La banalità del male, storia del Nazismo
Nel pensare a un nome per questa rubrica che vuol affrontare la storia del Nazismo e del Partito Nazista è venuto naturale pensare al libro di Hannah Arendt. Un titolo che ci obbliga ad andare oltre la, rassicurante, idea che un dramma simile sia legato alla disumanità di pochi.
Non è così, non possiamo chiudere gli occhi. Contro il male, che è così banale, è richiesto a tutti di fare memoria e vigilare.
Sempre e per sempre.
L’Europa sconvolta dalla I Guerra Mondiale
Sono poco più di venti gli anni che separano le due guerre mondiali. Vent’anni in cui il mondo, l’Europa prima di tutti, si prepara al dolore che vivrà tra il 1939 e il 1945. Sono anni di ricostruzione, seguiti da una crisi economica come non se ne vedrà per quasi un secolo.
Quel 1900 che si era aperto con la belle epoque, con le scoperte scientifiche che avanzano, è ormai un ricordo quasi sbiadito. Né basta la favola dei ruggenti anni ’20 per nascondere, come polvere sotto il tappeto, quel che si stava preparando. Perché il periodo che separa le due guerre è, in Europa, il periodo dell’avvento dei totalitarismi. Italia, Spagna, Germania.
Dal Mediterraneo al mare del Nord la democratica e civile vecchia Europa si stava preparando a uno dei momenti più bui della sua storia. La fine di una guerra preparava l’avvento della successiva. L’avevano chiamata Grande Guerra per definirne meglio i contorni.
Di guerre la storia dell’uomo era sempre stata tragicamente ricca, ma quella era diversa.
I paesi coinvolti, i soldati schierati, le vittime. Tutto aveva un numero esageratamente alto, una novità per paesi che di guerre ne avevano fatte a decine. A cominciare da chi, come l’Italia, era reduce da pochi decenni da battaglie per l’unità nazionale.
Non eravamo però i soli che avevano concluso il XIX secolo riscoprendosi un paese solo. Nel 1871 era stata la Germania, dopo anni di lotte, a ottenere l’unificazione sperata. Il 18 Gennaio di quell’anno nella reggia di Versailles nasceva l’Impero tedesco, guidato da Guglielmo I. Per colpa di una strana ironia della sorte, uno di quei dettagli storici che lasciano a bocca aperta, sarà la stessa città francese a cambiare il destino della Germania.
È il 28 giugno 1919, il giorno dei trattati di Versailles.
Il trattato di Versailles e la Repubblica di Weimar
Dalla Prima Guerra Mondiale la Germania esce fortemente sconfitta. Le perdite umane e militari si fermano con la fine del conflitto, le perdite economiche e territoriali arrivano soprattutto coi trattati di pace. A livello di confini la Germania arrivò a perdere oltre il 10% del suo territorio Europeo e tutte le colonie che aveva fuori dal continente. Alsazia e Lorena andarono alla Francia, parte di Prussia e Slesia alla Polonia. Anche Belgio, Danimarca e Cecoslovacchia ricevettero territori tedeschi dopo il trattato di pace, mentre la regione del Reno venne demilitarizzata.
Quasi sette milioni di persone, fino a quel momento tedeschi, si ritrovarono improvvisamente appartenenti ad altre nazioni. Ma le conseguenze economiche furono ancora più devastanti. 132 miliardi di marchi d’oro, questa la richiesta di risarcimento economico per quella Germania rea di aver scatenato la guerra. La crisi del marco non avrebbe tardato a scatenarsi sul paese e sulla sua società.
Anche la politica della Germania post bellica cambia.
Il potere dell’Imperatore viene abbandonato in favore di un cancellerie che rispondesse direttamente al Parlamento, abbandonando il sistema monarchico che aveva retto il paese. La Repubblica di Weimar, dal nome della città dove si riunì la sua Costituente, puntava a essere esempio di democrazia per tutto il vecchio continente.
La sua Costituzione era stata scritta dai migliori giuristi del tempo, tra cui Hans Kelsen, e, novità, si apriva al suffragio universale maschile e femminile. L’unico limite era, ovviamente, l’età, con gli elettori che acquistavano il diritto di voto al compimento dei vent’anni.
Figlia della politica a cavallo tra otto e novecento, la Repubblica di Weimar vide come suoi attori principali socialdemocratici, liberali e cattolici conservatori.La nuova forma di governo doveva far fronte al dopoguerra, ai suoi drammi e alle crisi in arrivo.
Modello per le democrazie Europee, durò appena quattordici anni.
Monaco, 24 febbraio 1924. Il carismatico Hitler
La separazione di parte del territorio Germanico dalla sua situazione pre-Grande Guerra ebbe conseguenze anche all’interno delle diverse fazioni politiche.
In particolare, per il piccolo DNSAP, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, già attivo fin dal 1918.
