Amare e odiare Cartesio: fortuna e sfortuna della Crisi della coscienza europea
Ormai anche fra gli appassionati di storia, di filosofia e di cultura umanistica in genere, sottolinea con dolore e non senza una venatura di rabbia Quirino Principe, la lettura de La crisi della coscienza europea di Paul Hazard (pubblicato in francese nel 1935 e poi in italiano nel 1946 da Einaudi) è una rarità. Complici di questo stato di cose sono stati la lunga assenza di ristampe (solo in anni recenti: 2008 e 2015, la UTET ha assolto al felice compito) e l’atteggiamento anti-illuministico e irrazionalista, che sembrò prevalere senza possibilità di smentita sino agli inizi del nuovo millennio, sopravvive tutt’ora (capifila intellettuali sono ad ex. gli intellettuali americani Jason W. Moore e Donna Haraway).
Oggi, infatti, tanta parte del pensiero pure laicista e di sinistra, che a ben vedere dovrebbe esser grato agli intellettuali che misero in «crisi» l’Europa cristiano-centrica e intollerante, identifica in quegli stessi intellettuali del sei-settecento – da Cartesio a Locke, da Leibniz a Bayle – l’origine di ogni male della società contemporanea, capitalismo sfrenato e consumismo in primis. Va osservato, però, che se è pure possibile che i mali che oggi affliggono la società abbiano un’origine riconducibile agli stravolgimenti cui fu sottoposto l’intero ordine di pensiero fra ‘600 e ‘700, ciò è dovuto al fatto che l’intera società moderna affonda le sue radici in quegli stravolgimenti e nelle elaborazioni intellettuali donde scaturiscono. E cercare di staccarsene, di rinnegare i maestri – ciò che oggi avviene, appunto – è un’operazione rischiosa: specialmente perché non si profila all’orizzonte alcun novello Cartesio.
Cos’è la Crisi della coscienza europea?
Veniamo al nostro argomento: la crisi della coscienza europea. Il termine designa, secondo Hazard, il sommovimento culturale verificatosi fra XVII e XVIII secolo. Inizialmente limitato ad alcune èlites eterodosse, quindi patrimonio sempre più alla portata di tutti. Tale sviluppo del pensiero era incardinato sulla messa in discussione della dogmatica; sull’esercizio di una morale (che prende spesso il nome di virtù) autonoma da prescrizioni religiose; sull’importanza di accostarsi personalmente e in maniera critica ai «dispositivi di verità» in generale, fossero essi di carattere religioso o politico.
È un moto che prelude, nella sua affermazione dell’indipendenza del pensiero umano, alla postura eretta che Kant riconosce all’uomo «illuminato» che è «uscito dallo stato di minorità».
Campioni di questa rivoluzione intellettuale sono, per fare alcuni nomi, Cartesio, il quale più che altro è il padre nobile della schiera – sorta in maniera assolutamente indipendente e asistematica –; Toland, autore di Christianity not misterious, in cui venivano messi in luce le costruzioni umane che avevano forgiato il Cristianesimo come lo si conosce ora; Fontenelle, che contestava il principio di autorità e ricuperava da Cartesio il dubbio come strumento principe per conoscere una verità che perdeva vieppiù la V maiuscola; Spinoza, che pure a Cartesio era debitore per la formulazione di un’etica fondata sulla «geometria» intesa come scienza analitica del reale.
Questi per primo trattò la Bibbia come un libro (straordinario) passibile di analisi filologiche – facilitate dalla conoscenza che il Nostro aveva dell’ebraico, appartenendo, per poi esserne cacciato, alla comunità ebraica di Amsterdam.
Umanesimo e Riforma
Ora, una riflessione come quella di Hazard, oltreché colpire per la minuziosità con cui è svolta e ammaliare per l’incantevole prosa, c’interroga sulle cause della rottura dell’equilibrio intellettuale europeo. Un nesso fondamentale che lo storico francese istituisce è quello fra protestantesimo e incredulità: certo è un’analisi pertinente nel suo dar conto dell’autonomia prima della fede, poi della ragione, rispettivamente conquistate dalla Riforma cinquecentesca, che mise al centro di tutto (e forse inventò) la Coscienza, e dalla Crisi di tale coscienza.
