Il caso di Roald Dahl deve far riflettere sul valore della storia
Roald Dahl, scrittore e sceneggiatore britannico, scomparso nel 1990, famoso soprattutto per alcuni indimenticabili romanzi come il GGG e La fabbrica di cioccolato, è ritornato a far parlare di sé.
La vicenda postuma di Roald Dahl
Puffin Books, casa editrice inglese, ha deciso di mettere mano pesantemente ai romanzi del defunto scrittore e di cambiare alcune parole ritenute offensive nei confronti di alcune categorie. Le parole madre, padre saranno cambiate in genitori, e saranno eliminate le parole ritenute sessiste. L’ultima notizia è che la regina Camilla è intervenuta pubblicamente a difesa della libertà di espressione. La casa editrice manterrà nelle librerie la versione originale, ma si riserva di poter vendere anche il romanzo rivisto.
Tanto rumore per nulla si potrebbe dire citando il poeta inglese per eccellenza, ma ciò che è accaduto a Roald Dahl è soltanto l’epifenomeno, l’ultima avvisaglia a livello cronologico di un clima più generale di riscrittura del passato.
Cosa nasconde il caso Roald Dahl
Negli ambienti non accademici, si confonde la storiografia con la riscrittura del passato. La prima è il modo in cui si parla di un avvenimento storico con lo studio critico delle fonti, la seconda è un’operazione arbitraria compiuta in virtù di un bene dogmatico superiore. Se in piena temperie romantica si idealizzava la figura di Alessandro Magno, la quinta essenza del grande condottiero, oggi si considera più l’aspetto dispotico del macedone. Ma non si può eliminare la sua figura perché ai noi di oggi fa piacere pensare che siamo brava gente.
Così come non si elimina un’intera civiltà, quale è quella greca classica, in quanto maschilista, elitaria e patriarcale. Le università americane hanno dato il via a quella che è stata chiamata cancel culture. Questo tipo di atteggiamento lo si può comprendere nel mondo statunitense perché esso è nato da un’uccisione edipica del patrio regno unito. Ma è bene che la psicanalisi sia messa da parte per il momento. C’è un filo rosso che collega l’abbattimento della statua di Cristoforo Colombo, la vergogna della cultura greca e la “revisione” delle opere di Roald Dahl. Il filo rosso è la correttezza politica.
Usi distorti della corretta politica
Si chiarisca subito che edulcorare il linguaggio da espressioni gravi nei confronti di qualcuno è, per fortuna, un obiettivo minimo se si vuole vivere in una società civile, ma deve esserci un modo, una misura, un qualcosa che non permetta che si passi da un eccesso ad un altro.
Chi scrive non è una monade, è inserito in un contesto sociale, vive la sua esistenza in un mondo che non deve essere necessariamente come quello di oggi. Anzi, la pluralità dei punti di vista permette di ampliare i propri orizzonti e la propria cultura. Tutto sta nel leggere in modo critico la storia e la letteratura. Leggere in maniera critica si traduce in comprendere che le nostre categorie mentali sono frutto di diecimila anni di storia umana su questa Terra. È impensabile che per discernere un testo di ieri si usino categorie attuali: si cadrebbe nel presentismo, ovvero nell’attribuire al passato caratteristiche dell’oggi.
Se negli anni ’80 si usava la parola negro, mentre oggi è d’uopo usare la locuzione persona di colore non vuol dire che negli anni ’80 la società vivesse nella barbarie e si dedicasse ai culti priapei o dionisiaci, ma soltanto che vi era una sensibilità. Prendere l’impegno di cancellare da ogni testo scolastico, letterario o scientifico quel termine per una questione di correttezza politica sarebbe un’operazione antistorica e controproducente. Le generazioni future penseranno che il termine negro non sia mai esistito e perderebbero la cognizione di storicità della lingua.
L’importanza della categoria diacronica
Il clima del politicamente corretto è frutto di una società estremamente concentrata sul presente. Si vedano a proposito alcuni accadimenti politici: il referendum che ha sancito la fuoriuscita del Regno Unito dall’UE (referendum proposto senza aver predisposto un piano economico e politico chiaro). Oppure si noti le continue e repentine salite e discese dei trend sui social: ciò che conta è l’attimo, nessuno tiene al dopo o al prima.
Da qui ne consegue che immaginare che l’uomo del 2023 sia avulso dalla categoria della diacronia è puramente un espediente per facilitare la comprensione della realtà. Comprensione che sarà inevitabilmente fallace. Se la civiltà europea, per come la intendiamo oggi, si regge su dei principi democratici dove l’uguaglianza tra i cittadini prescinde dalle singole peculiarità, bisogna ricordarsi che non è sempre stato così. Bisogna avere cognizione delle categorie temporali e causali.
In maniera analoga, il frutto di una fatica letteraria non può essere cancellato con un tratto di penna, rapportando il lavoro al modo di pensare odierno. Anzi, deve rimanere intonso come pietra miliare della storia. E quello che si chiama progresso non avviene per scelte arbitrarie, ma in seguito al divenire storico.
Alessandro Villari per Questione Civile
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