Figlio di esperienze nazionaliste e antimarxiste che perduravano da inizio ’900, il futuro partito Nazista fu costretto a riorganizzarsi a seguito della perdita della Boemia. Si costituì così a Monaco di Baviera, già nel 1919, il Partito Tedesco dei Lavoratori.
L’ispirazione fortemente nazionalista e antisemita fu chiara da subito, ma le cose dovevano cambiare ancora. Non passò neanche un anno e il 24 Febbraio 1920, sempre a Monaco di Baviera, nella birreria Hofbräuhaus, un giovane austriaco si fece notare. Ex militare, entrato da poco nel partito ma con eccellenti capacità oratorie, capace di mostrare un’innata predisposizione alla leadership. Così tanto da ottenere subito il consenso del partito tutto.
Era il giovane Hitler.
Adolf Hitler era nato in Austria, paese da cui era fuggito poco più che ventenne una volta rimasto orfano di entrambi i genitori. Appassionato d’arte, ma non in grado di farne un mestiere, allo scoppio della I Guerra Mondiale si arruolò nell’esercito tedesco. Un soldato modello, poco incline ai divertimenti ma anche alla socialità.
Dentro di lui già i germi di un futuro d’odio, quello contro Marxisti ed Ebrei, giudicati come nemici del popolo. E fu sempre nell’esercito che restò alla fine del conflitto, stanziato a Monaco dove l’impiego principale dei militari era la repressione di rivolte socialiste. L’odio antisemita del futuro Fuhrer si palesò esplicitamente nel settembre 1919 con la lettera ad Adolf Gemlich, suo diretto superiore.
La lettera inizia parlando del “pericolo rappresentato dagli ebrei” e della “antipatia che un’ampia parte del popolo tedesco nutre per loro”.
Il seme del male si stava preparando a germogliare.
Nazismo: dal Putsch di Monaco al Mein Kampf
Monaco di Baviera è un luogo che torna, nella storia del Nazismo.
Sono passati poco meno di quattro anni dalla fondazione del partito e dalla sera in cui Adolf Hitler si fece notare, è il novembre 1923. Di nuovo una birreria della città Bavarese, la Bürgerbräukeller.
Colpi di pistola, boccali che si rompono, urla.
Una rivoluzione, un colpo di Stato.
È questo a cui puntano Hitler e i suoi con quello che passerà alla storia come il Putsch di Monaco. Un tentato golpe ai danni di quella Repubblica di Weimar vista come la causa di tutti i mali, soprattutto le condizioni di pace post-belliche.
L’attacco allo Stato nato dalla costituente di pochi anni prima durò appena due giorni, frenato dalle forze dell’ordine. Hitler venne fermato, arrestato e condannato a cinque anni di carcere ma vi rimase per poco più di uno. Il 20 dicembre 1924 era di nuovo libero. La detenzione dopo il fallito colpo di Stato del 1923 fu il momento in cui Hitler scritte il Mein Kampf.
“La mia battaglia”, questa la traduzione in italiano del libro da tutti ricordato come una sorta di manuale della dottrina nazista. Se il socialismo tanto odiato affrontava il tema della lotta tra classi, il Mein Kampf parlava di una storica battaglia tra le razze. Questo combattimento aveva attraversato il corso di tutta la storia umana, con lo scopo di far prevalere la razza superiore, secondo Hitler quella ariana.
Anche il concetto dello spazio vitale, che oltre dieci anni dopo sarà tra i motivi dell’invasione della Polonia, trova spazio nel libro. Il Mein Kampf venne pubblicato in due volumi negli anni immediatamente successivi all’arresto di Hitler, senza però ottenere un iniziale successo. Bisognerà arrivare ai primi anni ’30 perché l’opera raggiunga il suo scopo, quando il potere passò definitivamente a Hitler.
Il Nazismo al potere: 1933, Adolf Hitler cancelliere
“Hitler fu democraticamente eletto”, si dice spesso.
Non è del tutto corretto, ma a partire dall’inizio degli anni ’30 il Partito Nazista, ora denominato “Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori”, crebbe. Nel 1932 gli elettori tedeschi furono chiamati due volte alle urne. Nonostante alle seconde elezioni, quelle di novembre, il partito di Adolf Hitler ottenne meno voti di quelle precedenti, la storia stava per cambiare.
Grazie ad un accordo politico con il resto della destra e del centro, alla fine del Gennaio 1933 Hitler venne nominato cancelliere. La nomina venne dal Presidente della Repubblica Hindenburg, che pochi mesi prima aveva sconfitto Hitler alla corsa per la massima carica dello Stato.
Hindenburg era sicuro di poter controllare l’uomo a cui stava dando il governo, ma si sbagliava. Nel giro di sei mesi in Germania i diritti umani, il ruolo del Parlamento e la pluralità partitica persero ogni valore.
La dittatura stava iniziano.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Sitografia
www.museumoftolerance.com
aboutholocaust.org
www.viaggio-in-germania.de
www.lanzone.it