L’Alighieri pater patriae come Mussolini?
Padre della nostra lingua, padre della cultura italiana, padre della patria, tutti i comuni d’Italia gli hanno intitolato una strada, una piazza, un monumento. Di chi stiamo parlando? Ovviamente di Dante Alighieri, autore di uno dei libri più influenti al mondo (chiedetelo a Martin-Seymour Smith), opera talmente eccelsa, da meritarsi l’attributo di Divina.
Naso aquilino, manto rosso, corona d’alloro, un profilo – anche in senso letterale, visto che lo abbiamo raffigurato sulle monete da 2 euro – conosciuto a tutti. Così conosciuto, da meritarsi l’onore, riservato a pochissimi poeti al mondo, di essere conosciuto col nome di battesimo (nessuno chiamerebbe William, Miguel o Marco, rispettivamente, Shakespeare, Cervantes e Cicerone). Ma parliamo di lui, esatto, di Dante!
La (s)fortuna di essere Dante Alighieri
La sua fortuna nei secoli è stata tanta e diversa: subito amato da Boccaccio (nato solo otto anni prima della morte dell’Alighieri) e dai suoi contemporanei, fu considerato inarrivabile nel corso del Rinascimento, venendo spesso preferito il monolinguismo del Petrarca e il suo Canzoniere; ebbe fortuna notevole nello stesso torno di anni in Spagna, meno in Francia e in Germania, risultando, però, essere grande modello di poeti barocchi come Milton, in Inghilterra, per Paradiso perduto (va da sé). Assurse a genio nazionale durante il Romanticismo europeo, e ovviamente nel nostro Risorgimento, quando venne selezionato come profeta della patria, dell’Italia, del bel paese là dove il sì suona, per dirla con le sue parole.
L’Italia, ovvero il bel paese dell’Alighieri
Insomma, se c’è di mezzo Dante, l’associazione inevitabile è all’Italia, alla nazione italiana (va di moda di recente chiamare così il nostro paese). E anche questo è inevitabile, perché per prima, come riconosciuto volgarmente, la prima corona fiorentina adoperò il mezzo espressivo del volgare fiorentino, le sue disponibilità di lingua nascente, fino all’hapax e al neologismo, come mezzo di cultura, letteratura e arte. E da allora nessuno poté più fare a meno di adoperarlo per fare letteratura. Per dirla in breve: se Dante non ci avesse messo lo zampino, a quest’ora parleremmo il siciliano, probabilmente, o ciascuno il proprio dialetto, e forse, un’Italia unita – che proprio in una cultura unica e comune, e in un’unica lingua su base fiorentina, su base, potremmo spingerci a dire, dantesca – non ci sarebbe neppure mai stata. Allora a buon diritto Dante è padre della patria.
L’Italia s’è dest(r)a
L’autore della Commedia fu anche propagandisticamente sfruttato dal ventennio fascista, quando anche il latino, Augusto, Cesare, l’Impero, Roma, Firenze e altri luoghi comuni che ancora sono legati all’Italia vennero scomodati per costruire l’ideologia della nuova Italia mussoliniana. Da qui, però, a dire che Dante è di destra (addirittura di estrema destra o fascista) ce ne passa!
Basta leggere l’opera politica dell’Alighieri, che – ricordiamolo – così conservatore non lo fu, visto che finì prestissimo all’Indice dei Libri proibiti, per aver gettato all’Inferno il clero, i potenti e i politici da lui distanti, per lui da condannare. Quando i Donati e i Cerchi si spaccarono nel partito dei guelfi (i sostenitori della politica papale), dividendosi, rispettivamente, in guelfi neri, ovvero conservatori e aristocratici, e guelfi bianchi (di ispirazione popolare), il poeta dal naso aquilino propenderà per i secondi.
Scrollarsi di dosso l’immagine di un Dante sfruttato dalle destre nazionalisticamente si è rivelato impossibile, visto che ancora oggi il ministro della cultura Sangiuliano si sente di affermare che se oggi l’Alighieri si recasse alle urne voterebbe magari Lega o Berlusconi, lui che è stato profeta dell’Italia unita, non di certo di una Padania libera e indipendente, e che davanti alla corruzione e allo scandalo della classe politica del suo tempo rispondeva a colpi di bolge e gironi infernali.
Né a destra, né a sinistra: sempre avanti con Dante
Poi bisognerebbe indagare certe contro affermazioni, quale quella di Bersani, per cui Boccaccio sarebbe di sinistra, ma significherebbe ampliare troppo la questione. La verità è che a-storicizzare, estrapolare e manipolare la storia e la sua ricostruzione è pratica sempre pericolosa, e oggi sempre più invalsa per creare miti, lanciare messaggi e sostenere tesi.
Dante non è né di destra né di sinistra, banalmente, poiché il sistema politico nel quale fece carriera e per cui tanto si appassionò non conosceva né Malouet, né de Mirabeau; né Mussolini, né Marx. Che le sue idee, invece, ci possano sembrare “conservatrici” in alcuni momenti, o più “progressiste” in altri, ci può portare a fare paragoni con la contemporaneità, com’è lecito che avvenga, senza forzature, e, in questo caso, brutture.
Dante è di tutti, da nord a sud, da Firenze a Ravenna, dall’Inferno al Paradiso, dal Duecento a oggi, ma questo non ci può autorizzare a ritagliarlo in un solo angolo, entro un solo abito. Significherebbe mortificare la portata universale della sua Commedia, divina, perché come le divinità è eterna, onnipresente e comprensiva di tutto.
Quel tutto che Dante si sforzò di cogliere e descrivere col suo plurilinguismo, coi suoi tre regni e con i suoi personaggi così diversi, lontani o vicini che fossero nel tempo e nello spazio. Più che virare verso certe traiettorie, a destra piuttosto che a sinistra, sarebbe meglio procedere sempre dritto, come suggerisce il poeta, affinché la nave della patria non sia sanza nocchier in gran tempesta. La rotta ci è stata tracciata settecento o più anni fa: basta seguirla, senza deviazioni.
Riccardo Stigliano per Questione Civile
Sitografia e Bibliografia
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Dante A., Monarchia, ed. Feltrinelli
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