Tuttavia, potrebbero esserci cause più storiche nel senso di umane, più concretamente materiali e meno teologiche, alla base di entrambi questi moti «autonomisti». Si pensi al flagello della peste. Due, anche in ragione della formazione scolastica comune, sono le ondate di peste che tutti ricordano: quella del 1347-8 (la peste del Decameron) e quella del 1628-30 (la peste della Guerra dei 30 anni e «di Manzoni»).
Non è così stravagante appuntarsi questa cronologia e confrontarla con quella delle grandi svolte culturali e religiose in senso laico – o comunque riformatore –: come già si era evidenziato (clicca qui) l’orizzonte valoriale cambiò radicalmente, in alto e in basso, con la Peste Nera: la concezione della vita, il rapporto con la morte, il senso da dare (o conquistare) all’esistenza mutarono radicalmente nell’arco di pochissimi anni.
Circa venti ne passano fra la Commedia dantesca, che metteva in scena il trionfo (o meglio la speranza del trionfo) della Giustizia, e il Decameron, in cui essa è del tutto assente; in cui l’invito dantesco – e cristiano – si ribalta nel trionfo di un etica naturale; in cui il senso da dare all’esistenza è tutto terreno e alieno da spinte ascetico-assolute (si vedano soprattutto l’Introduzione generale e quella alla IV giornata). In mezzo c’è l’abisso della peste.
Crisi della coscienza europea e peste (e guerra)
E dopo quell’abisso, l’Umanesimo: la ricuperata centralità dell’Uomo che ora cerca di studiare sé stesso e non più un dio che lo ha abbandonato nel momento della prova. Quanta sofferta disillusione c’è nelle pagine d’un Alberti o d’un Guicciardini! E quanto eroico è il disperato sforzo dei Riformatori (clicca qui) di conciliare la fede in un aldilà con le tragedie dell’aldiquà: una fede sceverata anzitutto – sottolinea Hazard – dalla credenza nel miracolo e incardinata sull’inconoscibilità della giustizia di Dio.
Così il ‘500. Poi il ‘600: quel ‘600 che termina con gli atleti della Crisi della coscienza europea; e che reca in sé forse il peggiore abisso della storia europea pre-900: la congiunzione della sanguinosissima Guerra dei 30 anni e della peste, che imperversò dai paesi mediterranei (soprattutto prima metà del secolo) all’Inghilterra (seconda metà), per altro sconvolta da rivoluzioni e repressioni religiose. L’ordine era saltato del tutto. E se studi pionieristici ma appena in nuce dicono che la percezione del disastro non fu limitata nelle sue conseguenze religioso-culturali ai ceti intellettuali (cosa che chi scrive ritiene plausibile), questi ultimi di certo ebbero la possibilità di far sentire la loro voce per una causa molto semplice: sapevano scrivere e avevano tempo per riflettere. Cartesio, Leibniz, Toland, Locke… tutti costoro vissero, magari da posizioni privilegiate, guerre ed epidemie inaudite. La loro intelligenza fece il resto.
Ora, interessante sarebbe indagare (ma ci vorrà tempo) come le concezioni religiose, culturali e politiche cambino e cambieranno dopo la stagione fosca che attraversiamo, segnata dall’inaspettata crisi pandemica e dall’orrore bellico che ritorna in quella che si credeva culla della civiltà e della pace. Si spera, forse invano, in un Cartesio.
Andrea Monti per Questione Civile
Bibliografia:
Ovviamente il libro principale alla base di questo modesto articolo è La crisi della coscienza europea, di P. Hazard, ora disponibile per i tipi della torinese UTET (2015) con la magnifica traduzione del Serini e la curatela del Ricuperati. A questo volume si rimanda per un’ estesa bibliografia orientata ai vari autori di cui si è discusso.
Altri riferimenti qui fatti sono:
- Conferenza di Quirino Principe: XX Settembre 2018. L’Inno alla Gioia nella lezione di Quirino Principe, reperibile su YouTube
- G. Boccaccio, Decameron, varie edizioni
- Dante, Divina Commedia, varie edizioni
- (a cura di N. Merker) I. Kant, Che cos’è l’illuminismo, Ed. Riuniti, Roma, 2017
- (a cura di) M. Ciliberto, AA. VV. Biblioteca laica. Il pensiero libero dell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari, 2012