, anche Einstein non era fortemente legato alla religione ebraica, ma non rinnegava neanche le sue origini.
Questo ci fa capire come l’Olocausto abbia avuto, oltre alle conseguenze che tutti conosciamo, un effetto anche sulla scienza, producendo degli anni di blocco in vari settori culturali.
Freud ed Einstein, in quanto due studiosi di alto calibro in quel periodo storico, si incontrarono negli anni precedenti le persecuzioni ebraiche ed ebbero in comune proprio la loro opposizione verso la Guerra e l’antisemitismo.
La fuga dall’Olocausto
A causa delle persecuzioni che si facevano sempre più forti, Freud fu costretto a trasferirsi a Londra in una sorta di esilio molto doloroso per lo psicologo. L’esilio che Freud dovette subire è quasi paragonabile a quello di Dante in quanto gli venne portata via anche la cittadinanza austriaca, parte della sua identità. Sigmund Freud morì a Londra, dove si era stabilito come rifugiato politico, a causa anche dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Anche se Londra non era la sua città di origine, Freud ha lasciato un forte retaggio nella capitale inglese, portato avanti innanzitutto dalla figlia Anna, che ha proseguito sulle orme del padre.
Lo stesso destino toccò ad Albert Einstein che scappò prima in Belgio, poi in Inghilterra e infine oltreoceano negli Stati Uniti. Egli non smise però di combattere l’antisemitismo, aiutando altri rifugiati nel corso degli anni.
Uno psicologo nei lager
Non si può dimenticare l’esperienza di Viktor Frankl, psichiatra austriaco che insieme a tutta la sua famiglia fu deportato in un campo di concentramento nel 1942. Purtroppo, lui e la sorella furono gli unici sopravvissuti alla prigionia. Frankl racconta la sua esperienza nel suo libro “Uno psicologo nei lager”, un’opera simile a “Se questo è un uomo” di Primo Levi, ma con una connotazione più psicologica. Frankl, in quanto psichiatra, riporta l’esperienza di un medico e la consapevolezza delle emozioni che provava durante la prigionia.
A differenza dell’opera di Primo Levi, quella di Frankl è una ricerca di senso tipica della sua professione. Egli sapeva che l’uomo non poteva rassegnarsi a quella crudeltà ma che, quasi come un meccanismo di difesa, dovesse attribuirgli un senso. Più che un meccanismo di difesa è ciò che oggi chiameremo una rielaborazione di quell’evento. La sua deformazione professionale lo portò ad osservare alcune dinamiche dei prigionieri: ad esempio, notò che le persone senza uno scopo morivano prima, per la stanchezza o per le malattie che circolavano nel lager. Al contrario, chi aveva uno scopo come semplicemente rivedere la propria famiglia oppure realizzare un progetto, resisteva di più.
Infine, l’opera di Frankl si conclude in modo inaspettato con la riconquista della fede, da parte dello psichiatra.
Dopo l’Olocausto: il futuro della psicologia
Freud non fu l’unico psicologo ad essere perseguitato dai nazisti. Infatti, l’antisemitismo ha prodotto un odio che andava oltre la religione ebraica, e anche gli argomenti trattati dalla psicologia (come quelli di altre scienze) erano troppo da sopportare per il regime nazista. Così, molti psicologi dei più celebri laboratori di psicologia che sino a quel momento avevano costituito la culla della disciplina (ad esempio quelli di Lipsia o Ginevra) dovettero lasciare le loro patrie, in un vero e proprio percorso migratorio. Molti di loro trovarono rifugio in America, e anche loro si affidarono al famoso “american dream”. Non è infatti un caso che, dal dopoguerra, la psicologia abbia raggiunto alti risultati nelle teorie e nelle tecniche nelle più famose città americane, in particolare nella West Coast. Ad oggi, le facoltà di Psicologia più famose sono soprattutto quelle nelle Università di Stanford, Philadelphia e Palo Alto.
Chiara Manna per Questione Civile
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